Medea (Ovidio)

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Medea
Titolo originaleMedea
Ritratto immaginario di Ovidio (di Anton von Werner)
AutorePublio Ovidio Nasone
1ª ed. originaleI secolo a.C.
Generetragedia
Lingua originalelatino

Medea è una tragedia perduta del poeta latino Publio Ovidio Nasone, scritta probabilmente nel I secolo a.C. nel periodo della sua giovinezza. Essa si basa sull'omonima tragedia di Euripide e sul riadattamento latino di Quinto Ennio.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

La trama riprende le tragedie omonime di Euripide ed Ennio, dove Medea cerca di vendicarsi di Giasone che l'ha abbandonata per sposare la figlia del re di Corinto, uccidendo sia la sposa e suo padre, sia i figli avuti con l'eroe del vello d'oro. Forse, secondo quanto si desume dall'Ars Poetica di Orazio, metteva in scena le crude scene dell'infanticidio.

I due unici frammenti rimasti si trovano nell'Institutio Oratoria di Quintiliano e nell'opera retorica di Seneca il Vecchio. Nel primo, di Quintiliano (Inst.orat. VIII,5,6), Medea è all'inizio della scena del primo dialogo con Giasone:

(LA)

«servare potui: perdere an possim rogas?»

(IT)

«Ho potuto salvarti: chiedi se possa distruggerti?»

Il secondo di Seneca il Vecchio è di difficile ubicazione, ma è certamente della tragedia perché le altre due narrazioni su Medea fatte da Ovidio ci sono pervenute.

(LA)

«Feror huc illuc, vae, plena deo»

(IT)

«Mi muovo qua e là, ahimè, invasata dal dio»

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