Società Costruzioni Aeronautiche AQV

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S.C.A. AQV
Descrizione
TipoAereo sperimentale
Equipaggio2
ProgettistaGiuseppe Schepisi
Roberto Miniero
CostruttoreBandiera dell'Italia Società Costruzioni Aeronautiche
Data primo volo6 luglio 1940
MatricolaMM.422[1]
Data entrata in servizio1940
Data ritiro dal servizio1943
Esemplari1
Dimensioni e pesi
Lunghezza7,93 m
Apertura alare9,36 m
Altezza3,00 m
Superficie alare22,52
Peso max al decollo1 955 kg
Propulsione
Motore1 radiale a 9 cilindri raffreddato ad aria Piaggio P. XS Stella
Potenza700 Cavallo vapore (514,85 kW)
Prestazioni
Velocità max485 km/h a 10 000 m
Velocità di crociera449 km/h
Autonomia1 060 km
Tangenza8 000 m[N 1]

I dati sono estratti da Prototipi Stratosferici[2]

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Lo S.C.A. AQV era un aeroplano sperimentale italiano progettato e costruito dalla Società Costruzioni Aeronautiche di Guidonia per la Regia Aeronautica.

Storia del progetto[modifica | modifica wikitesto]

Il progetto dell'AQV (designazione di fabbrica Tipo 3) venne iniziato dall'ufficio tecnico della Società Costruzioni Aeronautiche di Guidonia, ditta di proprietà del Ministero dell'Aeronautica. Il velivolo venne progettato dagli ingegneri Giuseppe Schepisi e Roberto Minieri, entrambi capitani della Regia Aeronautica. Il prototipo venne completato già nel 1937, ma alla data del 1º dicembre 1939 non aveva ancora effettuato il primo volo. Infatti nel giugno dello stesso anno era stato dichiarato obsoleto senza mai essere stato messo in condizioni di effettuare voli stratosferici.

Tecnica[modifica | modifica wikitesto]

Lo S.C.A. AQV era un velivolo per ricerche e voli da primato ad alta quota, monoplano, monomotore, biposto.[2]

La fusoliera era realizzata con struttura metallica ricoperta da pannelli in duralluminio, mentre la velatura era monoplana, con profilo ad ala bassa. Il carrello d'atterraggio era triciclo posteriore fisso, con le gambe principali carenate, e ruotino d'appoggio posizionato sotto la coda. La cabina di pilotaggio, biposto in tandem, era caratterizzata dal fatto di essere quasi completamente annegata all'interno della fusoliera, così da ottenere il massimo rendimento aerodinamico. L'accesso avveniva tramite un portello sul lato sinistro.

La propulsione era affidata ad un motore radiale Piaggio P. XS Stella a 9 cilindri, raffreddato ad aria, in grado di erogare la potenza di 700 CV (514,85 kW), a 8 000 m.[3] Il propulsore era dotato di compressore a due velocità ed azionava un'elica quadripala lignea.[4]

Impiego operativo[modifica | modifica wikitesto]

Il prototipo dello S.C.A. AQV (sigla che probabilmente significa Alta Quota di Volo) venne portato in volo per la prima volta il 6 luglio 1940 nelle mani del pilota collaudatore Aldo Oddono[3] e sotto la supervisione del Reparto Alta Quota.[3] Presso tale reparto l'aereo compì un totale di 36 voli, l'ultimo dei quali avvenuto in data 7 novembre 1941. Durante tali voli di collaudo venne raggiunta una tangenza massima di 8 000 m. Il 25 luglio 1942 il Reparto Alta Quota (RAQ)[3] venne sciolto, e il prototipo fu demolito in una data compresa tra il giugno ed il settembre 1943. Secondo alcune fonti per un breve periodo ne venne considerato l'uso come ricognitore strategico,[3] e fu prevista l'adozione di un nuovo tipo di ipersostentatori, ma tutto ciò rimase allo stadio di progetto.[3]

Utilizzatori[modifica | modifica wikitesto]

Bandiera dell'Italia Italia

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Secondo alcune fonti la tangenza massima prevista era pari a 13 600 m.

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sgarlato 2011, p. 31.
  2. ^ a b Sgarlato 2011, p. 33.
  3. ^ a b c d e f Sgarlato 2011, p. 32.
  4. ^ Sgarlato 2011, p. 27.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Andrea Curami e Gianni Gambarini, Catalogo delle Matricole Militari della Ragia Aeronautica 1923-1943, Milano, 1992.
Periodici
  • Gregory Alegi, Il misterioso AQV, in Aerofan, n. 71, Milano, Giorgio Apostolo Editore, ottobre-dicembre 1999.
  • Nico Sgarlato, Prototipi stratosferici, in Aerei nella Storia, n. 80, Parma, West-Ward Edizioni, ottobre-novembre 2011, pp. 27-33, ISSN 1591-1071.