Cappella Brancacci

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Coordinate: 43°46′03.8″N 11°14′36.87″E / 43.767722°N 11.243575°E43.767722; 11.243575

La Cappella Brancacci, situata all'interno della Chiesa di Santa Maria del Carmine di Firenze rappresenta uno degli esempi più elevati di pittura del Rinascimento. Essa è frutto della collaborazione di due dei più grandi artisti dell'epoca Masaccio e Masolino da Panicale, ai quali deve aggiungersi la mano di Filippino Lippi, chiamato a completare l'opera.

Storia

I Brancacci

I Brancacci possedevano la cappella alla testata del transetto di Santa Maria del Carmine fin dalla fine del Trecento. Antonio Brancacci iniziò una serie di lavori nella cappella nel 1387, ma fu solo con suo nipote Felice, un ricco mercante della seta, tra i protagonisti della scena politica fiorentina nella prima metà del Quattrocento, che commissionò all'atelier di Masolino la decorazione ad affresco, con un ciclo sulle Storie di San Pietro, il protettore di famiglia. La scelta di san Pietro inoltre era legata alle dispute sulla ricomposizione dello scisma d'Oriente e la superiorità del papato fondata sulla preminenza di Pietro tra gli apostoli: infatti la presenza di scene della Genesi (Peccato originale e Cacciata dal paradiso terrestre) si collegano al tema della salvezza dell'umanità operata dal Signore proprio attraverso Pietro.

La commissione risale al 1423 ed entro il 1424 i lavori dovevano essere avviati. L'aiutante Masaccio prese la direzione dei lavori dopo la partenza di Masolino per l'Ungheria (1425), per essere poi sospesi nel 1427 o 1428 quando Masaccio partì a sua volta per Roma, dove morì nell'estate del 1428. In Masolino si vede continuare la pittura tardogotica, mentre in Masaccio si vedono applicate alla pittura le nuove teorie rinascimentali, come un uso molto rigoroso ed espressivo della luce e della prospettiva, oltre a un approccio innovativo al colore (non più applicato al disegno, ma steso quasi di getto) e alla composizione delle figure. I primi affreschi non permettono di stabilire bene la predominanza di un artista sull'altro: i due si influenzarono inizialmente a vicenda, ma poi la genialità e la novità di Masaccio presero il sopravvento. Filippino era adatto all'incarico anche perché di Fra Filippo, uno dei primissimi allievi di Masaccio.

L'opera rimase così incompiuta, anche per l'esilio di Felice Brancacci nel 1436, a causa del suo schierarsi nel partito avversario a Cosimo de' Medici. Nel 1458 la cappella, svuotata di tutti i riferimenti alla casata dei Brancacci, venne ridedicata alla Madonna del Popolo e vi fu posta la tavola della Madonna col Bambino, risalente probabilmente all'anno della fondazione della chiesa, il 1268, e tutt'oggi presente sull'altare. In passato attribuita a Coppo di Marcovaldo o al Maestro di Sant'Agata, mentre oggi si parla più cautamente di un Maestro della Madonna del Carmine.

Solo con la riammissione della famiglia Brancacci a Firenze, nel 1480, la decorazione della cappella poté essere portata a termine incaricando Filippino Lippi, il quale cercò di temperare il suo stile, adeguando la tavolozza e la solenne impostazione delle figure, per non rompere troppo l'omogeneità dell'insieme. Chiudeva tutto il ciclo di San Pietro il rilievo sull'altare, la Consegna delle chiavi, opera di Donatello oggi al Victoria and Albert Museum, fondamentale chiusura del discorso sull'autorità di Pietro nella Chiesa.

Dal XVI al XVIII secolo

Nel corso del Cinquecento il giuspatronato dei Brancacci decadde, ma nessuna famiglia la utilizzò.

Al 1565 risale un primo intervento di pulitura. A fine del XVII secolo la cappella venne abbellita di argenti preziosi, di una cornice intagliata e dorata, di una balaustra marmorea e di una spalliera. Nel 1690 il marchese Feroni, d'accordo con i Carmelitani, misero in progetto la trasformazione della cappella da gotica a barocca, in maniera da fare pendant con la recente Cappella Corsini, ma il progetto non andò in porto.

Risale al 1642 circa la copertura delle nudità dei personaggi con fronde, all'epoca del "cattolicissimo" Cosimo III de' Medici.

Nel 1746-1748 le vele nella volta a crociera, affrescate da Masolino con i quattro evangelisti, vennero distrutte per creare una cupoletta, dove Vincenzo Meucci affrescò la Madonna che dà lo scapolare a san Simone Stock, mentre le due lunette superiori, dove il ciclo aveva inizio, vennero rimpiazzate da finte prospettive di Carlo Sacconi. Venne smantellata la bifora gotica e si creò una più ampia finestra barocca, distruggendo gran parte degli affreschi nella parte superiore della parete di fondo. In quell'epoca venne anche approntato un massiccio tabernacolo marmoreo per ospitare la Madonna del Popolo, oggi rimosso.

La cappella venne danneggiata dal grave incendio che distrusse la basilica nel 1771, ma tutto sommato gli affreschi si conservarono bene, nonostante alcuni inevitabili danni alla cromia, che risultò incotta ed annerita, ai quali si fece fronte con una successiva rinettatura. La Madonna duecentesca si salvò per puro caso, essendo stata spostata nel convento da circa un anno. A ricordo dell'incendio sugli scudi dei pennacchi venne aggiunta la scritta "SIGNUM SALUTIS IN PERICULIS", a memoria del tragico evento.

Nel 1780 i discendenti dei Brancacci, i marchesi de Brancas ormai trasferitisi in Francia, firmarono la rinuncia ufficiale ai diritti sulla cappella, che passò così ai Riccardi, il cui stemma (con la chiave) è ben visibile ai lati dell'altare odierno.

Il restauro

La Cacciata dal Paradiso Terrestre, prima e dopo il restauro

Ai primi del Novecento si ebbe un restauro conservativo delle pitture, a base di un "beverone" protettivo con uovo e caseina, che ravvivò il colore. Nel frattempo la patina di sporco e un velo di nerofumo avevano coperto i colori originari a tal punto che era maturata nella critica una considerazione di Masaccio quale pittore dai colori "petrosi", ma ne veniva comunque apprezzata la ricchezza plastica, mentre l'opera di Masolino e Lippi era valutata scarsamente.

La decisione della necessità di procedere a un restauro venne presa già nel 1932, quando Ugo Procacci scoprì sotto due lastre di marmo dell'altare settecentesco alcuni ritagli di affreschi non interessati dall'incendio e dai restauri, che mostravano ancora la brillante cromia ante 1748. L'intervento di restauro vero e proprio prese il via solo negli anni Ottanta, preceduto da un capillare check-up sullo stato degli affreschi e dei muri, in modo da distinguere le parti originali da quelle via via più tarde. Il restauro vero e proprio ha avuto luogo tra il 1983 e il 1990, quando venne rivelata, nello stupore internazionale, una cappella "inedita", restituita ai brillanti colori di Masaccio ed ai chiari e soffusi cromatismi di Masolino.

Durante le indagini sono state anche ritrovate le sinopie di due scene sulla parete dietro l'altare accanto alla finestra barocca, che sono riferibili alle scene distrutte della Negazione col pianto di Pietro, probabilmente di Masaccio, e della Chiamata di San Pietro, attribuibile a Masolino. Niente resta invece degli Evangelisti nella volta a crociera né delle due lunette. Dallo smontaggio del tabernacolo marmoreo (oggi ricomposto in un altro ambiente del convento) sono riemersi gli sguanci della bifora originale, dove sono presenti racemi decorativi e due testine (maschile e femminile), i cui colori chiari hanno fatto da termine di paragone per il recupero dei colori durante il restauro. Molto interessante anche il ritrovamento nella parete sotto la finestra di un frammento pittorico attribuito alla Crocifissione di San Pietro, che Masaccio avrebbe dipinto sopra la mensa dell'altare.

Per quanto riguarda invece le scene già visibili è stato giudicato straordinaria la nuova lettura della trama pittorica, il valore dei nudi (liberati dalle fronde settecentesche), del paesaggio, della purezza di elementi come l'aria e l'acqua, delle architetture e volti celati, nonché la riscoperta dell'equilibrio sostanziale tra i vari interventi artistici che si sono succeduti nel tempo.

Stile

Gli affreschi di Masaccio nella Cappella sono senza dubbio "una delle conquiste più esaltanti della civiltà figurativa dell'Occidente"[1], grazie alla sicura spazialità architettata secondo le regole della prospettiva coerente, al realismo severo delle figure impregnate di profondità psicologica e vigore morale, alla ricchezza plastica e classicheggiante ma al tempo stesso libera e espressiva. Già Cristoforo Landino aveva descritto Masaccio come "opimo imitatore di natura [...] puro sanza ornato". Il restauro ha restituito tutto il colore dell'artista, potendo finalmente ricollocarlo in una linea ideale che passa da Beato Angelico e arriva infine a Piero della Francesca, il migliore erede di Masaccio per la sintesi tra la luce, creatrice del volume plastico, e il colore.

Lo scarto tra la parte dipinta da Masolino e Masaccio si è inoltre assottigliato dopo la pulitura, smorzando la polemica che contrapponeva il Masolino tradizionalista al Masaccio innovatore e mostrando invece le influenze reciproche tra i due.

Se la fama di Masaccio ha trovato la più forte conferma, riguardo a Masolino si è assistito a una vera e propria rivalutazione, con la riscoperta delle sue raffinate sfumature coloristiche e la sua altissima qualità pittorica.

Descrizione delle scene

Il tema della decorazione a affresco è quello della historia salutis, cioè la storia della salvezza dell'uomo, dal peccato originale all'intervento di Pietro, quale diretto erede di Cristo e fondatore della Chiesa romana. Le fonti del complesso sono la Genesi, i Vangeli, gli Atti degli Apostoli e la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Pietro è sempre riconoscibile, negli affreschi di ciascuna mano, per l'abito verde scuro con il mantello arancione e per la tipica capigliatura corta e bianca, corredata da barba.

La cappella era originariamente organizzata su tre registri, coperti da volta a crociera dove nelle vele si trovavano i quattro Evangelisti di Masolino, oggi sostituiti dalla cupola con gli affreschi di Vincenzo Meucci. Le lunette, pure perdute, raffiguravano, secondo la testimonianza di Vasari, la Navicella degli Apostoli e la Vocazione di Pietro e Andrea, probabilmente una di mano di Masaccio e una di Masolino.

Sulla parete di fondo si trovavano il Pianto di Pietro dopo il triplice rinnegamento (ritrovata la sinopia) di Masaccio e il Pasci i miei agnelli di Masolino (ritrovata la sinopia).

Tentazione di Adamo ed Eva

Il ciclo inizia dalla scena della Tentazione di Adamo ed Eva di Masolino, posta in un riquadro alto e stretto sullo spessore dell'arcone che delimita la cappella. Questa scena e quella simmetrica sul lato opposto (la Cacciata) sono gli antefatti della storia, che mostrano il momento il cui l'uomo ruppe la sua amicizia con Dio, che verrà poi riconciliata da Cristo con la mediazione di san Pietro.

Mostra Adamo accanto ad Eva in piedi, che si guardano con misurati gesti mentre lei sta per addentare il frutto proibito, che il serpente le ha appena offerto dall'albero dove essa appoggia il braccio. Il serpente ha una testina dotata di una folta capigliatura bionda, molto idealizzata.

Si tratta di una scena aulica, impostata nei gesti e nello stile al clima "cortese" del tardogotico. Un tempo questo influsso era accentuato ancora maggiormente dalla ricchezza quasi calligrafica di fogliami e di erbe nello sfondo che oggi sono scomparsi. La luce è morbida e avvolgente, che modella le figure senza asprezze; lo sfondo scuro fa risaltare la loro sensuale plasticità, lasciandole come sospese nello spazio.

Soprattutto la figura di Adamo però mostra l'adesione a un certo canone di bellezza classicista, memore di una citazione dell'antico.

Cacciata dal Paradiso Terrestre

Sul lato opposto, in posizione speculare, si trova l'altra scena della Genesi con la Cacciata dal Paradiso Terrestre, capolavoro di Masaccio. In quest'opera, vera e propria frattura rispetto al filone tardogotico del passato, è scomparsa la compostezza di Masolino e i personaggi sono ritratti in una cupa disperazione, appesantiti sotto l'angelo che con la spada sguainata li espelle con volontà perentoria, con un'intensità fino ad allora inedita in pittura.

I gesti sono eloquenti: mentre escono dalla porta del Paradiso, da dove provengono alcuni raggi divini, Adamo si copre il volto con le mani dallo sconforto e dal senso di colpa, Eva nasconde le nudità con vergogna e piange urlando, con una dolorosa espressione sul volto. In alto l'angelo della giustizia, con la spada, indica loro con durezza la via.

La fortissima plasticità dei corpi, soprattutto quello di Adamo, dà uno spessore mai visto alle figure inserite saldamente sul terreno, su cui si proiettano le ombre della violenta illuminazione che modella i corpi. Essi sembrano infatti emergere dalla parete inondati dalla luce tagliente che, come realmente avviene dalla finestra della cappella, arriva da destra. Adamo è curvo, con la testa angosciosamente piegata in avanti, incamminandosi nell'arido deserto del mondo. I corpi sono volutamente massicci, sgraziati, realistici, con alcuni errori (come la caviglia di Adamo) che però non fanno che accrescere l'immediatezza espressiva dell'insieme.

Molti sono i dettagli di grande spessore, dai cappelli madidi e appiccicaticci di Adamo (sulla Terra egli va incontro alla fatica e alla sporcizia), all'impostazione della figura dell'angelo, dipinto in scorcio come se stesse piombando dall'alto. La posa di Eva è una citazione dell'antico (Venere pudica), magari filtrati da Giovanni Pisano (Temperanza nel pulpito del Duomo di Pisa).

Le fronde che coprivano le nudità di Adamo e di Eva sono state rimosse nel restauro del 1990.

Pagamento del tributo

Schema prospettico del Tributo

La narrazione prosegue accanto alla Cacciata, sul registro superiore della parete sinistra, con la grande scena del Pagamento del tributo di Masaccio, universalmente riconosciuta come una delle più alte espressioni dell'arte di Masaccio, databile al 1425 ed eseguita in 32 "giornate". Mostra l'episodio in cui Gesù viene fermato all'ingresso della città di Cafarnao da un gabelliere che gli chiede un tributo; allora egli indica a Pietro un lago dove sulla riva troverà un pesce che nella gola ha una moneta d'argento.

Si vede quindi a sinistra Pietro, piccolo e solitario, che è piegato espressivamente a raccogliere la moneta dal pesce dopo aver appoggiato la toga a terra (notare la disposizione così realistica e espressiva delle gambe dell'apostolo). Il gruppo centrale invece mostra Gesù, al centro, che indica a Pietro la riva del lago, attorniati dai dodici apostoli con aureola, mentre davanti a loro, di spalle, il gabelliere manifesta chiaramente la sua richiesta di denaro allungando la mano aperta e indicando con l'altra la porta cittadina. A destra infine si vede Pietro che consegna, con una certa solennità, la moneta al gabelliere.

Emblematico è nel gruppo degli apostoli la figura a destra, vestita di color vinaccia, che appare molto ben definita nei lineamenti, con zazzera e barbetta. Secondo alcuni potrebbe trattarsi dell'autoritratto di Masaccio (che altri individuano invece nella scena sottostante), mentre altri lo indicano come possibile ritratto del committente Felice Brancacci.

Questa celeberrima scena è composta in tre tempi composti però in un unico spazio scenico, entro il medesimo paesaggio. Esso è scandito da una serie di tronchi e da varie montagne che sfumano all'orizzonte, mentre a sinistra si trovano le articolate mura della città composte con giochi di contrasto tra vuoto e pieno (la loggetta aggettante, le tettoie, ecc.). Inedito è anche il trattamento realistico del paesaggio, soprattutto nei monti erbosi che sfumano in lontananza: niente di più diverso dalle rocce aguzze usate da Giotto e continuatori seguendo la tradizione bizantina. La prospettiva è quindi unica (ed ha il punto di fuga dietro la testa di Cristo), ma anche la luce, con le ombre determinate con la stessa inclinazione dei raggi del sole. Il gruppo degli apostoli è disposto nello spazio attorno al Cristo con coerenza e il loro insieme sembra voler ribadire la volontà dell'uomo e la sua centralità.

Le due figure monumentali di Pietro e del gabelliere a destra sono saldamente piantate sul suolo e sembra di percepirne la massa plastica perfettamente sviluppata dal chiaroscuro.

La scelta della scena del Tributo viene rappresentata raramente dagli artisti tra le storie di pietro e la sua presenza, oltre che celebrare la sapienza divina, allude probabilmente all'istituzione del catasto che sarebbe avvenuta di lì a poco (1427), ma che era già nell'aria: come Cristo accetta la logica terrena di pagare un tributo, così i cittadini dovevano sottostare all'obbligo civico di versare le tasse richieste.

Predica di San Pietro

La scena successiva è sul medesimo registro, sulla parete dietro l'altare, e mostra la Predica di San Pietro di Masolino, che la eseguì in otto giornate. Pietro è raffigurato davanti a una folla mentre, con un gesto eloquente, fa una predica. Le espressioni degli astanti sono le più varie, dalla dolce attenzione della monaca velata in primo piano, al torpore della fanciulla e del vecchio con la barba, fino al timore della donna in secondo piano, della quale si vedono solo gli occhi accigliati. Le montagne sembrano proseguire dalla scena precedente del tributo, in un'unità spaziale che è prerogativa di Masaccio.

Le tre teste di giovani dietro al santo sono probabilmente ritratti di contemporanei, come anche i due frati a destra, e in passato erano stati attribuiti a Masaccio

Battesimo dei neofiti

Proseguendo verso destra si incontra, oltre la finestra, il Battesimo dei neofiti di Masaccio, ambientato in una vallata tra colli scoscesi. Su questo lato la luce proviene da sinistra, essendo la finestra ormai da quella parte.

Alcuni giovani si apprestano a ricevere il battesimo da Pietro: uno è inginocchiato nel fiume e lo riceve a mani giunte (col corpo dall'anatomia stupendamente modellata), uno già spogliato sta aspettando coprendosi con le braccia mentre trema per il freddo (figura di grande realismo elogiata dal Vasari), un terzo si sta togliendo gli abiti di dosso. Un quarto ancora, scalzo e dal capo chiaramente bagnato, si sta rivestendo abbottonandosi la tunica blu. Pietro compie un gesto energico ed eloquente (da notare la rotazione della ciotola nel verso più congeniale alla percezione dello spettatore). Assiste una folla, tra i quali ci sono alcuni personaggi forse ritratti di contemporanei.

I due ritratti dietro Pietro sono le figure che erano rimaste coperte dal 1748, permettendo ai restauratori di vedere l'aspetto degli affreschi prima dell'incendio e dei restauri.

Straordinario è il senso dell'acqua e l'effetto bagnato sui capelli e sul perizoma del ragazzo in ginocchio.

Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita

Il successivo, grande pannello sul registro superiore della parete destra è opera di Masolino e mostra due miracoli, la Guarigione dello storpio e la resurrezione di Tabita, che secondo gli Atti avvennero rispettivamente a Gerusalemme e a Giaffa, ma che qui sono unificati nel medesimo spazio.

A sinistra si vedono San Pietro e San Giovanni che miracolano uno storpio davanti a una loggia in prospettiva. A destra invece , sul limitare di una casa, San Pietro benedice una Tabita resuscitandola. Il centro della scena è occupato da una visione della Firenze dell'epoca con una piazza in prospettiva (piazza della Signoria?), dove si affacciano case merlate con le pertiche appese tra le finestre e, in primo piano, passano due borghesi riccamente abbigliati, che passeggiano incuranti di quanto avviene intorno. La vita quotidiana è raccontata nei minimi particolari, dagli oggetti che penzolano dalle finestre, fino a una serie di passanti sullo sfondo. La ricchezza cromatica e l'attenzione tutta esteriore ai dettagli piacevoli (come le vesti, i copricapi) è vicino al bello stile di Gentile da Fabriano e non potrebbe essere più distante dallo stile puro e "sanza ornato" di Masaccio.

La precisione prospettica dello sfondo aveva spinto Roberto Longhi ad attribuire questa zona al disegno di Masaccio, un'ipotesi oggi per lo più esclusa. Vi si ravvede piuttosto una volontà di Masolino di adeguarsi alle novità di Masaccio, un po' come avveniva in scultura con Lorenzo Ghiberti e le innovazioni di Donatello.

Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra

Il registro inferiore fu l'ultimo ad essere completato e vi si sente uno stacco per l'assenza di Masolino, l'evoluzione dello stile di Masaccio (che vi mise mano dopo essere stato a Pisa) e, ovviamente, l'intervento di Filippino.

La successiva scena, di grandi dimensioni sulla parete sinistra, è quella della Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra ed è per metà di Masaccio (che vi lavorò nel 1427) e per metà di Filippino Lippi, testimoniando il punto il cui vennero interrotti i lavori originariamente. Al primo maestro spetta la scena centrale, dal personaggio seduto a quello in piedi col vestito verde (compreso san Paolo inginocchiato) e la maggior parte della scena della cattedra, dai monaci carmelitani (esclusa la testa di quello inginocchiato) a Pietro, fino all'estremità; a Filippino appartengono i cinque fiorentini sulla sinistra, il gruppo centrale, compreso il fanciullo resuscitato e il bambino, e la testa del monaco in ginocchio, vistosamente sostituita. Sicuramente la scena era stata dipinta da Masaccio in misura maggiore, ma la presenza di personaggi antimedicei o comunque scomodi ne avesse resa necessaria una parziale demolizione: nel gruppo centrale dovevano essere presenti molti ritratti della famiglia Brancacci, sostituiti da Filippino con i membri delle grandi famiglie d'Oltrarno al tempo di Lorenzo il Magnifico: i Soderini, i Pulci, i Guicciardini, i del Pugliese, assieme ad altri notabili della cerchia medicea.

L'architettura è di Masaccio, con l'invenzione del muro con specchiature in marmo oltre il quale si vedono alberi e vasi, che verrà ripresa puntualmente da Domenico Veneziano, Andrea del Castagno, Alesso Baldovinetti e Domenico Ghirlandaio.

Grandi lacune sono state integrate nel recente restauro, come nella parte inferiore del San Pietro in cattedra.

Sono stati identificati molti personaggi dell'epoca. Il gruppo all'estrema destra mostrerebbe Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Masaccio e Masolino; il carmelitano corpulanto in piedi, a destra di quello anziano, potrebbe essere un ritratto del giovane Filippo Lippi, allievo di Masaccio della prima ora e padre di Filippino; il fanciullo resuscitato viene indicato da Vasari come un ritratto del futuro pittore Francesco Granacci quindicenne, che permetterebbe di datare l'intervento di Filippino al 1485; il carmelitano di sinistra è stato indicato come il cardinale Branda Castiglione; sul lato opposto Teofilo in cattedra sarebbe Gian Galeazzo Visconti e la figura incappucciata sotto di lui Coluccio Salutati.

San Pietro risana gli infermi con la sua ombra

La scena successiva, proseguendo verso destra, è San Pietro risana gli infermi con la sua ombra li Masaccio.

La composizione è molto eloquente: San Pietro, seguito da San Giovanni, cammina per la strada e al passaggio della sua ombra guarisce un gruppo di infermi: due sono già in piedi che lo ringraziano, uno si sta alzando e un quarto, con le gambe deformate, è ancora accucciato a terra e guarda con trepidazione il santo. La figura col berretto rosso è stata riconosciuta come ritratto di Masolino, mentre il San Giovanni potrebbe celare un ritratto del fratello di Masaccio, lo Scheggia, seguito da un vecchio barbuto (Bicci di Lorenzo?); l'uomo con la berretta rossa, che si regge sul bastone, è stato indicato come possibile ritratto di Donatello, mentre l'uomo barbuto assomiglia a uno dei Magi nel Polittico di Pisa di Masaccio

Sotto i marmi dell'antico altare era celata la parte all'estrema sinistra, con il proseguimento in prospettiva della via verso una chiesa con una bella colonna corinzia e un campanile. L'architettura continua nello sguancio della finestra con un ardito effetto ottico. Questa scena e la successiva (Distribuzione delle elemosine) sono collegate da stringenti rapporti formali e di prospettiva, col taglio obliquo delle composizioni ambientate nelle strade di una città, verosimilmente Firenze. Alcuni hanno addirittura ipotizzato che la strada in questa scena, col palazzo in bugnato e la chiesa sullo sfondo, sia Borgo Albizi (e la distrutta San Pier Maggiore, proprio col campanile a vela), dove vivevano alleati dei Brancacci.

Sempre sugli sguanci, poco sopra, sono stati ritrovati racemi decorativi e due testine (maschile e femminile), entrambe di Masolino o forse quella maschile a destra pertinente a Masaccio. Sulla parete dietro l'altare invece, in basso sotto la finestra, si sarebbe invece dovuta trovare la Crocifissione di Pietro di Masaccio, dove dovevano convergere tutte le linee prospettiche degli affreschi a conclusione e fulcro dell'intero ciclo.

Distribuzione delle elemosine e la morte di Anania

Segue la Distribuzione delle elemosine e la morte di Anania di Masaccio, che si svolge tra edifici. Illustra l'episodio di una donna punita perché aveva rifiutato di mettere in comune i propri beni secondo le usanze dei primi cristiani, denunciando un reddito falso. Anche questo episodio si può leggere come un richiamo alla solidarietà reciproca nella previsione dell'istituzione del catasto fiorentino.

la scena è caratterizzata da una maturazione stilistica di Masaccio, che rende l'espressività delle figure più vigorosa, oltre a comporre più articolatamente lo sfondo, con volumi architettonici meno stereotipati.

Disputa di Simon Mago e Crocifissione di Pietro

Il grande pannello del registro inferiore della parete destra è interamente opera di Filippino Lippi. Fuori dalle mura della città (Roma, riconoscibile dalla piramide di Caio Cestio sulle Mura aureliane e dagli edifici che spuntano oltre la merlatura) si vede a destra la disputa tra Simon Mago e san Pietro davanti a Nerone, con un idolo pagano abbattuto ai piedi del re. A sinistra invece ha luogo la crocifissione del santo che sta per venire appeso a testa all'ingiù per il suo rifiuto di essere crocifisso come il Cristo. La scena è ricca di ritratti. Il giovane col berretto all'estrema destra è l'autoritratto di Filippino.. Il vecchio col berretto rosso nel gruppo vicino a San Pietro e Simon Mago è Antonio del Pollaiolo. Il ragazzo che invece sta sotto l'arco e guarda verso lo spettatore è il ritratto di Sandro Botticelli, amico e maestro di Filippino. Nella figura di Simon Mago alcuni hanno voluto leggere un ritratto di Dante Alighieri, celebrato come creatore del volgare illustre col quale componevano Lorenzo il Magnifico e Agnolo Poliziano.

San Pietro in carcere visitato da San Paolo

Il ciclo prosegue ripartendo quindi da sinistra, sul pilastro, nel registro inferiore, con la scena di San Pietro in carcere visitato da San Paolo, opera di Filippino Lippi. Vi si vede il santo che si affaccia da una finestra con le sbarre, mentre il visitatore dà le spalle a chi osserva. Forse la scena seguì un disegno di Masaccio, come dimostrerebbe la perfetta continuità architettonica con la contigua scena della Resurrezione del figlio di Teofilo.

Liberazione di San Pietro dal carcere

L'ultima scena, da mettere in relazione sulla parete opposta con il santo imprigionato, mostra la Liberazione di San Pietro dal carcere da parte dell'angelo ed è interamente opera di Filippino Lippi. Anche qui l'architettura è connessa a quella della scena attigua. La guardia, armata di spada, dorme in primo piano appoggiata ad un lungo bastone, mentre avviene la scarcerazione miracolosa, che sottintende alla salvezza cristiana e forse anche alla riconquistata autonomia di Firenze dopo la minaccia milanese.

Schema dei dipinti

Parete di sinistra

II=Cacciato dei Progenitori, Masaccio V=Il Tributo, Masaccio IX=Predica di San Pietro, Masolino

Parete di sinistra, alto II. Cacciata dei Progenitori (Masaccio), V. Il Tributo (Masaccio), IX. Predicazione di san Pietro(Masolino)


XIII=San Pietro visitato in carcere da san Paolo, Lippi XV=La resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra, Masaccio (restaurato) XI=San Pietro che risana con l'ombra, Masaccio (restaurato)

Parete di sinistra, basso XIII. San Pietro visitato in carcere da San Paolo (Filippino Lippi), XV. La resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra (Masaccio e Filippino Lippi, restaurato), XI. San Pietro che risana con l'ombra (Masaccio, restaurato)

Parete di destra

X=Il battesimo dei neofiti, Masaccio VI=La guarigione dello zoppo e la resurrezione di Tabita, Masolino e Masaccio I=Peccato originale, Masolino

Parete di destra, alto X. Il battesimo dei neofiti (Masaccio), VI. La guarigione dello zoppo e la resurrezione di Tabita (Masolino e Masaccio), I=Peccato originale (Masolino)


XII=La distribuzione dei beni e la morte di Anania e Saffira, Masaccio (restaurato) XVI=La disputa con Simon Mago e la crocifissione di Pietro, Lippi XIV=San Pietro liberato dal carcere, Lippi

Parete di destra, basso XII. La distribuzione dei beni e la morte di Anania e Saffira (Masaccio), XVI. La disputa con Simon Mago e la crocifissione di Pietro (Filippino Lippi), XIV. San Pietro liberato dal carcere (Filippino Lippi)

Retaggio

L'opera di Masaccio nella Cappella Brancacci ebbero un'importanza straordinaria nello sviluppo del Rinascimento, influenzando generazioni di grandi maestri che qui venivano a studiare e copiare le vigorose figure masaccesche. Giorgio Vasari scrisse che la cappella era "scuola del mondo", punto di partenza per tutte quelle ricerche sulla luce, la prospettiva, il colore e la plasticità delle figure del rinnovamento artistico. Qui venne sicuramente Michelangelo, il quale portò poi le ricerche di Masaccio all'estremo punto di arrivo negli affreschi della Cappella Sistina[2].

Note

  1. ^ Carniani, cit., pag. 23.
  2. ^ Carniani, cit., pag. 23

Bibliografia

  • Mario Carniani, La Cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine, in AA.VV., Cappelle del Rinascimento a Firenze, Editrice Giusti, Firenze 1998.
  • Guida d'Italia, Firenze e provincia ("Guida Rossa"), Edizioni Touring Club Italiano, Milano 2007 (per la storia della cappella dopo il XV secolo).

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