Battaglia della Seconda Harra

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Battaglia della seconda harra
parte della Seconda Fitna islamica
La battaglia fu combattuta appena a nord di Medina su un terreno roccioso e basaltico simile a quello dell'immagine, scattata nei pressi dell'insediamento
Data26 agosto 683
LuogoMedina
CausaMancato riconoscimento medinese del califfato di Yazīd ibn Muʿāwiya
EsitoVittoria tattica omayyade
Schieramenti
Comandanti
Muslim ibn ʿUqba
Marwan ibn al-Hakam
ʿAbd Allāh b. Ḥanẓala †
ʿAbd Allāh b. Muti`
Maʿqil b. Sinān
Effettivi
4 000 - 12 0002 000
Perdite
Non quantificate180 - 700 nelle file degli Anṣār e dei Muhājirūn. 4.000 - 7.000 nei ranghi dei Medinesi
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La battaglia della Seconda Harra fu uno dei maggiori episodi militari della cosiddetta seconda guerra civile araba (la prima essendo quella che contrappose ʿAlī b. Abī Tālib a Muʿāwiya b. Abī Sufyān a Siffīn). Essa prende il suo nome dalla distesa basaltico-rocciosa (la ḥarra appunto) a nord-est di Medina ove si affrontarono nel 683 l'esercito inviato dal califfo omayyade Yazīd I e i ribelli medinesi.

La storia delle successioni califfali mostra quante tensioni nell'Islam abbiano accompagnato l'avvicendamento sul trono della suprema carica musulmana. Abū Bakr era stato scelto per acclamazione. Questi, sul suo letto di morte, nominò ʿUmar suo successore ed ʿUmar, stabilendo ancora un altro precedente, rimise la designazione nelle mani di un consiglio ( shura ). Il privilegio della scelta del nuovo califfo era supposto essere un diritto dei medinesi,[1] Ansar come Muhajirun, e nelle due ultime elezioni, anche se ciò era poco più di un riconoscimento formale di una nomina già fatta, la successione fu ratificata dal popolo di Medina. Il quarto avvicendamento, l'elezione di ʿAlī, benché effettuato sotto la pressione degli assassini di ʿUthmān, aveva una qualche somiglianza con l'elezione popolare del primo califfo. Seguì la ribellione di Talha e ʿAbd Allāh b. al-Zubayr, basata sull'accusa che il riconoscimento fosse stato loro estorto, e la successiva lotta tra Muʿāwiya e ʿAlī terminata con l'arbitrato di Dumat al-Jandal e il doppio califfato.

Morto ʿAlī, gli subentrò il figlio al-Hasan eletto non come fino a quel momento dal popolo di Medina, ma dai cittadini di Kufa. Hasan infine rinunciò al trono, primo esempio di abdicazione nella storia dell'Islam, a favore di Muʿāwiya che rimase unico califfo. Alla fine del suo regno, l'omayyade, influenzato forse da queste considerazioni e minacciando la successione difficoltà, provò, a differenza dei suoi predecessori, a porvi rimedio anticipatamente. Senza dubbio dominato anche del desiderio di mantenere il califfato all'interno della sua linea familiare, Muʿāwiya intraprese il progetto di nominare suo figlio Yazīd I successore al trono. Quale unico mezzo di obbligazione da lui avuto sui capi arabi, voleva, finché era in vita, vincolarli, a suo figlio Yazīd con un analogo giuramento di fedeltà, scongiurando in tal modo il pericolo di una successione contestata. Essi naturalmente, eccetto i siriani, speravano, alla morte di Muʿāwiya, di liberarsi dal suo giogo e levarono in alto le voci accusando il vecchio sovrano di commettere una inaudita innovazione introducendo la successione di padre in figlio come esisteva presso i sasanidi e i bizantini. Secondo la legge tradizionale araba, il potere governativo poteva essere trasmesso ereditariamente all'interno di una tribù o clan, al suo membro più rappresentativo, non però direttamente in una famiglia o casato. Secondo l'Islam infatti il potere non era affatto una proprietà umana rispetto alla quale si potessero affermare diritti ereditari.[2] I clamori erano però fuori misura, giacché, anche se Yazīd non aveva diritto alla successione, non poteva comunque in alcun modo esserne escluso.

La successione di Yazīd

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In Medina, la vecchia capitale, riguardata sempre come luogo deputato all'elezione del califfo, la protesta fu vivace, particolarmente da parte di dei figli di alcuni vecchi compagni del Profeta: al-Husayn b. ʿAli, ʿAbd Allāh b. ʿUmar, ʿAbd al-Rahmān b. Abī Bakr e ʿAbd Allāh b. al-Zubayr. Muʿāwiya non vi prestò attenzione e realizzò parte del suo progetto convocando a Damasco deputazioni da tutte le provincie dell'impero e raccogliendone, ricorrendo ove necessario alla generosità, l'omaggio a Yazīd. Partì poi, accompagnato da 1000 cavalieri degli Asawira, alla volta di Medina e della Mecca, con l'apparente proposito di compiere la ʿumra, ma in realtà per ottenerne l'assenso alla successione di Yazīd. Sotto la minaccia della spada anche le due città sante, dovettero consentire a prestare la loro bayʿa; restavano comunque dissenzienti i summenzionati importanti obiettori che, trattati ruvidamente da Muʿāwiya all'entrata in Medina, si rifugiarono alla Mecca.

Salito al trono (7 aprile 680), Yazīd, informò come primo suo atto il Wāli di Medina, il cugino al-Walid b. Utba b. Abi Sufyan, della morte di suo padre, ordinandogli anche di assicurarsi che fosse pronunciato il giuramento di fedeltà a lui da parte di al-Husayn b. ʿAli, ʿAbd Allāh b. ʿUmar e ʿAbd Allāh b. al-Zubayr.

Waliid fu consigliato da Marwan di arrestare immediatamente al-Husayn e Ibn al-Zubayr prima che essi venissero a conoscenza della morte di Muʿāwiya. Questi non agì però prontamente e i due fuggirono alla Mecca. Quanto a Ibn ʿUmar, non era considerato pericoloso: si diceva che avrebbe accettato il califfato solo se gli fosse stato offerto su di un piatto d'argento, oltretutto in quel momento egli era assente da Medina e quando tornò, saputo che tutti avevano prestato il loro giuramento, lo fece anche lui senza esitazioni.

Contro al-Ḥusayn: Kerbelāʾ

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Nel mese di muharram 61 (ottobre 680) avvennero i tristi fatti di Kerbelāʾ; è da dire che Yazid non aveva dato l'ordine di uccidere al-Husayn e si trovò di fronte al fatto compiuto, ne è testimonianza la magnanimità e la generosità che usò nei confronti dei componenti della famiglia dell'alide che erano scampati all'eccidio. Rimaneva ora il rivale più pericoloso, Ibn al-Zubayr. Yazīd era restio ad attaccarlo all'interno della Mecca, poiché nella Città Santa i combattimenti e il versamento di sangue erano proibiti. Prima dunque che gli avvenimenti trascendessero e si arrivasse alla guerra aperta, le schermaglie tra il califfo e il suo furbo oppositore si intensificarono.

Contro ʿAbd Allāh b. al-Zubayr

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Si colloca in questo periodo, anno 680, l'episodio variamente riportato dalla tradizione, in cui Yazīd, saputo delle invettive che Ibn al-Zubayr, dopo i fatti di Kerbelāʾ, andava scagliando all'indirizzo dei Kufani, del governo e segretamente dello stesso califfo, giurò di volerlo vedere in catene innanzi a sé. Venuto a più miti consigli gli inviò una catena d'argento da indossare; quando l'inviato attraversò Medina, Marwān recitò dei versi coi quali lasciava intendere che indossare la catena sarebbe stata un'umiliazione. Ibn al-Zubayr lo seppe e la rifiutò. Questo fatto aumentò il suo prestigio, anche i medinesi gli scrissero, dicendo che egli, dopo la morte di Husayn, era il più prossimo pretendente al trono califfale. Tra le versioni dell'episodio è particolarmente importante quella di al-Waqidi[3] riportata in Ṭabarī 2,223. Secondo essa Yazīd, stanco dei negoziati infruttuosi con Ibn al-Zubayr, giurò di ridurlo in catene. Ordinò dunque al Wāli di Medina, ʿAmr b. Saʿīd b. al-ʿĀṣ, subentrato ad al-Walīd b. Utba per l'inerzia da questi dimostrata, di inviargli contro un'armata, comandata da un suo fratello ostile, di nome ʿAmr.

Questi giunse a Mecca senza incontrare resistenza e vi entrò. Qui disse al fratello che doveva presentarsi davanti al califfo con una catena d'argento al collo, che poteva nascondere anche sotto le vesti, e prestare giuramento. ʿAbd Allāh rifiutò sdegnato e immediatamente fece sopraffare la guardia del corpo del fratello che, indifeso, fu catturato e messo orribilmente a morte nel carcere di ʿĀmir. Alla fine dell'anno ʿAmr fu rimosso dal governatorato di Medina per un intrigo interno alla famiglia omayyade e fu rimesso al suo posto Walīd, ma non per molto. Con Medina in fermento, l'astuto Ibn al-Zubayr, simulando sempre un atteggiamento amichevole, scrisse una lettera a Yazīd, consigliandogli di sostituire Walīd e di inviare al suo posto un governatore più benevolo, al fine di placare l'agitato animo popolare.

Yazīd accolse la proposta e rimpiazzò al-Walīd con un altro suo cugino di nome ʿUthmān b. Muhammad b. Abī Sufyān, un giovane inesperto e presuntuoso.[4] Ciò accadde tra la fine dell'anno 682 e l'inizio del 683. Costui, in un momento così difficile, inviò a Damasco una deputazione di cittadini medinesi, Anṣār e Muhājirūn, composta da personalità influenti della pubblica opinione che, pur non essendo del tutto a favore di Ibn al-Zubayr, erano comunque in una certa misura avversi alla famiglia omayyade. Egli sperava, così facendo, che la generosità e le promesse del califfo potessero guadagnarli al suo partito. La deputazione fu ricevuta da Yazīd nella maniera più munifica e andò via portando con sé ricchi doni. Al suo ritorno in Medina l'accoglienza ricevuta non impedì però ai suoi membri di raccontare le cose più terribili sul califfo: che si divertiva con combattimenti di galli e cani, che cercava le peggiori compagnie, che beveva vino al suono di musica e canti, che insomma era una persona senza religione[5].

Contro i contestatori di Medina

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Yazīd comunque, non volendo portare le armi contro la città sede del suo clan, fece un ultimo tentativo, e inviò a Medina una missione guidata dal wāli di Basra Nuʿmān b. Bashīr che tuttavia trovò orecchie sorde alle sue prediche. Il malcontento attendeva solo un'occasione per mutarsi in aperta rivolta e questa fu offerta dall'arrivo in Medina di Ibn Mina, intendente dei possedimenti di Muʿāwiya, venuto a sorvegliare il raccolto delle terre del califfo in quel distretto. Glielo impedirono, poi nella grande moschea organizzarono una rappresentazione che non ricordava in nulla la liturgia più moderna dell'Islam ma piuttosto l'uso della vecchia jāhiliyya: i ribelli dichiarano deposto Yazīd sfilandosi sandali mantelli e turbanti e ammucchiandoli nel cortile. Era questo il gesto simbolico con cui la democrazia araba manifestava la fine del mandato assegnato ai suoi rappresentanti. Ciò fatto i ribelli nominarono loro capo ʿAbd Allāh b. Ḥanẓala, uno di componenti della deputazione inviata a Damasco, un Anṣār molto conosciuto per essere il figlio del famoso martire di Uhud, il cui cadavere sarebbe stato sottoposto al previsto lavacro dagli angeli. Temendo di indisporre i Muhājirūn, non osarono però chiamarlo califfo, e si accordarono sulla formula seguente: la bayʿa sarà prestata al capo Ansar “in vista di arrivare alla deposizione di Yazid”.

Tale formula non soddisfece la popolazione non-Anṣār di Medina, e i Muhājirūn coreisciti e i beduini reclamarono una parte del comando. Il capo da loro scelto fu ʿAbd Allah b. Mutiʿ, un personaggio insignificante del clan degli ʿAdī, il medesimo cui era appartenuto il califfo ʿUmar. Fu data soddisfazione anche ai Muhājirūn non-coreisciti che elessero capo Maʿqil b. Sinān. Il successivo atto dei ribelli fu quello di attaccare gli Omayyadi che si erano raccolti a Medina dopo la rivolta della Mecca. Costoro che, con i loro mawlā, servitori e seguaci, assommavano a circa 1000 uomini in grado di combattere, si raccolsero nei pressi della casa di Marwān nel Wadi al-qura. Facendosi la loro situazione sempre più difficile, inviarono pressanti richieste di aiuto a Yazīd, il quale, pur di cattivo umore per la loro mancanza di combattività, decise di inviare un'armata nel Hijaz. Ben conscio che il vero pericolo era costituito da Ibn al-Zubayr, Yazīd era ancora disposto a risparmiare Medina, ma a una condizione: che i medinesi lasciassero passare le sue truppe dirette alla Mecca. A capo della spedizione fu posto ʿAmr b. Saʿīd, ma questi rifiutò dicendo che non voleva versare il sangue dei Quraysh e suggerì di assegnare il comando a un non Quraysh. Yazīd si rivolse allora a un fidato servitore di suo padre: Muslim b. ʿUqba al-Murrī,[6] un vecchio soldato di ferrea disciplina. Venne organizzato subito il reclutamento delle truppe e, al prezzo della normale paga più un'aggiunta di 100 dīnār versati subito, venne raccolta un'armata composta da un numero di soldati che le fonti fanno oscillare tra le 4.000 e le 12.000 unità. Anche l'equipaggiamento, in vista di una campagna così difficile ed impopolare, fu particolarmente curato. Frattanto gli Omayyadi assediati in Medina avevano raggiunto un accordo con gli insorti: potevano ritirarsi a condizione di non dare alcuna assistenza all'armata siriana.

Marwān dunque, dopo avere affidato la sua famiglia ad ʿAlī b. al-Ḥusayn, detto poi Zayn al-ʿĀbidīn, scampato al massacro di Kerbalāʾ, che la inviò insieme al suo harem a Ṭāʾif, si pose in cammino con i suoi verso la Siria. L'armata di Muslim, si pose anch'essa in marcia, e il vecchio capo, essendo aumentati i suoi malanni durante i preparativi della spedizione, dovette partire in lettiga. Nel Wādī al-Qurā incontrarono gli Omayyadi fuggitivi, e mentre molti continuarono il loro cammino verso la Siria, Marwān si unì invece all'armata e partecipò anche alle operazioni militari. Nel 683, le forze califfali raggiunsero Medina e si accamparono nella harra a nord-est della città. Muslim diede agli insorti tre giorni di tempo per riflettere[7], dicendo che era pronto a ripiegare e a proseguire contro gli Ipocriti ( Munāfiqūn ) che si nascondevano alla Mecca, giacché non voleva spargere il sangue di coloro che erano la radice dell'Islam e dell'Impero.

Essendo stati i preparativi della spedizione laboriosi, i rivoltosi avevano avuto tempo di organizzare la difesa della città. Punto vulnerabile di Medina era l'angolo nord-est prospiciente la harra (la cosiddetta Harra Wāqim ). Lì si erano sempre concentrati gli attacchi, dai tempi di Uhud a quelli di Aḥzāb. Si poté dunque riprendere le opere di fortificazione del Profeta e perfezionarle, non però la trincea storica, distrutta dagli straripamenti dello Buthhan, o occupata dai giardini e dalle costruzioni recenti. Gli insorti combattevano in tre corpi separati: quello degli Anṣār, comandato da ʿAbd Allāh b. Ḥanẓala, quello dei Quraysh comandato da ʿAbd Allāh b. Mutiʿ e quello degli altri Muhājirūn comandato da Maʿqil b. Sinān. Nonostante questi gruppi dovessero far tutti capo al comandante supremo ʿAbd Allāh b. Ḥanẓala, possessore del contingente più numeroso, nella realtà la coesione e l'intesa mancherà loro totalmente.

Il 26 agosto 683 gli Ansar ingaggiarono coraggiosamente il combattimento, sconvolgendo con la loro carica le linee siriane. Il comandante della cavalleria Fadl b. ʿAbbās penetrò fino alla tenda di Muslim, assente dallo scontro per il suo precario stato di salute, e uccise il suo schiavo che portava una bandiera nelle mani. Credendo di avere ucciso il vecchio capo, ebbro di vittoria torna dai suoi ad annunziare la grande notizia. Muslim però reagisce prontamente: raccolte tutte le sue forze, prese ad incoraggiare con la sua presenza e il suo esempio i siriani che, abbattuti, stavano per darsi alla fuga. Egli stesso incalza Fadl e lo uccide. Al suo seguito le schiere siriane si gettano di nuovo in battaglia e costringono la cavalleria medinese a ritirarsi. L'inizio dell'azione era stata dunque favorevole ai ribelli. Lasciato l'accampamento nella harra, Muslim fa montare la sua tenda sulla via di Kufa. Poi dà alla cavalleria l'ordine di attaccare. Ibn Hanzala la riceve alla testa dei suoi fanti sostenuto da uno squadrone di Quraysh a cavallo. Di colpo i cavalieri siriani facendo voltafaccia, prendono la via del loro campo, arrestandosi di tanto in tanto per rallentare l'inseguimento, in realtà per trattenere gli avversari lontano dal fossato, base delle loro operazioni. Allorché gli Ansar si avvicinavano al corpo di battaglia, si vedono ricevere da una divisione di siriani comandati da Muslim in persona, mentre la cavalleria manovrava per accerchiarli. Viene ingaggiata allora una battaglia. Serrati da vicino gli Ansar e i Quraysh si difendevano con la forza della disperazione. Volendo risparmiare il sangue dei suoi soldati, Muslim fece avanzare gli arcieri e crivellare di frecce i compagni di Ibn Hanzala. Nello stesso tempo la cavalleria completava la manovra accerchiante. Fu l'inizio dello sbandamento, ad eccezione dei valorosi riuniti attorno al capo Anṣār. I Quraysh furono i primi a fuggire, ed alla loro testa Ibn Mutiʿ: andranno a riunirsi a Ibn al-Zubayr alla Mecca. Tra gli Anṣār, il clan dei Banū Ḥāritha aveva occupato sempre un posto a parte. Le loro liti con gli ʿAbd al-Ashhal, il clan più devoto all'Islam tra gli Aws, li aveva tenuti discosti dagli intrighi orditi contro il califfo ʿUthmān; erano annoverati tra gli ʿUthmāniyya e alcuni matrimoni li univa alla famiglia omayyade. Questi fatti li rendeva sospetti alla tradizione medinese, che all'epoca della prima trincea li accusò di tradimento. Il loro quartiere, situato nella parte orientale di Medina, confinava con la harra e dunque con il campo trincerato. Nei giorni precedenti, Marwān sarebbe entrato per parlare con loro. Nel corso del combattimento, alla testa di un forte distaccamento di cavalleria, l'omayyade gira intorno Medina, cavalca attraverso la città sguarnita, esce attraverso il quartiere dei Banū Ḥāritha, prende alle spalle i difensori del fossato e li schiaccia nella loro trincea. Poi piomba alle spalle degli Anṣār, raggruppati attorno al loro capo. Ibn Hanzala si fa uccidere, circondato dai suoi otto figli e da un pugno di coraggiosi. I siriani vincitori si pongono all'inseguimento dei fuggitivi e al loro seguito penetrano in Medina. Cominciano allora i tre giorni di saccheggio senza pietà autorizzato da Yazīd.

Nonostante i dubbi[8] sulla realtà e la durata di questi giorni di violenze e devastazioni, le fonti sono unanimi e aggiungono particolari difficilmente trascurabili. Le vittime, a seconda delle stime, variano per gli Anṣār e i Quraysh dai 180 ai 700 individui, mentre per gli altri insorti dai 4.000 ai 7.000 individui. Il giorno seguente Muslim obbligò gli sconfitti a rinnovare il giuramento a Yazīd, e trascendendo i termini della formula ordinaria, pretese che essi si riconoscessero schiavi del califfo, che in questo modo poteva disporre a proprio piacimento delle loro persone e dei loro beni. Coloro che si rifiutarono di sottomettersi a questa formula o che cercarono di porre condizioni furono giustiziati. Tra questi vi fu anche Maʿqil b. Sinān capo dei Muhājirūn. Uno dei figli del califfo ʿUthmān ebbe la barba strappata. Quanto ad ʿAlī b. al-Husayn, Muslim aveva ricevuto ordine da Yazīd che fosse portato in salvo, giacché non aveva partecipato alla rivolta, appena le truppe fossero entrate in città; fu trattato dunque col massimo rispetto. Muslim - che, per la durezza con cui procedette verso i vinti, fu soprannominato Musrif,[9] - non festeggiò a lungo a Medina e partì subito per la Mecca dove doveva affrontare il nemico più temibile: Abd Allah ibn al-Zubayr.

  1. ^ Oltre a ciò si supponeva anche che il califfo dovesse appartenere alla tribù dei Quraysh, ma questo principio non era unanimemente accettato. Alla morte di Maometto esso fu oggetto di animate discussioni tra Muhājirūn ed Anṣār, che portarono argomenti a favore e contro la tesi. Secondo Lammens (1921, cap. IV), ciò che vi è di certo è che in nessun passo del Corano vi sarebbe un'esplicita menzione su di una tale preferenza, e le sentenze sull'argomento attribuite a Maometto attraverso la tradizione orale dovrebbero essere considerate sospette o addirittura inventate alla bisogna. Gli Omayyadi adottarono naturalmente il principio della preminenza dei Quraysh.
  2. ^ Wellhausen 1902, p. 88
  3. ^ Wellhausen 1902, p. 94
  4. ^ Weil 1846, I, cap. 6, p. 325 aggiunge quanto segue: “Questa scelta fu sfortunata, infatti ʿUthmān, un giovane che, come il suo signore, aveva scambiato il semplice modo di vita degli Arabi con quello dei Bizantini, non piacque agli abitanti di Medina che, di fronte al malcostume interno, volevano aver riguardo all'aspetto esterno…”
  5. ^ Weil 1846, I, cap. 6, p. 326 spiega l'episodio nella maniera seguente: “Nonostante tutte le cortesie e la generosità di Yazīd essi [i membri della deputazione] non potevano rendersi gradita la sua vita opposta agli usi arabi e alle leggi islamiche. Al loro ritorno lo screditarono come un uomo senza religione, che amava la caccia la musica, l'amore e il vino e lo dichiararono indegno dell'imamato ossia indegno dei diritti spirituali connessi con la sovranità”. Analogamente Muir (1924, cap. 47, p. 314): “Ma abituati com'erano stati [i membri della deputazione] ai costumi frugali e pii della casa del profeta, rimasero scossi dalle pratiche profane e dagli indulgenti eccessi dei siriani; e fecero una tale illustrazione della lussuria e mancanza di religione della corte – vino e musica, uomini e donne che cantavano, combattimenti di galli e di cani – che il califfo fu immediatamente dichiarato deposto e sostituito da un avversario”. Secondo Julius Wellhausen, che risponde implicitamente a questa interpretazione, è un errore credere che la deputazione fosse stata composta solo da Anṣār, "ausiliari" di Maometto; errore che farebbe anche A. Mueller, Der Islam im Morgen und Abendland, 1885-1887, che parla di vecchi strani compagni del Profeta, del tutto estranei a Yazīd. Infatti, continua Wellhausen, il califfo non poteva non essere aggiornato sulla situazione interna di Medina, la principale città dell'Islam, e come tutti gli arabi di elevata posizione conosceva personalmente un gran numero di persone. Henri Lammens (1921) da parte sua osserva che i medinesi non erano affatto esenti dai vizi che essi rimproveravano a Yazīd: la musica era la loro passione, ma anche gli abiti di seta, altra colpa rinfacciata al califfo, ricopriva anche i più austeri tra gli Anṣār e i Muhājirūn che non lesinavano spese per i loro guardaroba.
  6. ^ La tradizione vuole che Muslim abbia accettato l'incarico immediatamente, e che fosse fermamente intenzionato a non lasciarlo, poiché prima di morire voleva vendicare l'uccisione del califfo ʿUthmān. Cfr. Weil, 1846, vol. I, cap. 6.
  7. ^ Muslim, seguendo gli ordini di Yazīd, fece anche delle offerte ai medinesi: due pagamenti annuali in nome del califfo, e la marcata riduzione del prezzo del grano, ma essi rifiutarono.
  8. ^ Wellhausen 1902, p. 157; Lammens 1921, p. 249 e seg.
  9. ^ In Weil 1846, I, cap. 6 è riportata la spiegazione che il noto dizionario arabo, chiamato semplicemente Qāmūs, dà del termine: "Sborsare oltremisura denaro per scopi malvagi", dunque versare sangue (colui che oltrepassa tutti i limiti). Il riferimento è al Corano, sūra V:36; VII:79: XI:29 e 36, e passim.
  • Vari lemmi (tra cui «Harra», «Muslim b. 'Uqba» e «Abd Allah b. Hanzala»), in: Encyclopédie de l'Islam-Encyclopaedia of Islam, 1960-2005, J. Brill, Leiden-New York.
  • Henri Lammens, Le califat de Yazid Ier, Beirut, Imprimerie Catholique, 1921
  • Gerald R. Hawting, The First Dynasty of Islam: The Umayyad Caliphate AD 661-750, Routledge, Londra, 2000. ISBN 0-415-24072-7, 9780415240727
  • Claudio Lo Jacono, Storia del mondo islamico. Vol. I. Il Vicino Oriente da Muhammad alla fine del sultanato mamelucco, Einaudi, Torino, 2003
  • William Muir, The Caliphate its rise, decline and fall, Edinburgh, 1924
  • Simon Ockley, The history of the Saracens, London, 1857
  • Gustav Weil, Geschichte der Chalifen, Mannheim, 1846-51
  • Julius Wellhausen, Das arabische Reich und sein Sturz, Berlin, 1902
  • Washington Irving, Mohammed and his successors, New York, 1850.