Ghul

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Amina scoperta con la gula, dal racconto delle Mille e una notte

Un ghul o gul (in arabo الغول?), talora scritto secondo la grafia inglese ghoul, italianizzato in gula[1][2][3], è un essere simile a un mostruoso umanoide. Il concetto ha avuto origine nella religione araba preislamica,[4] associata al consumo di carne umana. La narrativa moderna usa spesso il termine per etichettare un certo tipo di mostro non morto.

La stella Algol ha preso il nome da questa creatura[5].

«Gul: specie di creatura araba, maschio o femmina; si sposta con facilità fra cielo e terra e ama frequentare i cimiteri. [...] l'occupazione principale dei ghoul consiste nel battere le campagne, far abortire le donne incinte, succhiare il sangue dei giovani, divorare i cadaveri, urlare nel vento, aggirarsi fra i ruderi.»

Terminologia[modifica | modifica wikitesto]

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]

Ignota l'etimologia del sostantivo ghūl, anche se alcuni ritengono che il termine derivi dalla radice araba <gh-w-l>, "catturare", "afferrare", secondo l'Oxford English Dictionary,[6] mentre altre fonti indicano come significato dell'ipotizzata radice, "uccidere"[7][8].

In altre lingue[modifica | modifica wikitesto]

In inglese, per estensione, la parola ghoul è anche usata in senso dispregiativo per riferirsi a una persona che si diletta nel macabro o la cui occupazione comporta direttamente la morte, come un becchino o un ladro di tombe.

Religione islamica e folclore[modifica | modifica wikitesto]

Le descrizioni della ghūl nelle storie del folclore arabo sono spesso contraddittorie.
Nelle storie preislamiche e islamiche, è generalmente un jinn, entità a metà via tra uomini e demoni, che muta spesso forma. Se i jinn sono di entrambi i sessi, la ghūl è esclusivamente di sesso femminile, abitante dei deserti, decisamente dedita all'aggressione dei viaggiatori.[9] Una delle possibili fonti di ispirazione per il concetto della ghūl potrebbe essere derivato dal contatto dei beduini arabi con le civiltà mesopotamiche e dall'essere stato influenzato dal demone Gallu, che rapì la divinità accadica Damuzi per portarla nel reame dei morti[4].

In diverse leggende preislamiche e in alcuni detti attribuiti al profeta islamico Maometto compaiono le ghūl, intese come demoni o geni che uccidono, rubano o terrorizzano i viandanti che percorrono i luoghi desertici. L'autenticità di questi racconti è curiosamente messa in dubbio da alcuni studiosi, tra cui un ḥadīth tramandato da Jābir b. ʿAbd Allāh, che ne nega l'esistenza: «Non esiste 'ghūl', non esiste 'adwā' e non esiste 'ṭayrra'»,[10] a dispetto del fatto che dei jinn (di cui fa parte la ghūl) parli più volte il Corano e che la loro esistenza non possa quindi essere in alcun modo messa in dubbio dall'islam sunnita e sciita.[11]

La credenza in queste creature continua ancor oggi ad essere ampiamente diffusa,[12] e non solo nel XVIII e XIX secolo, in cui alcune testimonianze di viaggiatori occidentali riportavano storie che si possono far risalire alla ghūl[13].

La ghūl nella cultura moderna[modifica | modifica wikitesto]

L'idea della ghūl come abitatrice dei cimiteri che si nutre di cadaveri è ben precedente alla versione delle Mille e una notte di Antoine Galland,[14] il quale si prese molte libertà nella sua traduzione. Nel racconto Storia di Sidi-Nouman presentò la ghūl come mostro che dissotterra i cadaveri dai cimiteri per nutrirsene e gli autori successivi ripresero le caratteristiche cannibalistiche di tale jinn .[15][16]

Nella letteratura anglofona, il termine fu usato per la prima volta nel romanzo Vathek di William Beckford (pubblicato in francese nel 1786 e tradotto in inglese l'anno successivo da Samuel Henley)[17].

Nei suoi romanzi H. P. Lovecraft presentò i ghoul come i membri di una razza notturna sotterranea, esseri umani che si trasformano in orripilanti umanoidi in seguito all'abitudine di cibarsi di cadaveri umani. Per quanto terrificanti, non sono mostri necessariamente malvagi; non uccidono (si limitano a cibarsi di chi è già morto) e in alcune storie sostengono conversazioni intelligenti con le persone normali. Richard Upton Pickman, un pittore di Boston che scompare in circostanze misteriose nella storia Il modello di Pickman, riappare come ghul nel romanzo breve La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath. In conseguenza della popolarità di Lovecraft, molte altre opere moderne usano il termine "ghoul" riferendosi a creature umanoidi degenerate e cannibali.

A partire da La notte dei morti viventi (1968) di George Romero le caratteristiche dello zombie, fino ad allora semplicemente uno schiavo privo di volontà sottoposto alla volontà del suo creatore, si fusero con quelle della ghul mangiatore di cadaveri, generando lo zombie moderno mangiatore di carne umana[18][19].

Nel manga ed anime Tokyo Ghoul si parla dei ghoul come esseri dalle sembianze umane[20], ma quando il loro organismo necessita della piena potenza, assumono un aspetto caratterizzato da occhi neri con iridi rosse detto kakugan, e un kagune, cioè un organo predatorio utile sia per l'offesa che per la difesa specifico per ogni ghoul; in altre situazioni riescono a confondersi tra le persone normali. La condizione di ghoul non impone la non esistenza di valori morali: infatti queste creature possono decidere di sfamarsi aggredendo individui inconsapevoli, oppure di cibarsi della carne di coloro che hanno scelto di togliersi la vita, in modo da non causare scompiglio nel distretto di appartenenza. Alcuni di loro praticano anche il cannibalismo, ovvero la pratica secondo la quale un ghoul si ciba della carne di un altro ghoul, si dice che questo sviluppi in loro delle capacità superiori a quelle degli altri, ma li porti alla pazzia.

Nella saga videoludica Fallout vengono chiamati ghoul i soggetti umani che hanno subito l'effetto della lunga esposizione alle radiazioni provocate dalle bombe atomiche sganciate sul suolo americano il 23 ottobre 2077. Questi umanoidi hanno voce rauca, occhi neri e la loro pelle sembra staccarsi (come se fosse ustionata)[21]. I ghoul sono molto più longevi degli umani e talvolta degenerano in "ghoul ferali" che a seguito ad un'esposizione maggiormente prolungata perdono la ragione diventando simili a bestie.

Nel romanzo Il figlio del cimitero, di Neil Gaiman, i ghoul si radunano in una città sotterranea o comunque "altra" rispetto al mondo dei viventi e dei defunti ordinari. Vi accedono mediante un portale rappresentato, in ogni cimitero, da una tomba più rovinata delle altre. Sostengono fra loro conversazioni pompose e al contempo irriverenti. Anche in questo caso, si cibano di cadaveri. Infine, nella rivisitazione di Gaiman essi temono i Gaunt della notte, creature volanti di origine lovecraftiana, e i Mastini di Dio (come la signorina Lupescu, istitutrice del protagonista).

I membri della band heavy metal svedese Ghost sono caratterizzati dal più totale anonimato: mentre il cantante è noto come "Papa Emeritus" e pesantemente truccato in volto, gli strumentisti sono noti solo come "Nameless Ghouls" ("ghoul senza nome") e portano delle maschere.

I ghoul compaiono sia in The Witcher che in The Witcher 3: Wild Hunt, sono un tipo di necrofago e sono fra i primi nemici che si incontrano nel gioco. Appaiono di frequente in tutta la mappa e per tutta la trama. Vanno fronteggiati con la spada d'argento, l'unica in grado di infliggere danni a tali creature. Nella stessa serie videoludica sono presi anche gli alghoul descritti come una sottospecie ancora più aggressiva e violenta dei ghoul benché somiglianti nell'aspetto esteriore.[22][23]

I ghoul sono presenti anche in Magic the Gathering come creature previamente nere di razza zombie.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Fabiana Argentieri (a cura di), Le mille e una notte, Roma, Fermento, 2016, ISBN 9788869972614.
  2. ^ Le mille e una notte, Milano, Libreria Editrice Oliva, 1867.
  3. ^ Carla Corradi Musi, Vampiri europei e vampiri dell'area sciamanica, Rubbettino, 1995.
  4. ^ a b Al-Rawi 2009b, p. 45.
  5. ^ Piero Bianucci, Stella per stella. Guida turistica dell'universo, Giunti, 1997, p. 200, ISBN 88-09-02880-5.
  6. ^ Online Etymology Dictionary, su etymonline.com. URL consultato il 23 marzo 2011.
  7. ^ (EN) Caroline Joan S. Picart e John Edgar Browning (a cura di), Speaking of Monsters: A Teratological Anthology, Palgrave Macmillan, 2012, p. 61, ISBN 978-1-137-10149-5. URL consultato il 6 marzo 2014.
  8. ^ Al-Rawi 2009, p. 292.
  9. ^ Al-Rawi 2009b, p. 46.
  10. ^ Al-Rawi 2009b, pp. 47-48.
  11. ^ Cfr. del Qāḍī Abū ʿAbd Allāh Badr al-Dīn Muḥammad b. ʿAbd Allāh al-Shiblī, il testo considerato di riferimento nel mondo islamico: gli Ākām al-murǧān fī aḥkām al-ǧānn (Le scogliere di corallo circa l'ordinamento dei ǧinn), ed. a cura dello sceicco Qāsim al-Shammāʿī al-Rifāʿī, Beirut, Dār al-Qalam, 1988 (ma esistono varie altre edizioni, come quella edita da Aḥmad al-Salām e stampata a Beirut dalla Dār al-kutub al-ʿilmiyya, s.d.).
  12. ^ Si veda Fred Leemhuis, "Épouser un djinn? Passé et présent", in: Quaderni di Studi Arabi XI (1983), pp. 179-92.
  13. ^ Al-Rawi 2009b, pp. 48-54.
  14. ^ Si veda Claudio Lo Jacono, "Di alcune peculiarità dei ǧinn", in P. G. Donini – C. Lo Jacono – L. Santamaria (a cura di), Un ricordo che non si spegne, Scritti di docenti e collaboratori dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli in memoria di Alessandro Bausani, Napoli, DSA – Series Minor L (1995).
  15. ^ Al-Rawi 2009b, pp. 55-56.
  16. ^ Antoine Galland, Storia di Sidi-Nouman, in Mille e una notte - novelle arabe tradotte in francese da Antonio Galland, Napoli, Tipografia del Fu Migliaccio, 1856, p. 529.
    «La maestà vostra non ignora che le gule, dell'uno e altro sesso, sono demoni erranti nella campagna. Essi abitano ordinariamente gli edifici ruinati d'onde si gettano all'improvviso su passaggieri che uccidono e di cui mangiano la carne. In difetto di passaggieri vanno la notte nei cimiteri a pascersi di quella dei morti che disotterrano»
  17. ^ Ghoul Facts, information, pictures | Encyclopedia.com articles about Ghoul, su encyclopedia.com. URL consultato il 23 marzo 2011.
  18. ^ Niall Scott (a cura di), Monsters and the Monstrous: Myths and Metaphors of Enduring Evil, Rodopi, 2007, ISBN 978-90-420-2253-9.
  19. ^ (EN) Ghoul, in Encyclopedia of Occultism and Parapsychology, 2001. URL consultato il 19 ottobre 2014.
  20. ^ Anime per il manga horror divora-uomioni Tokyo Ghoul di Sui Ishida, in AnimeClick.it, 16 gennaio 2014. URL consultato il 19 giugno 2020.
  21. ^ Anche se gli abitanti dell'America post-apocalittica della saga vedono i ghoul come esseri umanoidi e di diversa specie degli uomini, i ghoul sono umani a tutti gli effetti senza contare il loro aspetto.
  22. ^ Ghoul su witcher.fandom.com, su witcher.fandom.com.
  23. ^ Alghoul su witcher.fandom.com, su witcher.fandom.com.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (AR) Qāḍī Abū ʿAbd Allāh Badr al-Dīn Muḥammad b. ʿAbd Allāh al-Shiblī, Ākām al-murǧān fī aḥkām al-ǧānn (Le scogliere di corallo circa l'ordinamento dei ǧinn), ed. a cura dello sceicco Qāsim al-Shammāʿī al-Rifāʿī, Beirut, Dār al-Qalam, 1988
  • (AR) Ǧāḥiẓ, Kitāb al-ḥayawān (Il libro degli animali), 8 voll., ʿAbd al-Salām Muḥammad Hārūn (ed.), Il Cairo, Muṣṭafà al-Bābī l-Ḥalabī, 1949-50.
  • (AR) Jalāl ad-Dīn Suyūṭī, Laqaṭ al-murǧān fī aḥkām al-ǧānn, Khāled ʿAbd al-Fattāḥ Shibl (a cura di), Il Cairo, Maktabat at-turāth al-islāmī, s.d.
  • (AR) Masʿūdī, Murūǧ al-dhahab wa maʿādin al-ǧawhar (Il setaccio dell'oro e le miniere di gemme), Muḥammad Muḥyī al-Dīn ʿAbd al-Ḥamīd (edd.), 4 voll., Beirut, Dār al-maʿrifa, 1982.
  • (DE) Ignaz Goldziher, "Die Ginnen der Dichter", in Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft XLV (1891), pp. 685–90.
  • (DE) Julius Wellhausen, Reste Arabischen Heidentums, Berlino e Lipsia, W. de Gruyter, 1887 (II ed. 1897, riprodotta nel 1927).
  • Edvard Westermarck, Survivances païennes dans la civilisation mahométane, Paris, Payot, 1935 (trad. di R. Godet).
  • (EN) Ahmed K. Al-Rawi, The Arabic Ghoul and its Western Transformation, in Folklore, vol. 120, n. 3, dicembre 2009, pp. 291-306, DOI:10.1080/00155870903219730, ISSN 0015-587X (WC · ACNP).
  • (EN) Ahmed Al-Rawi, The Mythical Ghoul in Arabic Culture, in Cultural Analysis, vol. 8, 2009. URL consultato il 7 marzo 2014.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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