Al Re Umberto

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Al Re Umberto
Umberto I di Savoia
AutoreGiovanni Pascoli
1ª ed. originale1900
Genereinno
Lingua originaleitaliano

Al Re Umberto è un inno di Giovanni Pascoli dedicato al re d'Italia Umberto I all'indomani della sua uccisione avvenuta a Monza il 29 luglio 1900, per mano di un anarchico.

Composizione[modifica | modifica wikitesto]

Pur avendo avuto, in gioventù, simpatie per il movimento anarco-socialista, Giovanni Pascoli rimase molto scosso e amareggiato alla notizia della morte del Re, ucciso da un appartenente agli ambienti anarchici italiani, l'emigrato Gaetano Bresci, gli stessi da cui era provenuto, due anni prima, anche l'assassino dell'imperatrice d'Austria Elisabetta detta Sissi e ancora l'assassino del premier spagnolo Antonio Cánovas del Castillo e quello del presidente francese Marie-François Sadi Carnot.

Il sovrano Umberto, soprannominato il «Re buono» per l'attivismo dimostrato nel soccorrere la popolazione di Napoli colpita dal colera nel 1884,[1] era peraltro già sopravvissuto a un altro attentato nel 1878, opera di Giovanni Passannante (oltre che a un altro pochi anni prima). Dopo i moti di Milano (1898) e la decorazione data al generale Fiorenzo Bava Beccaris che aveva sparato sulla folla, era entrato nel mirino del Bresci e dei socialisti, ma il mito del Re Buono era ancora vivo.

In occasione di quel fallito attentato, il giovane poeta Giovanni Pascoli, allora simpatizzante anarchico, avrebbe scritto un sonetto proprio inneggiante all'attentatore, dal presunto titolo Ode a Passannante, che sarebbe stato però subito dopo strappato, forse per timore di essere arrestato, o anche pentito al pensiero dell'omicidio di suo padre. Del sonetto si conoscono solamente gli ultimi due versi tramandati oralmente: «colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera».[2]

La paternità del componimento è tuttavia oggetto di controversie, dato che sia la sorella Maria, sia lo studioso Piero Bianconi, hanno negato che Pascoli l'avesse scritto.[3] Malgrado la mancanza di fonti tangibili circa l'esistenza dell'ode, Gian Battista Lolli, vecchio segretario della federazione socialista di Bologna e amico del Pascoli, attribuì al poeta la realizzazione della lirica, dichiarando di averne assistito a una lettura da parte sua durante una manifestazione socialista.[4]

Pascoli era stato persino arrestato il 7 settembre 1879, a seguito dei disordini generati dalle proteste degli anarchici per la condanna all'ergastolo di Passannante, ma dopo un centinaio di giorni era stato assolto. Avrebbe in seguito attraversato un periodo difficile in cui meditò anche il suicidio, finché abbandonò la militanza politica, mantenendosi nell'alveo di un socialismo umanitario.

Quando il re Umberto venne colpito a morte, sarà lo stesso Pascoli a incaricarsi di dar voce al dolore esterrefatto della nazione, essendo il suo maestro Giosuè Carducci impossibilitato a farlo per via della paralisi provocatagli da un ictus.[5]

Pubblicazione e dedica[modifica | modifica wikitesto]

L'inno al Re Umberto apparve la prima volta sul settimanale «Il Marzocco» il 12 agosto 1900,[6] ed entrò a far parte della prima edizione di Odi e inni nel 1906.

L'apparizione sul Marzocco fu accompagnata da una dedica, in cui Pascoli univa i temi del patriottismo a quelli del socialismo, diventando un predecessore del patriottismo socialista o del socialismo nazionale (posizione che manterrà sempre d'ora in avanti):[7]

«Dedico quest'inno al Partito dei giovani, cioè ai giovani senza partito, cioè ai giovani ancor liberi, che vogliono conservare la libertà che è così cara che la vita non è più cara: la libertà dei palpiti del cuore! Sì che il loro cuore può battere per le otto ore di lavoro e per la spedizione in Cina, ed esecrare il domicilio coatto e abominare l'assassinio politico, e alzare il medesimo inno al muratore che cade dal palco e all'artigliere che spira abbracciato al suo cannone.

Siate degni di Dante, o figli di Dante!»

Contenuto[modifica | modifica wikitesto]

Giovanni Pascoli

Come gli altri componimenti delle Odi e Inni, Al Re Umberto tratta di avvenimenti dell'attualità che il poeta considerava di portata nazionale,[8] affrontandoli nell'ottica di una solidarietà sociale e ideale, rivendicando una libertà di pensiero priva di legami con i partiti e con le appartenenze politiche.[9]

La prima delle 12 strofe in totale in cui è strutturato l'inno, incomincia con un'interlocuzione rivolta al Re:

«In piedi, sei morto, tra i suoni
dell'inno a cui bene si muore:
in piedi: con palpiti buoni
nel cuore, colpito nel cuore
[...]
sul campo; nell'ultima sera
guardando, tra i fremiti lieti,
che cosa, o Re morto? Una schiera
di giovani atleti [...]»
(Al Re Umberto, 1-12)

L'inno poi presenta strofe sul tipico tema pascoliano del problema del male, irrisolto. Pascoli, infine, incita l'Italia ad andare dove la chiama il suo «fato», come il «Re forte» è andato alla ricerca del suo Ideale, di un «perno» nell'infinità del mondo, come chi fa quel che deve.

«Va, memore Italia, tra i primi
Va, memore Italia, tra i primi
tu giunta per ultima. Doma,
costringi, e rialza e redimi!
va, giovane Roma!
[...]
Va, in mezzo alla grigia bufera,
va, dove s'incontra e s'indora
con questa che sembra una sera,
la sùbita aurora!»
(Al Re Umberto, 117-144)

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ L'attentato a Umberto I di Savoia, il "re buono".
  2. ^ Domenico Bulferetti, Giovanni Pascoli. L'uomo, il maestro, il poeta, Libreria Editrice Milanese, 1914, p. 57.
  3. ^ Bianconi la definì «la più celebre e citata delle poesie inesistenti della letteratura italiana». Cfr. Piero Bianconi, Pascoli, Morcelliana, 1935, p. 26.
  4. ^ Giuseppe Galzerano, Giovanni Passannante, Casalvelino Scalo, 2004, p. 272.
  5. ^ Lucio Villari, cap. IV, § 1, in Notturno italiano: l'esordio inquieto del Novecento, Laterza, 2014.
  6. ^ a b G. Pascoli, Inno funebre al re Umberto, in Il Marzocco, n. 32, 12 agosto 1900, p. 1.
  7. ^ Studi romagnoli, vol. 19, Fratelli Lega, 1971, p. 221.
  8. ^ Romano Luperini e Daniela Brogi, Letteratura e identità nazionale nel Novecento, Manni Editori, 2004, p. 45.
  9. ^ G. Luigi Ruggio, Giovanni Pascoli, Simonelli, 2010, p. 202.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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