Eugenia Martinet

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Eugenia Martinet

Eugenia Martinet, conosciuta come Eugénie (francesizzazione) o come Ninì (Aosta, 2 novembre 1896Aosta, 23 gennaio 1983), è stata una poetessa italiana.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Figlia di César Martinet e di Angèle Fournier, Eugenia nasce da una delle più note e antiche famiglie aostane, originaria di La Thuile: il nonno Jules Martinet era stato sindaco, lo zio Jean-Laurent deputato, il padre avvocato e socialista dalle origini.
I fratelli: Carlo, ingegnere, è dovuto emigrare in Francia perché aveva rifiutato il giuramento fascista; Lea si era battuta per gli ideali comunisti; Dora aveva sposato lo scrittore Sergio Solmi; Alda è stata la prima donna procuratore della Valle d'Aosta.
Il 1º maggio 1920 tenne un discorso pubblico per la festa dei lavoratori, il suo intervento venne ricordato come un "discorso bolscevico tenuto da una demoiselle".

La perdita di un amico, Dante Malagutti, sostituto collaboratore del padre che cadde sul Carso il 24 maggio 1917 colpì la Martinet ventenne.
Nel 1920 sposa Luigi Dolchi, un universitario di Milano, già capitano del battaglione Aosta nella grande guerra.
Nel 1921 nasce il loro unico figlio, Giulio. Si trasferiscono a Milano, Luigi lavora alla Montecatini, Ninì insegna alle medie superiori.
A Milano Eugenia approfondirà la sua formazione intellettuale e politica. Quando era all'università di Torino aveva conosciuto Antonio Gramsci, a Milano si avvicina all'ambiente dell'avanguardia antifascista di Riccardo Bauer.
Quando arriva a Milano anche la sorella Dora, nel 1924, frequenta casa Solmi, dove può conoscere Umberto Saba, Eugenio Montale, Carlo Emilio Gadda, Elio Vittorini, Lalla Romano e nel dopoguerra Ferruccio Parri, Nilde Iotti e Palmiro Togliatti.

Scoppiava la seconda guerra mondiale: il marito viene richiamato nel 1939: prima il fronte occidentale, poi la Grecia e la Sicilia, infine il lager tedesco. Ritornerà a casa nel 1946.
Il figlio Giulio Dolchi militerà nelle file partigiane col nome di Dudo.
In questi difficili anni si rifugia a Bibian nella casa paterna. Finita la guerra, i Dolchi si ricongiungono e ritornano a Milano, dove frequenta l'ambiente del "Politecnico" di Elio Vittorini e della "Rassegna d'Italia" di Francesco Flora. Alla morte del marito nel 1968 ritorna a Bibian.

Eugenia Martinet muore a Bibian, sulla collina di Aosta, il 23 gennaio 1983.

Poetica[modifica | modifica wikitesto]

(FRP)

«Su dove rime (rondò a dudo)
Su dove rime fà ballié passadzo
i tormèn, à la joué é i dammatzo
de noutra via, é tegnè, tot aplan,
avei la guida ferma deun la man
que atten son tor sensa pèdre coradzo.

Pà fâta de mistéro o d'étaladzo
pe sotteni, mecllià deun lo tapadzo,
eun mottet que conserve son balan
su dove rime,

...»

(IT)

«Su due rime
Su due rime dobbiamo dar passaggio
al tormento, alla gioia ed al guasto
della nostra vita, e, tenendo ogni cosa a sesto,
aver la guida ferma nella mano
che attende il suo turno senza perder coraggio.

Non è il caso di mistero o di ostentazione
per sostenere, mescolato nel frastuono,
un mottetto che conserva il suo bilanciarsi
su due rime,

...»

In casa la Martinet ha sempre parlato francese, ma non ha mai composto poesia in madrelingua, salvo rare eccezioni rimaste inedite.
Ha ricevuto l'educazione scolastica in italiano ed in italiano ha iniziato a comporre.
Ma è con la scoperta del patois valdostano che trova la sua collocazione stilistica sperimentando un linguaggio più complesso e ritmi diversi e la condurrà alla fine all'uso esclusivo, ottenendo i riconoscimenti maggiori. Il dialetto valdostano viene utilizzato senza tradizionalismi.
Non è solo una scelta stilistica e strumentale. Il patois è il naturale sbocco delle sue convinzioni di "esprit livre", delle sue vicende familiari e di valdostana lontana dalla sua terra e dalle sue radici: in esso Ninì ritrova la sua identità.
Eugenio Montale così ha commentato la sua poesia:

«Poesia casalinga e magica, valligiana e aperta al senso dell'universo. ... Di fronte ai suoi risultati non ha senso parlare di lingua o di dialetto, di modernità o di tradizione. C'è solo da leggere per essere convinti e stupiti.»

Opere[modifica | modifica wikitesto]

(FRP)

«Gramacì
Ah, gramacì, la via,
t'é étaie sempla é ardia
é sta mateun dze vouì me reverrié
pe tìaveitzé.
La quenta de no dove
l'a meinà l'altra? Trove
te que te m'a tzecca trop épouériaie
pe rendre saie
ma fantasì de tëta?
A carmé la tempëta
te m'a eidzaie chovèn sensa malece
douça nereusse.»

(IT)

«Grazie
Ah, grazie, la vita,
sei stata semplice ed ardita,
e stamattina voglio voltarmi
per guardarti
Quale di noi due
ha condotto l'altra? Trovi
che m'hai un po' troppo impaurita
per render savia
la mia fantasia di testa?
A calmar la tempesta
tu m'hai spesso aiutata senza malizia
dolce nutrice.»

(FRP)

«Deun lo tennadzo
Deun lo tennadzo iver, tzeut épouérià,
iliotzenla tëta è lo regar crouéijà,
n'en coutzà su lo flan la grossa tenna.
Lo vegnolan dijèt: l'a beurta menna,
poue: dâne, dâne, eun cou l'aièt crià.

Que de seison le jeu l'an caréchà
le douve épesse è lo sercllio sarrà,
lé, drèite é lardze come euna colenna
deun lo tennadzo.

Tot a catzon eun dzor l'à comenchà
a se leiché mouffì. Lo veun terrià,
sortì lo dèque, l'à sentu l'etzenna
doucemèn se défëre... viéllie tenna,
dz'ì apprei ton secrèt de resegnà
deun lo tennadzo.»

(IT)

«Nella tinaia
Nella tinaia aperta, tutti spaventati
scuotendo il capo e gli sguardi incrociati,
abbiamo coricato sul fianco il grande tino.
Il vignaiuolo diceva: ha brutta cera,
poi: perde, perde, una volta aveva gridato.

Per quante stagioni gli occhi hanno accarezzato
lep doghe spesse ed il cerchio stretto,
lì, diritto e largo come una colonna
nella tinaia.

Di nascosto un giorno ha incominciato
a lasciarsi ammuffire. Spillato il vino,
estratta la vinaccia, ha sentito la sua schiena
dolcemente disfarsi... vecchio tino,
ho rappreso il tuo segreto di rassegnato
nella tinaia.»

Le sue opere
  • Primo dono, tip. Balzaretti, Milano, 1925.
  • Al piccolo Giulio, 1929.
  • La Dzouére entzarmaie, ed. Convivio letterario, Milano, 1935.
  • Se vuoi ti guido io, Itla, Aosta, 1957.
  • Meison de berrio, meison de glliese, Il nuovo cracas, Roma, 1964.
  • Collaborazioni a numerose riviste, di cui:
  • Il convivio letterario - Milano.
  • Il lavoro - Genova.
  • Le mont blanc - Aosta.
  • Lo partisan - Aosta.
  • Ij brandë - Torino.
  • Armanach Piemontèis - Torino.
  • Le flambeau - Aosta.
  • El tòr - Roma.
  • L'appollo buongustaio - Roma.
  • Fiore della poesia dialettale - Roma.
  • Arc, periodico delle regioni dell'arco alpino - Udine.
(FRP)

«Condzà
Devan que de quetté 'n altro cou lo paì
on tzertze de leichéan bagga que valèie,
më on a lo coeur que tremble de partì.

De seison son passaie, et lavèntze et éboulì
se mécllion a la toula: se la treucca l'è forta
sen passé lo gateuil et per pa son arbri.

Et cru come de larme que chorton sensa crì,
todzor en aveitzen l'arëta di rouëse,
l'arbro baille sa pèdze et l'ommo son espri.»

(IT)

«Congedo
Prima di abbandonare un'altra volta il paese
si cerca di lasciare una cosa che valga,
ma si ha il cuore così pieno che trema di partire.

Delle stagioni sono trascorse e valanghe e frane
si mescolano alla zolla: se il ceppo è forte,
sente passare il solletico e non perde il suo riparo.

E con la crudezza delle lacrime che escono senza grido,
sempre guardando il profilarsi dei ghiacciai,
l'albero dà la sua resina e l'uomo l'animo suo.»

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Italian Dialect Poetry