Ercole del Teatro di Pompeo

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L'Ercole del Teatro di Pompeo, noto anche come Ercole Mastai-Righetti, è una statua in bronzo dorato scoperta presso il cortile del Palazzo Orsini Pio Righetti, vicino a Campo de' Fiori nell'area del Teatro di Pompeo, nell'agosto 1864 e conservata nella Sala Rotonda del Museo Pio-Clementino in Vaticano.

Ercole del Teatro di Pompeo (Musei vaticani, Roma).


La statua al momento del ritrovamento

La figura di Ercole si appoggia leggermente con la mano destra su una clava tenuta in verticale e la mano sinistra con il palmo verso l'alto forse a reggere la Mela d'oro del giardino delle Esperidi. La mela è l'attributo tipico di Ercole in Occidente, dove aveva vinto Gerione. Sull'avambraccio sinistro è drappeggiata la pelle del leone di Nemea.

La statua in bronzo, alta 383 cm, è probabilmente una copia romana, la cui datazione oscilla tra la fine del I e il III secolo d.C., di un originale greco che risale al 390-370 a.C. Il busto presenta cifre stilistiche proprie dell’età antonina, la testa risulta invece sproporzionata e potrebbe essere stata rifatta in seguito.

Mostra caratteristiche simili all'Ercole del Foro Boario: entrambe le sculture mostrano il chiasmo tipico dello stile di Lisippo.


Il ritrovamento

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Nel 1864 il facoltoso banchiere Pietro Righetti, da poco acquistato Palazzo Pio (piazza del Biscione), stava realizzando dei lavori di rinforzo delle fondamenta. L’8 agosto, scavando sotto il cortile, gli operai si imbatterono in un muro antico, notando un frammento bronzeo di un dito. Gli scavi, diretti dall’ingegnere Luigi Gabet, permisero di ritrovare a circa 450 cm di profondità un muro in peperino (pietra vulcanica) fiancheggiato da mezze colonne. Questo muro doveva probabilmente essere parte delle fondamenta del Tempio di Venere Vincitrice, che si ergeva nella parte superiore della cavea dell’antico Teatro di Pompeo.

Il 31 agosto, a sud del muro, dentro una fossa circondata da lastre di travertino (disposte a formare una sorta di capanna), fu ritrovata la grande statua di bronzo dorato. Sembrava essere stata adagiata con cura in posizione orizzontale ed era in buone condizioni: i piedi erano rotti, e mancavano la parte posteriore del cranio e il pube. Sotto la statua fu ritrovato un frammento, la pelle del leone di Nemea, secondo il mito ucciso dallo stesso Ercole.

Nel mese di settembre i lavori si incentrarono sull’estrazione del colosso, e furono rinvenute alcune delle parti mancanti: il piede destro, frammenti della clava con la quale l’eroe aveva ammazzato il leone, nonché una pietra triangolare di travertino con inciso "FCS".

Il 1º ottobre la statua fu estratta e collocata in una sala adiacente al cortile di Palazzo Pio Righetti, dove venne sottoposta a un primo intervento di restauro guidato da Pietro Tenerani, direttore dei Musei Vaticani. Il 25 ottobre l’Accademia di San Luca ne stimò il valore in circa 50mila scudi. A questa cifra Pietro Righetti la vendette a papa Pio IX il 26 novembre, nonostante avesse ricevuto offerte più sostanziose rispetto a quella dei Musei Vaticani. La cessione venne ratificata il 9 gennaio 1865. Il colosso, ribattezzato Ercole Mastai-Righetti (dai cognomi rispettivamente del papa e del proprietario), venne consegnato in Vaticano il 31 gennaio 1865 e nell’aprile 1866 fu esposto nella sala rotonda del Museo Pio Clementino, dove si trova ancora oggi.

Il ritrovamento dell’Ercole fu un evento spettacolare, che ebbe grande risonanza nella Roma dell’epoca e fece rivivere l’antico mito dei tesori nascosti. Fin da subito si aprì un intenso dibattito tra gli archeologi in merito alla sua datazione, alla sua collocazione originaria e al perché fosse stato sepolto con tanta cura.

Fondamentale fu il lavoro di Carlo Pietrangeli. Concentrandosi sull'iscrizione "FCS" presente sulla pietra triangolare che fungeva da timpano alla struttura, a forma di capanna, all’interno della quale fu ritrovata la statua, interpretò la sigla in Fulgur conditum summanium (“qui è sepolto un fulmine di Summano”): la statua fu danneggiata da una saetta e quindi sepolta in situ.

Secondo un’antica credenza religiosa (comune a molti popoli antichi e che i romani avevano ereditato dagli etruschi) i fulmini erano espressione delle forze divine. Il luogo colpito, detto “bidentale”, diveniva un locus religiosus, un’area sacra, e le cose folgorate dovevano essere sepolte sul posto, in un pozzo o in una cassa circondata a sua volta da un muro. L’Ercole Mastai Righetti venne sepolto nelle vicinanze di dove si trovava prima di essere colpito dal fulmine. Il colosso di bronzo abbelliva dunque la scena del Teatro di Pompeo e in particolare l’adiacente Tempio di Venere Vincitrice.


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