George Dew

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George Dew, detto anche George Hout o George d'Hout e indicato anche come D'Hout, Hout, Huff, Hutt, Dhout, Doo, Dhu e Dewes (Inghilterra, 1666Saint George, 1703), è stato un pirata inglese.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Old Rectory, la residenza di George Dew a Saint George, Bermuda.

Dew iniziò la propria carriera come marinaio a bordo di una nave schiavista lungo le coste dell'Africa occidentale, e successivamente lo troviamo a prendere parte ai raid pirateschi a Panama nel 1686.[1] Assieme a Francois Grogniet ed a Pierre Le Picard nel 1687 saccheggiò la città di Guayaquil in Ecuador, guidando il contingente inglese dopo la morte del loro comandante, Francis Townley, fino a Panama.[2] Dal 1691 ottenne un incarico dal governo coloniale delle Bermuda per attaccare le navi francesi, che inseguì fin nell'area delle colonie americane ed in Acadia.[1] In quell'anno con William Kidd salpò verso il fiume Piscataqua, minacciando il vicino forte francese.[3] Salpò poi assieme al comandante pirata Thomas Griffin, utilizzando come scusa la lettera di corsa ricevuta. Dew e Griffin vennero bloccati da Christopher Goffe, ex pirata divenuto cacciatore di pirati, nel mare appena fuori Boston con l'accusa di sospetta pirateria, ma gli sloops dei due pirati riuscirono a fuggire seminando Goffe.[2]

Tornato nelle Bermuda nel 1693, si sposò e sembrò iniziare una vita familiare, ma presto ripartì per mare.[3] Quando Thomas Tew salpò per l'Africa a bordo del suo sloop Amity per attaccare i porti francesi in Gambia nel 1693, Dew si unì a lui con lo sloop Amy. I due vascelli vennero poi colti da una tempesta e si separarono.[4] Tew ignorò quindi il suo obiettivo e fece vela verso il Madagascar. La Amy di Dew perse il suo albero maestro e riuscì a malapena a raggiungere la baia di Saldanha in Africa meridionale.[3] Venne quindi arrestato dagli olandesi ed accusato di pirateria. Inviato prigioniero nei Paesi Bassi per il processo, venne rilasciato per mancanza di prove e si rivalse contro il governo olandese con una nuova causa.[5]

Dal 1695 tornò nei Caraibi e a bordo del brigantino Marigold tentò di salpare dalle Barbados verso l'Africa. La sua nave venne però danneggiata da una tempesta e la sua ciurma si rifiutò di proseguire, costringendolo a tornare nelle Barbados a mani vuote.[3] Tornò in famiglia alle Bermuda e nel 1699 costruì una casa nota come Old Rectory, ancora oggi esistente.[6] Gli olandesi nella baia di Saldanha avevano ancora la sua vecchia nave, la Amy, che venne però smontata in quell'anno.[7] Dew venne eletto all'Assemblea Generale delle Bermuda della quale rimase membro sino alla sua morte nel 1703.[7] Una leggenda locale narra che Old Rectory sia ancora oggi infestata dal fantasma di Dew, che occasionalmente si può udire suonare un clavicembalo d'epoca conservato nella casa.[6][8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b (EN) Dew, George, - 1695 | Yale Indian Papers Project, su yipp.yale.edu. URL consultato il 30 luglio 2017.
  2. ^ a b (EN) David Marley, Daily Life of Pirates, Santa Barbara CA, ABC-CLIO, 2012, ISBN 9780313395635. URL consultato il 30 luglio 2017.
  3. ^ a b c d (EN) David Marley, Pirates of the Americas, Santa Barbara CA, ABC-CLIO, 2010, ISBN 9781598842012. URL consultato il 30 luglio 2017.
  4. ^ (EN) Michael J. Jarvis, In the Eye of All Trade: Bermuda, Bermudians, and the Maritime Atlantic World, 1680-1783, Chapel Hill NC, UNC Press Books, 2012, pp. 504, ISBN 9780807895887. URL consultato il 30 luglio 2017.
  5. ^ (EN) George McCall Theal, History of South Africa Under the Administration of the Dutch East India Company, 1652 to 1795, London, S. Sonnenschein & Company, Limited, 1897, p. 374. URL consultato il 30 luglio 2017.
  6. ^ a b (EN) Old Rectory - St. George, George's Parish, Bermuda - Pirates on Waymarking.com, su waymarking.com. URL consultato il 30 luglio 2017.
  7. ^ a b An Investigation into the Family of, su rootsweb.ancestry.com. URL consultato il 30 luglio 2017.
  8. ^ (EN) Haunted Bermuda: 5 Ghosts You Might Meet on the Island, su Go To Bermuda, 2 giugno 2016. URL consultato il 30 luglio 2017.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]