Discussione:Casperia

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«E l'aria, l'aria! Soprattuttu l'aria!
Te sse fa respirà senza fatica,
Che diventar vorrissi na vescica
Grossa come a montagna de Vacone,
pe refiatalla tutta in un boccone.
»

«Casperia è uno di quei luoghi miracolosi in cui il trapasso dalla civiltà contadina a quella urbana industriale e dei servizi è avvenuto senza la distruzione del passato.»

Personalità[modifica wikitesto]

Metto qua, nel caso si trattasse di personaggi enciclopedici. Ad oggi non hanno una voce in wikipedia. Nel caso lo fossero, andrebbe creata la singola voce, e il link a Casperia.

Francesco Massari[modifica wikitesto]

Nato ad Aspra nel 1503 e morto il 15 aprile 1560. Zio o prozio del poeta e giurista Orazio Massari. Dopo aver svolto importanti mansioni nel governo pontificio, nel 1551 fu chiamato a ricoprire la carica di tesoriere generale della Camera apostolica.

Nel 1554, essendo il debito della comunità di Aspra verso le casse pontificie accresciuto fino a raggiungere 360 scudi, fece in modo che fosse dimezzata la quota annuale e la diminuzione del debito. II 21 aprile di quell’anno il tesoriere comunicò tale formalità alla comunità: « Hor voi havete a ringratiare Dio dell’occasione di potere ottener questa grazia che vi si è concessa, rendendovi sicuri dell’animo mio non è desiderio più efficace che di far beneficio alla patria mia et se per hora si è fatto tanto possette molto più sperarne per l’avenire come vedrete con effetti nelle occasioni che si presenteranno di mano in mano. Intanto dovete per soddisfation dell’obbligo vostro et dell’honor mio che ho fata la gratia accomodarvi a pagar prontamente per che così facendo tanto più mi accenderete a procurarvi maggior bene ». E non tralasciò di indirizzare ai conterranei un’ultima esortazione: « Però non guastate la coda al pavone ». Un ammonimento di poco anteriore alla sua carcerazione in Castel Sant'Angelo, accusato di « grandissime rubbarie fatte nella thesoreria ».

Nel Libro delle proposte consigliari e dei decreti, conservato nell’Archivio storico comunale di Casperia, nella seduta del 23 ottobre 1555 la comunità deliberò di inviare una supplica a Roma, ad Onorio, Ostilio, Flaminio Savelli ed al cardinale Savelli affinché intervenissero in favore di Francesco Massari.

Allo scopo di possedere una sepoltura degna del suo rango acquistò dal comune ed avviò, a sue spese, i lavori di ricostruzione della chiesa del Ss. Salvatore a Montefiolo. Nel 1559 il Massari dispose nel testamento che il restauro venisse ultimato e la chiesa abbellita con affreschi di buoni artisti e belle suppellettili per destinarla a cappella di jus patronato e sepoltura della famiglia Massari. Offrì l’edificio di culto e le terre ai frati cappuccini in cambio di un congruo numero di messe da celebrare per la salvezza della sua anima dopo la morte. È, infatti, nel convento di Montefiolo che Francesco venne sepolto e a ricordarlo resta ancor oggi una lapide.

Francesco Massari nel Dizionario biografico Treccani.

Francesco Testa[modifica wikitesto]

Il medico personale di papa Paolo IV era un asprese che si chiamava Francesco Testa. Nato probabilmente nel 1510, aveva fatto brillanti studi di medicina a Roma e per la sua grande fama fu scelto da papa Carafa che lo tenne al suo servizio durante tutto il suo pontificato, ossia dal 1555 al 1559.

Girolamo Saraceni[modifica wikitesto]

Nato ad Aspra verso la metà del XVI secolo, aveva abbracciato la carriera ecclesiastica. Si era poi recato a Roma dove, grazie alla sua abilità, era arrivato a ricoprire una delle cariche più elevate nell’amministrazione pontificia, quella di Ispettore generale della Moneta del Buon Governo. Probabilmente fu per la volontà di essere sepolto nella sua terra natia che fece costruire la chiesa della Ss. Annunziata, lasciando i fondi necessari per far proseguire l’opera dopo la sua morte.

Orazio Massari[modifica wikitesto]

Giurista asprese, esponente dell’illustre famiglia dei Massari, nato ad Aspra verso la metà del secolo XVI. La data esatta ci è sconosciuta e non sappiamo neppure se la sua opera fu scritta nell’avito palazzo cinquecentesco che esiste ancora oggi e guarda al tramonto. Lo zio o il prozio del poeta-guirista era Francesco Massari, tesoriere della Camera apostolica.

Orazio effettuò gli studi giuridici a Roma, fu nominato dottore in entrambe i diritti (canonico e civile). Ma la sua vera passione era la poesia. Gli studi giuridici, tradizione nelle famiglie patrizie sabine, permettevano di accedere alle alte cariche pubbliche di podestà, gonfaloniere, notaio o priore delle diverse città. Non sappiamo granché di questo Massari, neppure se sia stato sepolto nella cappella gentilizia di Montefiolo oppure a Roma.

Sul finire del Cinquecento, scrisse la Sabiniade, poema in esametri dattilici, composto da quattro canti. L’opera, ispirata all’Eneide di Virgilio, era dedicata al cardinale Odoardo Farnese e cantava l’origine e le gesta degli antichi Sabini. Rammentiamo che nessuno, prima di lui, aveva mai messo in versi le loro vicende e la loro storia. Il poema fu pubblicato a Roma nella stamperia di Gian Domenico Liliotti nell’anno giubilare del 1600 con l’intento di onorare tale ricorrenza religiosa. L’opera del Massari non ha avuto, malgrado la sua eleganza e vivacità, molto successo; pochi in realtà l’hanno letta ed ammirata, e l’uso del latino ne ha reso difficile la diffusione in un tempo in cui il latino umanista, scelto come lingua poetica, cominciava a decadere, essendo il volgare divenuto degna lingua poetico-letteraria e l’argomento cavalleresco preferito a quello classico-mitologico. La Sabiniade fu oggetto di invidie e critiche da parte dei contemporanei che, non riuscendo a fare opera altrettanto grandiosa, trovarono più comodo sparlarne e di quanti hanno cercato di leggervi, erroneamente, argomenti storici nei versi scritti solo per esser poesia. Bisogna, infatti, convenire che l’asprese ha lasciato ai posteri col suo poema qualcosa di valido e di degno che arricchisce il patrimonio culturale dell’umanità.

Marco Antonio Lucarelli[modifica wikitesto]

Nato ad Aspra l’8 gennaio 1657, morto il 1 novembre 1714. Fu sepolto nella chiesa del Ss. Salvatore a Montefiolo, la pietra sepolcrale lo definisce: « Patricius casperiensis ». A Roma ricoprì con onore la carica di alfiere e, più tardi, di comandante delle pontificie Guardie corazzate a cavallo.

Giovanni Battista Nardi[modifica wikitesto]

Discendente di una delle più antiche famiglie aspresi, sul finire del Settecento, poco prima dell’invasione repubblicana francese, fu nominato dalla curia apostolica «governatore suffraganeo» della Sabina. Nella sagrestia della parrocchia, sotto la sua presidenza si riunì il consiglio di guerra per organizzare la resistenza contro i Francesi e si decise di rinforzare le porte del paese. La sua famiglia, caduti in disgrazia i Bruschi, dominava Aspra. Il potere di mons. Nardi durò fino alla guerra d’indipendenza del 1848 ed alla Repubblica romana.

Dopo una gioventù movimentata, divenne avvocato della Sacra Rota. Nemico del movimento liberale e delle famiglie aspresi Bruschi e Perrini per le loro simpatie liberali, organizzò i sanfedisti in Sabina. Era diventato il rappresentante ufficiale degli aspresi e dei sabini presso la curia romana e si considerava il vero feudatario della regione.

Trasformò l’antica Porta S. Maria in una sorta di arco trionfale in suo onore sulla quale possiamo leggere l’enfatica iscrizione: « Tota Sabina Civitas patriciatus restitutus census agrarius redactus academia Romae instituta orphonotrophia in provincia designata curante Ioanne Baptista Nardi Aloysi optime de patria meriti filio ex antiqua Casperiae gente hoc monumentum ad memoriam posterorum ». In questa lapide il Nardi ricorda la presunta origine di Aspra dall’antica Casperia.

Il Nardi acquistò un palazzo al centro di Roma, vicino piazza Barberini, pomposamente chiamato Palazzo del Patriziato e Collegio sabino che fu origine di molti grattacapi per i successori perché i fondi affidatigli dai capifamiglia sabini erano stati dilapidati in spese inutili. Mons. Nardi considerava il palazzo come un bene personale e lo amministrava come fosse sua esclusiva proprietà. Questo creò una rottura con i notabili sabini, che intentarono un lungo processo proseguito anche dopo la sua morte.

Mons. Nardi fece inquisire dal Santo Uffizio diversi aspresi fra cui i fratelli Giovanni e Stolano Perrini con il sospetto di aver fatto parte di una società segreta (per tale reato era prevista la pena di morte). Al tempo l’Inquisizione spiava ovunque, nella vita pubblica e privata delle persone. Le periodiche visite che il Nardi, con la scusa delle benedizioni, effettuava nelle dimore permettevano di conoscere le abitudini dei concittadini e di annotare ogni particolare.

Ignazio Gennari[modifica wikitesto]

Nato ad Aspra il 30 luglio 1886 da una famiglia di vecchia stirpe contadina. Visse dapprima nella terra di proprietà dei genitori, entrò poi nelle Ferrovie dello Stato e si stabilì inizialmente a Roma e poi ad Orte. Durante la Prima guerra mondiale fu trasferito a Padova come ferroviere militare.

In quegli anni continuò a leggere con passione i poeti dialettali laziali come Giovacchino Belli, Cesare Pascarella, Giulio Cesare Santini e Trilussa. Fu così che gli venne l’idea di scrivere qualche poesia in dialetto asprese, dialetto che della famiglia dei vernacoli sabini, ma «più incisivo, più rustico, più delizioso», come soleva dire l’autore.

Nominato capotreno, il poeta continuò a verseggiare fra una stazione e l’altra, scrivendo per sé e per la moglie che, malata e incurabile, era fra le poche persone in grado di apprezzare le arguzie poetiche del marito. Poi, un giorno, tornato in vacanza ad Aspra, incontrò il podestà Adolfo Colalelli ed accettò di recitare alcune delle sue poesie in asprese. Questi e gli altri assistenti apprezzarono il suo estro e lo convinsero a pubblicare i suoi versi.

Dopo la Grande guerra la sua vita fu amareggiata da diversi gravi avvenimenti: le sofferenze della moglie ammalata si accentuarono; poi, nel 1933, quando era capotreno, venne licenziato dalle Ferrovie dello Stato per scarso rendimento ma in realtà perché attivo sindacalista e noto antifascista. Nel 1943 la sua casa romana fu distrutta dal bombardamento alleato che colpì il quartiere di S. Lorenzo. Nel 1945 viene riassunto dalle Ferrovie dello Stato ma ben presto raggiunge l’età della pensione e tornò nella sua terra natale, nella frazione di S. Vito.

Dopo U paesanu curiusu del 1931, nel 1953 pubblicò una seconda opera poetica alla quale diede il titolo di Aspra (Casperia). La morte lo colse nel 1958: è sepolto nel cimitero comunale nella tomba di famiglia. Nel 1999 gli viene intitolato il teatro comunale di Casperia. Nel 2010 l'amministrazione comunale gli ha dedicato un concorso di letteratura dialettale.

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