Calyptrochilum aurantiacum

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Calyptrochilum aurantiacum
Stato di conservazione
In pericolo[1]
Classificazione APG IV
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
(clade) Angiosperme
(clade) Mesangiosperme
(clade) Monocotiledoni
Ordine Asparagales
Famiglia Orchidaceae
Sottofamiglia Epidendroideae
Tribù Vandeae
Sottotribù Angraecinae
Genere Calyptrochilum
Specie C. aurantiacum
Classificazione Cronquist
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
Divisione Magnoliophyta
Classe Liliopsida
Ordine Orchidales
Famiglia Orchidaceae
Sottofamiglia Epidendroideae
Tribù Vandeae
Sottotribù Angraecinae
Genere Calyptrochilum
Specie C. aurantiacum
Nomenclatura binomiale
Calyptrochilum aurantiacum
(P.J.Cribb & Laan) Stévart, M.Simo & Droissart, 2018
Sinonimi

Ossiculum aurantiacum
P.J.Cribb & Laan

Calyptrochilum aurantiacum (P.J.Cribb & Laan) Stévart, M.Simo & Droissart, 2018 è una pianta della famiglia delle Orchidacee, endemica del Camerun.[2]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

È una specie epifita con fusto eretto, a sviluppo monopodiale, lungo sino a 15 cm.
Le foglie sono carnose, di forma oblungo-lanceolata, disposte in due file parallele.
La caratteristica distintiva di questa specie sono i fiori di colore arancio, con labello giallo, riuniti in infiorescenze che originano dall'ascella delle foglie. Lo sperone è lungo appena 1,5–2 mm.[3]

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

La presenza di questa specie, scoperta nel 1983, è documentata solo all'interno della riserva forestale del fiume Mungo, nel Camerun occidentale.[1]

Conservazione[modifica | modifica wikitesto]

C. aurantiacum è classificato dalla IUCN Red List come specie in pericolo di estinzione (Endangered).[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c (EN) Simo, M., Stévart, T., Pollard, B.J., Darbyshire, I. & Droissart, V. 2018, Calyptrochilum aurantiacum, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020. URL consultato il 27 febbraio 2021.
  2. ^ (EN) Calyptrochilum aurantiacum, su Plants of the World Online, Royal Botanic Gardens, Kew. URL consultato il 27 febbraio 2021.
  3. ^ Stewart et al. 2006, pp. 206-207.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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