Utente:LorManLor/Sandbox

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Ippitsusai Buncho, Il burattinaio della fata Karakuri

Kugutsu (傀儡?, kugutsu, trad.: burattino, burattinaio) o kairaishi (傀儡子?, kairaishi), è il nome generalmente attribuito alla prima comunità nomade di burattinai conosciuta in Giappone, collocabile nel periodo Heian.[1] Era costituita in prevalenza da cacciatori che viaggiavano per il paese guadagnandosi da vivere in attività di intrattenimento, come le acrobazie, la magia e la manipolazione di burattini.[2][3]

Le fonti descrivono le donne, kugutsume (傀儡女?, kugutsume, trad. anche come "prostituta"), come dedite all’arte del canto di imayō e saibara, alla danza e al commercio sessuale.[4][5] Vengono spesso nominate, e a volte confuse, con altre artiste e intrattenitrici sessuali del periodo, le asobi e le shirabyōshi.[6][7]

Origini[modifica | modifica wikitesto]

Teorie[modifica | modifica wikitesto]

Negli anni sessanta del Novecento, sotto la spinta degli studi sul folclore giapponese (minzokugaku (民俗学?) hanno ricevuto attenzione alcune popolazioni o gruppi marginali, tra cui i kugutsu e le asobi, oggetto di ulteriore approfondimento negli ultimi due decenni del secolo XX.[8]

Gli studiosi hanno generalmente collocato le origini dei kugutsu intorno al IX secolo, ma secondo alcuni autori, come Hayashiya Tatsusaburō, questa popolazione nomade sarebbe esistita già nel periodo Nara, decaduta dalla condizione di cacciatori o pescatori a quella di kojiki (mendicanti).[4]

Anche secondo Tsunoda Ichirō i kugutsu sarebbero il frutto della crisi che avrebbe colpito una categoria sociale, quella dei contadini, caduti in miseria e impossibilitati a pagare tasse divenute troppo gravose; per Wakita Aroku essi sarebbero invece cacciatori e pescatori che vivevano in montagna e che si dedicavano alle arti dello spettacolo come modo per guadagnarsi da vivere.[4][9]

Takehara Shunchosai, Il burattinaio Nishinomiya, Immagine dei luoghi famosi di Setsu, 1796

Se Matsumae Takeshi ha sottolineato le somiglianze tra le tradizioni continentali delle marionette e quelle praticate dal kugutsu, la tesi più nota sull'origine non autoctona dei kugutsu è stata sostenuta da Takigawa Masajirō, secondo il quale essi sarebbero giunti in Giappone dalla Cina attraverso la Corea, importando le arti apprese in Cina o in Asia centrale; questa conclusione negli anni ottanta del Novecento è stata contestata da Fukutō Sanae e Amino Yoshihiko, perché ritenuta frutto di etnocentrismo e di pregiudizio anticoreano.[10][4]

Nakayama Taro fu uno dei primi studiosi del XX secolo a svolgere uno studio su larga scala della storia della prostituzione in Giappone, esaminandone pratiche e status; egli ha sostenuto che nel periodo pre-Edo esse erano delle miko, sacerdotesse al servizio delle divinità, un'ipotesi condivisa anche dal folclorista Yanagita Kunio, che, riferendosi alle donne kugutsu, ukareme e asobi, ha identificato le loro origini nelle sciamane.[11] Usando burattini come Hyaku Dayū/Hyaku Kami, esse avrebbero introdotto la venerazione dei kami lungo le strade che percorrevano; il commercio sessuale sarebbe stato solo un complemento secondario della loro funzione religiosa.[12][13] Anche secondo Gorai Shigeru i kugutsu eseguivano rituali sciamanici per garantire la prosperità, utilizzando statuine di legno che rappresentavano il dio da loro invocato.[14]

Nel suo studio centrato sulla tradizione delle marionette dell'isola di Awaji, Jane Marie Law, concentrandosi sul teatro di figura giapponese come tradizione rituale, ha esaminato e interpretato i modi in cui gli antichi burattinai fungevano da mediatori tra il mondo umano e quello divino. Il termine di derivazione cinese ningyō 人形 (burattino),[15] ha osservato Law, è formato da due ideogrammi: nin 人“essere umano/persona” e gyō 形 “forma”. Nel contesto più ampio del giapponese rituale, ningyō è usato per riferirsi ad una vasta gamma di oggetti (ad esempio effigi, statuette, fantocci), anche rituali, sia statici che manipolati, usati fin dall'antichità: nella storia religiosa giapponese il ningyō fungeva da dimora spirituale di divinità o spiriti evocati da figure sciamaniche, nei riti di pacificazione per allontanare le calamità, o da sostituto degli esseri umani nei riti di purificazione e guarigione.[16][17] I burattinai erranti erano chiamati con diversi nomi: kugutsu e ebisu-mawashi, Dōkunbō-mawashi, deko-mawashi, hako-mawashi, Sanbaso-mawashi, o semplicemente ningyō-mawashi. Essi potevano compiere esorcismi e purificazioni e si esibivano davanti a un pubblico che comprendeva tutti i livelli della società, compresi l'imperatore e la corte.[18]

Secondo Bonaventura Ruperti, sulla finalità rituale-religiosa e divinatoria svolta dai pupazzi nell'antico Giappone, avrebbe prevalso, nel periodo Heian, la funzione ludica e di intrattenimento promossa dai burattinai itineranti, i kugutsu mawashi.[19]

Il mito di Hyakudayū[modifica | modifica wikitesto]

Una cortigiana con un'orata, rappresentazione del dio Ebisu, c. 1825

Alcuni studi hanno collegato l'origine dei burattinai itineranti conosciuti come kugutsu al mito che ha per protagonista un pescatore chiamato Hyakudayū 百大夫, ritenuto loro antenato. Egli avrebbe raccolto alla deriva, tra le onde, un bambino di circa dodici anni, che si rivelò essere il dio Hiruko (o Ebisu 恵比寿, tradotto "bambino sanguisuga")[20], figlio primogenito degli dei della creazione Izanami e Izanagi, lasciato da loro alla deriva a causa del suo aspetto fisico: secondo il Kojiki egli era nato senza arti.[21][22] Hiroku, dopo essere stato raccolto, avrebbe chiesto al pescatore di costruirgli un santuario, poi conosciuto come Nishinomiya, da cui sarebbe sorta l'omonima città, nel quale un officiante chiamato Dōkunbō 道薫坊 pronunciava gli oracoli del dio. Poiché alla morte di questi il luogo fu colpito da una serie di calamità attribuite a Hiruko, un editto imperiale ordinò che venisse scolpito un burattino a somiglianza di Dōkunbō. Hyakudayū lo realizzò, lo pose davanti al santuario e le calamità cessarono; alla sua morte il pescatore venne a sua volta divinizzato e venerato a Nishinomiya, e i pupazzi Dōkunbō divennero il suo corpo divino (shintai).[23][24]

Questi fantocci vennero prodotti e diffusi nelle campagne dai burattinai itineranti (chiamati ebisukaki o ebisu-mawashi, vagabondi di Ebisu), principalmente a Nishinomiya nella prefettura di Hyougo.[25] Essi erano ritenuti degli specialisti del rito, in grado di mediare i poteri di Ebisu attraverso il burattino, trasformando il lato minaccioso e pericoloso del dio, incline ai disastri e alle maledizioni, in quello positivo, portatore di fortuna e buoni auspici.[26][24]

Fonti letterarie[modifica | modifica wikitesto]

La fonte del periodo Heian sui kugutsu più famosa e dettagliata, sulla quale si basano le successive descrizioni, è il saggio Kairaishiki[27] (傀儡子記, Resoconto sui kugutsu, ca 1087), dello scrittore e poeta Ōe no Masafusa, vissuto tra il 1041 e il 1111, autore anche di un saggio sulle intrattenitrici asobi, Yujoki (遊女記), che, insieme al primo, ha reso la sua opera la fonte più completa sulla prostituzione nel periodo Heian.[28]

Ōe no Masafusa (1041-1111), autore di Kairaishiki (傀儡子記)

In Kairaishiki riporta come i costumi dei kugutsu fossero diversi da quelli del popolo giapponese, ipotizzando un legame con popoli nomadi giunti in Giappone dall'India attraverso la Cina e la Corea. Questa comunità di cacciatori e non di agricoltori, in quanto itineranti, secondo non era sottoposta al controllo delle autorità provinciali e non pagava le tasse, non riconosceva la corte né temeva i funzionari locali: "vivono tutta la vita come vogliono":[29]

«I kugutsu non hanno dimore fisse né nuclei familiari permanenti. Vivono in yurte con tende di feltro, si muovono seguendo l'acqua e l'erba, proprio come i barbari del Nord. Tutti gli uomini sono esperti nel tiro con l'arco a cavallo e si guadagnano da vivere cacciando. Fanno roteare in aria coppie di spade, fanno i giocolieri usando fino a sette palline, fanno ballare burattini di legno di pesco e li fanno combattere tra di loro. Il modo in cui fanno sì che questi burattini si comportino come se fossero viventi assomiglia ai giochi di trasformazione dei pesci in draghi e bestie. Trasformano la sabbia e i ciottoli in monete d'oro e trasformano l'erba e i ramoscelli in uccelli e animali.»

Terry Kawashima ha notato come questa descrizione dei kugutsu risulti direttamente influenzata da immagini usate nei testi storici cinesi; in particolare l'uso di cavalli e archi, le yurte con tende di feltro, l'errare come mizukusa wo oite mote ishi (inseguendo l'erba acquatica), ricorderebbero la raffigurazione di un equivalente popolo nomade, quello degli Xiongnu, raccontato nel Libro degli Han.[30]

Tale descrizione, considerate le fonti cinesi dalle quali risulta debitrice, ha fatto interrogare diversi studiosi sulla reale accuratezza e veridicità delle informazioni riportate dall'autore.[30][31]

Le donne kugutsu[modifica | modifica wikitesto]

Utagawa Toyoharu, Cortigiana con un koto, ca. 1785

Anche la descrizione delle donne, secondo Kawashima, farebbe ricorso a topoi letterari tratti da una fonte cinese del V secolo, che ritrae alcune intrattenitrici in modo bizzarro, lo Hòu Hànshū 後漢書, 后汉书, Libro degli Han posteriori): sottili sopracciglia disegnate sul volto, il trucco con la "faccia triste", false lacrime e il sorriso "mal di denti" (teisho), camminata civettuola, piegata sui fianchi (setsuyoho). Così continua Masafusa:[32]

«Si adornano con rossetto e cipria, cantano canzoni seducenti e suonano musica voluttuosa, perseguendo il piacere sessuale. I loro genitori e i loro mariti non le ammoniscono. Incontrano spesso viaggiatori, ma non esitano a trascorrere un'intera notte di piacere. I loro numerosi amanti le ricompensano con abiti ricamati, broccati, forcine d'oro e scatole decorate d'oro; non vi è una di loro che non si meraviglia e non li conserva»

Secondo Goodwin, rispetto all'altra categoria di donne, le asobi, anch'esse intrattenitrici sessuali, a cui Masafusa ha dedicato un altro saggio, le kugutsu sarebbero trattate in modo diverso, più come "avide prostitute, che sirene che deliziavano uomini di alto rango", un giudizio che la studiosa statunitense ritiene condizionato dai pregiudizi sociali nutriti nei confronti delle persone itineranti, senza fissa dimora, di cui esse rappresentavano una declinazione.[33]

Il loro nomadismo, collegato all'instabilità e al commercio sessuale, compare come riferimento anche nell'Honchō mudaishi, la più grande antologia di poesie kanshi del periodo Heian. Le kugustsu ritratte in Kugutsu di Fujiwara no Tadamichi, vengono commiserate per le loro vite effimere e tristi, destinate, nella vecchiaia, a veder sfiorire il proprio corpo, cifra del precedente successo.[34][35]

«Nel suo periodo migliore, nella capitale fiorita, si crogiola nella sua fama e nel suo favore;
negli anni del crepuscolo, in sua assenza, si prende cura della capanna dal tetto di assenzio.
I clienti in viaggio e i viaggiatori in cammino distolgono lo sguardo impietoso da lontano
a causa dei loro capelli bianchi e del viso vuoto e rugoso.»

Ricercate, oltre che per la loro disponibilità sessuale, anche per le loro capacità canore, in particolare per l'esecuzione delle canzoni imayō che le rendevano parte attiva in diverse cerimonie religiose, alcune figure di artiste e cortigiane kugutsu vengono menzionate in un'altra fonte del tardo periodo Heian, il Konjaku monogatarishū (今昔物語集? lett. "Antologia delle avventure del passato e presente"), o Konjaku monogatari (今昔物語?), una raccolta di oltre mille racconti (monogatari), e nell'antologia di canzoni Ryōjin hishō 梁塵秘抄口伝集 redatta dall'imperatore Go-Shirakawa con la collaborazione della sua insegnante di imayō Otomae 乙前 (1085-1169), collocata a volte tra le asobi, a volte tra le kugutsu.[36][37][38]

Caratteristiche[modifica | modifica wikitesto]

Negli studi sulla storia del teatro i kugutsu vengono generalmente descritti come una comunità itinerante, che si spostava da un luogo all'altro esibendosi soprattutto nell'arte della manipolazione di burattini. In molte stampe, anche dell'epoca più tarda, elemento comune è la scatola di legno che essi portano al collo (kubi-kuke, appeso al collo), che serviva sia da custodia di trasporto delle marionette che da palcoscenico.[39] Queste venivano manovrate da dentro la scatola attraverso dei fili (questo metodo veniva chiamato sushikomi ningyō), in modo che il pubblico non potesse vedere le mani; in alternativa i pupazzi venivano inseriti direttamente sulle dita, collocando la scatola dietro la schiena.[40] Le percussioni di un tamburo portato sulla cinta aveva la funzione di chiamare a raccolta i bambini, annunciando il loro arrivo.[41]

Yano Yachō, Burattinaio itinerante (Ebisu-mawashi), 1823

Nel periodo Edo i burattinai venivano anche chiamati "gatti selvatici" (山猫, yamaneko o 山猫廻し, yamaneko mawashi) perché estraevano dalla scatola di legno, che fungeva anche da palcoscenico, piccoli animali come gatti o peluche.[40] Altre fonti riportano che lo spettacolo offerto dai primi burattinai itineranti associati al santuario di Ebisu terminava sempre con l'apparizione improvvisa, sotto la scatola, della coda di una donnola, per spaventare scherzosamente i bambini.[42][43]

Alcuni di loro furono protetti da nobili di corte e famiglie di samurai poiché si prendevano cura di templi e santuari da loro venerati.

Dopo il Medioevo divennero stanziali; alcuni di loro praticarono l'agricoltura, altri si stabilirono nelle vicinanze di santuari come Nishinomiya, dove, chiamati con il nome di Ebisu-Shinkō (詳細表示), avrebbero diffuso il culto di Ebisu, divinità della pesca, dell'abbondanza e del commercio.[44]

L'arte dei burattini si è poi evoluta in sarugaku, e le marionette sono diventate spettacoli di marionette come karakuri.

Nel periodo Edo gli spettacoli di marionette giunsero al loro massimo splendore, sviluppandosi nella forma di narrativa e musica jōruri (浄瑠璃), accompagnata dall'uso dello shamisen.[28] poi divenute bunraku. Le arti si sono evolute in Nohgaku (Noh, Shikisanban, Kyogen) e Kabuki.

Kembu, sumo e altre danze vengono eseguite come rituali nei templi e nei santuari e sono ancora tramandate dai sacerdoti shintoisti come danza kagura.

Posizione sociale[modifica | modifica wikitesto]

Utagawa Kuniyasu, Cinque ragazze con marionette teatrali, ca. 1820

La studiosa Jane Marie Law, che attribuisce ai primi burattinai itineranti, per la funzione sciamanica svolta, una rilevanza significativa nella storia della religione giapponese, ritiene che essi avendo la responsabilità di "generare ordine dal caos e purezza dalla contaminazione", godessero di una notevole libertà di movimento, ma che in ragione della loro condizione di "stranieri" e di "outsider" rispetto alla vita delle comunità stanziali, e a seguito dell'evolversi del sistema di purezza rituale dominante del Medioevo, il loro status e la considerazione sociale di cui godevano abbiano subito una ridefinizione in termini negativi.[45]

Nel periodo Heian, precisa Law, erano due le figure di "specialista dei riti": il kannushi o shinshoku, una figura religiosa incaricata della gestione di un santuario shintoista, e il waza bito (artista), che comprendeva, tra gli altri, divinatori onmyoji, ballerini nembutsu, burattinai kugutsu-mawashi, ossia persone non facenti parte della gerarchia religiosa. I waza-bito, secondo Law, finirono con l'essere emarginati e considerati socialmente pericolosi perché dotati di un potere che, per il loro stile di vita, in quanto "stranieri" e per lo più itineranti, suscitava timore, sospetto e diffidenza nelle comunità e nelle gerarchie religiose.[46] In particolare i burattini con cui venivano identificati i kugutsu come gruppo sociale, rappresentando l'intersezione tra il mondo umano e il divino, avevano assunto, aggiunge Law, un'eco potente e spaventosa: non erano solo dispositivi mimetici, ma costituivano un mondo parallelo, quello delle divinità ambigue, come Ebisu, con cui essi erano in contatto e di cui incanalavano la negatività con i loro rituali.

Sei Shōnagon (X-XI sec.), autrice delle Note del guanciale in un ritratto di Utagawa Kunisada

Per quanto riguarda l'evoluzione del sistema di purezza rituale, Law illustra come nel Giappone medievale esistesse una mappatura simbolica del paesaggio che localizzava i luoghi ritenuti impuri, condannando i loro abitanti ad essere stigmatizzati come persone da allontanare ed emarginare perché fonte di kegare: gli alvei dei fiumi (kawara) e le zone periferiche chiamate sanjo, in gran parte sorte come luoghi separati destinati agli esecutori di rituali (musicisti, divinatori, burattinai).[47]

Tra la fine dell'XI e il XII secolo i gruppi marginali della società, come kugutsu, cortigiane e carbonai, divennero un diffuso soggetto nei testi letterari, specie kanshi e waka.[48] Tra queste fonti, una che insiste sull'itineranza e sulla devianza dei kugutsu rispetto alle norme sociali è l'Honchō mudaishi, la più grande antologia di poesie kanshi del periodo Heian, in cui i burattinai vengono definiti “vagabondi”, “imbroglioni e pazzi” e fuorilegge che “vagano in lungo e in largo”; il loro nomadismo, collegato all'instabilità e al commercio sessuale, li fa dipingere nelle poesie come persone che inducono pietà per le loro vite effimere e tristi, perché sottratte alla stabilità di una dimora e di una famiglia, destinate alla povertà e alla solitudine in vecchiaia.[34]

Circa un secolo prima, Sei Shōnagon nelle sue Note del guanciale (枕草子?, Makura no sōshi, ca. anno 1000) aveva descritto i kugutsu (termine tradotto da Ivan Morris come "suonatori itineranti, menestrelli"), impegnati all'interno del palazzo reale nell'intrattenimento musicale.[49][50] Secondo Janet R. Goodwin, questo dimostrerebbe che non erano osteggiati,[51] una tesi sostenuta anche dallo storico Amino Yoshihiko, secondo il quale i kugutsu nei secoli XII-XIII secolo erano, come gli shokunin, membri accettati della società giapponese, possedevano terre, non erano considerati dei fuorilegge e potevano presentare denunce legali davanti alle autorità governative.[52][53]

Nel periodo Kamakura, tuttavia, intervennero dei cambiamenti, soprattutto a seguito del diffondersi dei principi buddisti legati all'impurità femminile, che portarono a stabilire una connessione tra intrattenimento sessuale e status sociale, una variazione rilevabile sia nelle fonti letterarie che nella legislazione bakufu. Kugutsu e asobi vennero stigmatizzate, associate agli hinin e definite persone "vili", contrapposte alle donne onorate; venne limitato il loro diritto di ereditario, con riferimento alla professione svolta.[54]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Ruperti, pp. 120, 123
  2. ^ Ruperti, p. 123
  3. ^ (EN) Louis-Frédéric, Japan Encyclopedia, Harvard University Press, 2002, p. 570, ISBN 9780674017535.
  4. ^ a b c d Ruperti, p. 120
  5. ^ Goodwin, p. 1
  6. ^ Goodwin, pp. 28, 39
  7. ^ Strippoli
  8. ^ Kawashima, p. 28
  9. ^ (JA) Wakita Haruko, Chusei ni okeru seibetsu yakuwari buntan to joseikan, in Joseishi Sogo Kenkyukai (a cura di), Nihon Joseishi, vol. 2, Tokyo, Tokyo Daigaku Shuppan, 1982, pp. 93-99, OCLC 869132859.
  10. ^ Goodwin, p. 12
  11. ^ Kawashima, p. 28
  12. ^ (JA) Yanagita Kunio, Ukareme 遊行女婦, in Yanagita Kunio zenshū 定本柳田国男全集, vol. 8, Tokyo, Kōdansha, 1962.
  13. ^ Goodwin, p. 88
  14. ^ (JA) Gorai Shigeru, Asobi-be ko, in Bukkyo bungaku kenkyu, n. 1, 1963, pp. 33-50.
  15. ^ (JA) 人形, su jisho.unive.it. URL consultato il 4 maggio 2024.
  16. ^ Law, pp. 32-35
  17. ^ Ruperti, p. 120
  18. ^ Law, p. 51
  19. ^ Ruperti, p. 123
  20. ^ Il dio Ebisu è solitamente rappresentato come una divinità grassa e spensierata con un pesce sotto il braccio
  21. ^ (EN) Ebisu, su britannica.com. URL consultato il 2 maggio 2024.
  22. ^ Faure, p. 363
  23. ^ (EN) Judith N. Rabinovitch, Timothy R. Bradstock (a cura di), Honchō mudaishi 本朝無題詩 (Poems from Our Court Without Allusive Titles, 1162–64), Compiled by Fujiwara no Tadamichi and Others, in No Moonlight in My Cup, Leiden, Brill, 2019, p. 366, ISBN 9789004387218.
  24. ^ a b Faure, p. 366
  25. ^ (EN) Ebisu, su traditionalkyoto.com. URL consultato il 2 maggio 2024.
  26. ^ Law, pp. 12, 91-92
  27. ^ Una lettura alternativa dei caratteri del titolo è Kugutsu ki. Cfr.: Ruperti, p. 120; (EN) David T. Bialock, Eccentric Spaces, Hidden Histories: Narrative, Ritual, and Royal Authority from The Chronicles of Japan to The Tale of the Heike, Stanford, Stanford University Press, 2007.
  28. ^ a b Addiss, p. 74
  29. ^ Addiss, pp. 74-75
  30. ^ a b Kawashima, p. 36
  31. ^ Goodwin, pp. 27, 136
  32. ^ Kawashima, pp. 35-36; Appendice, 297-298
  33. ^ Goodwin, p. 28
  34. ^ a b Kawashima, pp. 40-41; Appendice 298-299
  35. ^ Ruperti, pp. 120-121
  36. ^ Kawashima, pp. 96-98
  37. ^ Kawashima, pp. 79-80
  38. ^ Strippoli, p. 41
  39. ^ Law, p. 45
  40. ^ a b (JA) A1-3-3 傀儡−人形遣い, su arc.ritsumei.ac.jp. URL consultato il 3 maggio 2024.
  41. ^ (JA) Yamanekomawashi/Yamanekomai, su kotobank.jp. URL consultato il 3 maggio 2024.
  42. ^ (EN) Puppeteer, 1823, Yano Yachōexpa, su collections.artsmia.org. URL consultato il 3 maggio 2024.
  43. ^ (JA) Miyao Yoshio, 図說江戶大道芸事典 / Zusetsu Edo daidōgei jiten, Tokyo, Kashiwa Shobō, 2008, OCLC 216939383.
  44. ^ (EN) Ebisu shinkō, su d-museum.kokugakuin.ac.jp. URL consultato il 2 maggio 2024.
  45. ^ Law, pp. 51-52
  46. ^ Law, pp. 67-68
  47. ^ Law, pp. 69-72
  48. ^ (EN) Ivo Smits, The Way of the Literati: Chinese Learning and Literary Practice in Mid-Heian Japan, in Mikael S. Adolphson, Edward Kamens, Stacie Matsumoto (a cura di), Heian Japan, Centers and Peripheries, Honolulu, University of Hawaii Press, 2007, p. 120, OCLC 1404151090.
  49. ^ (EN) The Pillow Book of Sei Shōnagon, traduzione di Ivan Morris, vol. 2, London, Oxford UP, 1967, p. 295, OCLC 1068175666.
  50. ^ Addiss, p. 66
  51. ^ Goodwin, p. 136
  52. ^ (JA) Amino Yoshihiko, Hyōhaku to teichaku : teijū shakai e no michi / 漂白と定着: 定住社会 への道, Tokyo, Shogakukan, 1984, pp. 175-179, OCLC 12907045.
  53. ^ Goodwin, pp. 136-137
  54. ^ Goodwin, p. 147

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Stephen Addiss, Gerald Groemer, J. Thomas Rimer (a cura di), Traditional Japanese arts and culture: an illustrated sourcebook, Honolulu, University of Hawai‘i Press, 2006, ISBN 978-0-8248-2018-3.
  • (EN) Bernard Faure, Rage and Ravage: Gods of Medieval Japan, vol. 3, Honolulu, University of Hawaii Press, 2021, p. 366, ISBN 9780824889364.
  • (ES) Teresa García Bustos, Imayo, los cantos de las prostitutas: la visibilización de las asobi y kugutsu y su producción lírica, in Revista Fuentes Humanísticas, vol. 32, n. 60, 2020, pp. 47-60. URL consultato il 15 aprile 2024.
  • (EN) Janet R. Goodwin, Selling Songs and Smiles : The Sex Trade in Heian and Kamakura Japan, Honolulu, University of Hawai‘i Press, 2007, ISBN 978-0-8248-3068-7, OCLC 70836652.
  • (EN) Terry Kawashima, Writing Margins. The Textual Construction of Gender in Heian and Kamakura Japan, Cambridge, Harvard University Press, 2001, ISBN 0-674-00516-3.
  • (EN) Yung-Hee Kim, Songs to make the dust dance : The Ryojin Hisho of twelfth-century Japan, Berkeley, University of California Press, 1994, OCLC 27814869.
  • (EN) Jane Marie Law, Puppets of nostalgia: the life, death, and rebirth of the Japanese Awaji ningyo tradition, Princeton University Press, 1997, ISBN 9781400872954, OCLC 35223048.
  • Benito Ortolani e Maria Pia D'Orazi, Il teatro giapponese: dal rituale sciamanico alla scena contemporanea, Roma, Bulzoni, 1998, ISBN 9788883190377.
  • Bonaventura Ruperti, Storia del teatro giapponese: dalle origini all'Ottocento, Venezia, Marsilio, 2015, ISBN 9788831721868.
  • (EN) Roberta Strippoli, Dancer, Nun, Ghost, Goddess. The Legend of Giō and Hotoke in Japanese Literature, Theater, Visual Arts, and Cultural Heritage, Leiden, Brill, 2018, ISBN 978-90-04-35629-0.