Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova

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Voce principale: Isabella Teotochi Albrizzi.
Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova
AutoreIsabella Teotochi Albrizzi
1ª ed. originale1809
Generesaggio
Sottogenerecritica d'arte
Lingua originaleitaliano

Le Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova è una raccolta di descrizioni delle opere dello scultore Antonio Canova scritte da Isabella Teotochi Albrizzi.

La nascita dell'opera e le edizioni[modifica | modifica wikitesto]

Opera maggiore della colta dama, le Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova vengono edite nel 1809, prima a Venezia, poi a Firenze.

Una nuova edizione, dedicata a Tomaetto Mocenigo Soranzo, viene pubblicata nel 1810 insieme a La testa d'Elena, opera ispirata al busto che Canova regalò all'autrice.

La terza edizione viene stampata a Pisa nel 1821.

L'opera[modifica | modifica wikitesto]

Dedica[modifica | modifica wikitesto]

È una lettera indirizzata M... P... C... A... ad aprire l'opera. Il destinatario è quasi sicuramente il Marchese Pindemonte, cui l'autrice si riferisce spesso nella corrispondenza di quel periodo con le parole, di regola abbreviate, Caro Amico. Isabella Teotochi Albrizzi precisa subito:

«Senza cognizioni, a tant'uopo necessarie, dell'arte sublime della Scultura, io mi sono guardata dall'offenderne l'eccellenza parlandone poco e male[1]

Decide infatti di ordinare le opere senza però distinzione alcuna del tempo in cui furono eseguite, e come mi accadeva di vederle, e di ammirarne l'eccellenza[1].

Troviamo quindi una precisa dichiarazione d'intenti:

«Io dunque ad altro non aspiro, che a risvegliare, s'è possibile, in qualche parte almeno, in voi, ed in quelli che per avventura leggeranno queste mie descrizioni, quei medesimi sentimenti, che le produzioni sublimi del più gran Genio dell'età nostra, in fatto di Belle Arti, hanno destato nell'animo mio[1]

L'autrice si trova però a dover superare evidenti limiti:

«Ma quella idea medesima della bellezza, che viene in mille e mille maniere diverse rappresentata da un dotto Scultore, il quale alla infinita varietà della natura che imita, aggiunge la fortunata combinazione del bello ideale che crea, non ha che pochissime voci per essere espressa dallo scrittore[1]

Principali sculture descritte[modifica | modifica wikitesto]

Incisione della Testa di Elena tratta dalle Opere di scultura e di plastica di Antonio Canova

La Testa di Elena[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Testa di Elena.

Grato, il Canova ringrazierà l'autrice regalandole un busto di Elena.

Il busto venne probabilmente collocato nel casino di Isabella insieme ai bassorilievi sulla vita di Socrate che la dama acquisirà in seguito.

Tra gli altri, anche Lord Byron dedica un epigramma all'opera di Canova:

(EN)

«In this beloved marble view,
Above the works and thoughts of man,
What nature could, but would not, do,
And Beauty and Canova can!
Beyond imagination's power,
Beyond the bard's defeated art,
With immortality her dower,
Behold the Helen of the heart![2]»

(IT)

«In questa diletta visione marmorea,
al di sopra delle opere e dei pensieri dell’uomo,
ciò che la natura avrebbe potuto ma non volle fare,
Bellezza e Canova possono!
Al di là della forza dell’immaginazione
al di là dell’arte sconfitta del bardo,
con l’immortalità sua dote,
guardate, ecco l’Elena del cuore!»

Critica[modifica | modifica wikitesto]

Variegate furono le reazioni all'opera di Isabella Teotochi Albrizzi.

Nella corrispondenza con Vivant Denon l'impresa di Isabella, pur sollecitata e promossa, sembra apparire non priva di pericoli ed errori.

È a questo proposito necessario scandire i tempi responsabili del giudizio tra un ante e un post 1815. Bisogna infatti ricordare i rapporti non propriamente amichevoli intercorsi tra Canova, che si batté strenuamente perché le opere d'arte italiane rimanessero nella penisola, e il direttore del Musée Napoléon. Lo sconfitto Denon, che già in precedenza era stato fautore di una pacata critica (en rendant une sévére justice á Canova, je me fais chaque jour des ennemis et j'augmente le nombre de ceux de cet habile et brave artiste[3]), al tempo della restituzione delle opere d'arte italiane requisite da Napoleone, bollò Canova come l’emballeur.

Nel ricevere la seconda edizione nel 1810 Denon riconduce all'elogio che non lascia respiro e alla mancata storicizzazione dell'invenzione canoviana la sostanziale debolezza delle descrizioni di Isabella. In seguito le critiche del francese si faranno più pungenti[4].

Molto più cauto ma positivo è il giudizio di Ippolito Pindemonte: egli condivide con la dama la divinizzazione dello scultore e si riserva di notare come lo stile, di una bianca tristezza, sia funzionale non tanto ad emulare l'opera di Canova, quanto invece a darne un resoconto in un certo qual modo critico. Scrive poi, confrontando le Opere di Isabella con i Versi sui marmi del Canova di Melchiorre Missirini, citati da Pier Alessandro Paravia, autore di una biografia dello scultore di Possagno, tra i massimi risultati della critica canoviana:

«I versi del Signor Missirini […] non possono essere un ostacolo alle Descrizioni, così per la differenza, che sempre corre tra la poesia e la prosa, come per la ragione da voi accennata, che in que’ versi si loda, ma non si descrive[5]

Pietro Giordani, nemico dichiarato della Teotochi, (basti pensare al velenoso rimprovero al Canova per il dono della testa di Elena alla dama), preferisce i tentativi del giovane Faustino Tadini, Le sculture e pitture di Antonio Canova pubblicate fino a quest'anno 1795, opera nata in seguito alla visita del conte, allora ventunenne, allo studio romano dello scultore, mescola prosa e poesia. Scrive infatti:

«Nel libro di Tadini se lasci le poesie credo che non perdi niente: nelle descrizioni parmi aver trovato qualcosa di meglio che nell’epigrammatica Albrizzi[6]

La critica di Ugo Foscolo è invece strettamente legata alla poetica. Isabella, come si legge ad esempio nella descrizione originale della Statua Colossale di Napoleone, sovverte il rapporto tra le arti sorelle teorizzato da Giuseppe Parini:

«Achille ebbe Omero; ma Omero era poeta […]. Tu in questo marmo sei grande della tua propria grandezza. Tu solo, parlante e respirante quale ti sculse Canova, Tu solo sarai la prova maggiore ai secoli futuri delle favolose tue gesta[7]

Anteponendo la scultura alla poesia come mezzo espressivo, Isabella di fatto sovvertiva il principio fondante di tutta la poetica foscoliana.

Riguardo allo stile, il poeta muove poi alcuni appunti che, come nota Arnaldo Bruni, ritrattando le scelte adottate tre anni prima nella stesura Dei sepolcri, elevano il carteggio a premessa euristica, capace di disegnare i tratti di un'innovazione che incombe sul versante della poesia[8].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d Teotochi Albrizzi, Vol. I, cit. pp. VII-XI.
  2. ^ L’epigramma è citato in Pavanello, p. 22. Per il testo originale e la grafica adottata faccio riferimento alla copia autografa conservata nella Biblioteca Comunale di Verona, Carteggi Albrizzi, b. 190, Poesie in onore della Testa d’Elena.
  3. ^ Teotochi Albrizzi, Vol. I, cit. p. 11.
  4. ^ Teotochi Albrizzi, Vol. I, cit. p. 13.
  5. ^ Teotochi Albrizzi, Vol. I, cit. p. 14.
  6. ^ Teotochi Albrizzi, Vol. I, cit. p. 15.
  7. ^ Teotochi Albrizzi, Vol. II, cit. p. 99.
  8. ^ Bruni, cit. p. 60.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Isabella Teotochi Albrizzi, Opere di Scultura e di Plastica di Antonio Canova, ristampa anastatica dell’edizione di Pisa, a cura di M. Pastore Stocchi e G. Venturi, Bassano del Grappa, Istituto di Ricerca per gli studi su Canova e il Neoclassicismo, 2003.
  • G. Pavanello, L’opera completa del Canova, Torino, Rizzoli, 1999.
  • A. Bruni, Belle Vergini, «Le Grazie» tra Canova e Foscolo, Bologna, Il Mulino, 2009.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]