Chiesa di Sant'Agostino (Montepulciano)

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Chiesa di Sant'Agostino
Facciata
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneToscana
LocalitàMontepulciano
Coordinate43°05′44.38″N 11°47′01.81″E / 43.095662°N 11.783837°E43.095662; 11.783837
Religionecattolica
Diocesi Montepulciano-Chiusi-Pienza
Consacrazione1285
Il campanile
Michelozzo di Bartolomeo, Madonna col Bambino tra i santi Agostino e Giovanni Battista, 1439
Interno
Giovanni di Paolo, San Bernardino da Siena, 1456
Lorenzo di Credi, Crocifissione con dolenti, primo quarto del XVI secolo
Organo a canne
Le spoglie mortali del beato Bartolomeo Pucci-Franceschi

La chiesa di Sant'Agostino si trova a Montepulciano, in provincia di Siena e diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza.

Fondata nel 1285, fu completamente ristrutturata nel XV secolo, con l'intervento di Michelozzo di Bartolomeo per la realizzazione della parte bassa della facciata, scandita da lesene scanalate, sovrastate da nicchie che inquadrano il portale, nella cui lunetta è un rilievo in terracotta con la Madonna e i Santi Giovanni Battista e Agostino.

La parte superiore della facciata è stata realizzata successivamente. I restauri eseguiti nel 1784-1791 hanno modificato l'impianto originale, del quale resta l'unica navata.

All'interno, una Resurrezione di Lazzaro di Alessandro Allori, un San Nicola da Tolentino di Giovanni di Paolo, un Crocifisso ligneo policromo di Antonio da Sangallo, una Crocifissione con dolenti di Lorenzo di Credi.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'Opera, la Fraternita e l'inizio della Fabbrica[modifica | modifica wikitesto]

«Nel 1285, ottenuta la facoltà, e permesso di por mano alla nuova Fabbrica della Chiesa, sotto il titolo di Santo Agostino Nuovo, da Monsignor Guglielmo de' Conti Ubertini Vescovo di Arezzo, sotto la cui Giurisdizione Ecclesiastica era allora sottoposto Montepulciano, con special suo Breve, nel Pontificato di Papa Onorio Quarto, l'istesso Prelato benedisse la Prima Pietra Fondamentale, che fu collocata sotto il Campanile, e poi insinuò ai suoi Poliziani il prestare la loro opera, con portare i materiali necessarii per il proseguimento della Fabbrica...ma, defaticati i benefattori, l’Impresa per Loro padri, era troppo vasta, furono necessitati diminuire Loro stessi di numero, e ripartirsi in altri conventi, e sospendere il proseguimento, fino a migliori assegnamenti...»

La citazione che parla di un breve del vescovo di Arezzo Guglielmo dei conti Ubertini, ci permette di datare l'inizio dei lavori della Fabbrica di Sant'Agostino all'anno 1285, quando lo stesso vescovo benedisse la prima pietra della chiesa voluta dagli Agostiniani. Essi appartenevano all'Ordine degli Eremitani di Sant'Agostino, e stanziatisi a Montepulciano nel corso del XIII secolo, officiavano in quel periodo nella ormai fatiscente chiesa di San Marco, probabilmente ubicata tra l'attuale Piazzale Pasquino e la cinta esterna delle mura cittadine, nelle immediate vicinanze cioè di dove si iniziò ad erigere la chiesa di Sant'Agostino. Lo stesso breve prevedeva che fosse concessa la facoltà di un'indulgenza di quaranta giorni per ogni giorno impegnato durante la costruzione della chiesa, fino al suo compimento, per gli abitanti che avessero portato materiali o avessero lavorato per l'esecuzione della chiesa. Del documento emanato dal vescovo aretino, ad oggi, non esiste più alcuna traccia.

È comunque possibile dare per scontata come data di inizio dei lavori il 1285 in virtù del fatto che essa è confermata da ulteriori fonti manoscritte che riportano l'accaduto. Il riferimento è una memoria storica datata 31 maggio 1883 redatta dal parroco don Giovanni Bozzini e timbrata “Ospedale San Cristofano di Montepulciano”, porta notizia dell'acquisto, da parte degli stessi Agostiniani, di possedimenti nei dintorni della chiesa di San Marco negli anni precedenti all'inizio dei lavori di costruzione della nuova chiesa, vale a dire tra il 1259 e il 1269. Attraverso le consultazioni dei pochi documenti esistenti è però difficile stabilire l'esatto iter costruttivo della chiesa. Analizzando le informazioni a nostra disposizione emergono una serie di dati contrastanti che da una parte indicherebbero la costruzione di un Sant'Agostino vecchio (1285-inizio ‘300) e di un Sant'Agostino nuovo (1364-1440), e dall'altra una continuità di interventi, pur con lunghe pause, nei circa centosessant'anni che separano la data iniziale da quella finale.

Di un Sant'Agostino vecchio si parla nel primo libro esistente dell'archivio dell'Opera (1424), anche il Repetti nella prima metà dell'Ottocento implicitamente conferma l'esistenza delle due chiese: “la chiesa di Sant'Agostino....fu fabbricata alla fine del secolo XIV, e chiamavasi la ‘Chiesa Nuova’”. Altro fatto che confermerebbe quanto detto sopra, è il contenuto di una lettera, riportata in copia nell'ultimo volume delle Deliberazioni della Fraternita, inviata dagli Agostiniani al Granduca Pietro Leopoldo. Essi sostenevano che la fabbrica della chiesa fosse iniziata nel 1364 e che era da far risalire a quell'epoca anche la nascita dell'Opera, come sarebbe risultato da un non meglio precisato atto notarile di quell'anno.

D'altra parte l'esistenza delle due chiese viene messa in dubbio dalla rubrica 182 del libro del sindaco degli Statuti Comunali del 1337: si afferma che vengono date Lire 1.100 annue per sei anni, oltre le 80 che già venivano elargite per la fabbrica di Sant'Agostino.

Il fatto testimonia che la chiesa era a quel tempo in una fase costruttiva tale da essere lontana dall'ultimazione, in quanto, se un Sant'Agostino vecchio fosse già stato edificato non sarebbero giustificati tali assegnamenti, tipici di una costruzione in corso d'opera. Per avvalorare l'ipotesi di un'unica edificazione, protrattasi per lungo tempo è opportuno riportare un passo della precedentemente citata memoria, dove si legge come si sarebbe giunti al passaggio di competenze tra gli agostiniani e l'Opera durante i lavori di costruzione:

«Essendo passati anni 79 che lavoravasi nella nuova chiesa, e sembrando al Popolo, che troppo lentamente se ne procurasse determinarono i padri, per evitare ogni sospetto, d'eleggere gl’operai, acciò l’avessero assistito durante la fabbrica della loro chiesa. Onde portatasi da Signori Priori del Popolo della terra di Montepulciano istantaneamente li pregarono a voler costituire gli operai della nuova chiesa, convenendosi, che due fossero secolari ed un sacerdote Agostiniano col carmalingo parimenti secolare. Infatti il 6 ottobre 1364 convocato il capitolo nel chiostro del Convento si fece formale renunzia, e furono eletti per la prima volta in operai il Padre Paolo Guidaccioli Agostiniano, Giacomo Magi, Giovanni Cioli, ed in carmalingo Bartolomeo Angeli dichiarando che alla detta opera dovessero sempre presiedere i Religiosi.»

Grazie al passaggio dei poteri all'Opera, gli Agostiniani, che collaborarono attivamente al perfezionamento della Chiesa, riuscirono ad assicurare alla fabbrica quei rilevanti assegnamenti da parte della comunità che consentirono l'ultimazione dei lavori nel secolo successivo. L'Opera gestì i lavori fino alla metà del Quattrocento, quando a lavori ormai conclusi, si fuse con la Fraternita, che fino a quel momento aveva avuto una propria vita e storia autonoma. Secondo la stessa memoria essa fu «istituita in seguito» e fondata dai Sepoltuari, coloro cioè che fin dai primi anni dalla fondazione avevano acquisito il diritto di sepoltura nella detta chiesa.

Si posseggono i libri delle Deliberazioni a partire da quelle dell'anno 1542, con il primo volume che è marcato con la lettera A. In realtà è possibile che ci fosse un'ulteriore serie di deliberazioni del periodo precedente, tanto che molte fonti fanno risalire la fondazione della Fraternita almeno alla metà del Trecento.

Inoltre esistono i libri delle Entrate e delle Uscite che arrivano a ritroso, seppur con numerose mancanze, fino al 1436. Il primo volume riporta sulla copertina la lettera F, che lascia supporre la mancanza almeno dei volumi contrassegnati dalla precedenti lettere dell'alfabeto. La Fraternita fin dalle sue origini fu legata all'Ospedale di San Cristofano, a cui è sempre appartenuta la chiesa e i suoi arredi che agli Agostiniani erano soltanto dati in uso e gestione. Le due congregazioni laicali vennero fuse in un'unica istituzione sicuramente entro il entro il 1509, come riporta un'iscrizione nella facciata:

“DIVO.AUGUSTINO.SACRUM.OPERA.ET.FRATERNITAS. COEPTUM. JAM. OPUS. PERFECERUNT. A. D. MDVIIII”.

Dato per esauriente tale tipo di spiegazione va comunque detto che il lungo e travagliato iter dei lavori rende possibile l'ipotesi che, per soddisfare le necessità dei padri agostiniani in attesa del nuovo e grande edificio di culto, fosse stata officiata nel frattempo una chiesa più piccola (consacrata a San Marco o a Sant'Agostino), comunque provvisoria.

A causa della sua vastità, la chiesa comportò, anche dopo la creazione dell'Opera, tempi di realizzazione molto lunghi, in conseguenza ai riflessi che gli avvenimenti storici ebbero sulla città. Se negli ultimi decenni del XIII secolo e nella prima metà del Trecento Montepulciano aveva vissuto una relativa stabilità politica, dalla metà del secolo in poi le vicende legate principalmente al dominio dei Del Pecora sulla città, portarono nuove distruzioni e conseguente impoverimento generalizzato. Nel corso dei secoli si è assistito spesso a tensioni tra gli Agostiniani, che rivendicavano la proprietà della Chiesa e le autorità laiche.

Per quanto riguarda il probabile progetto originario di Sant'Agostino, si può affermare che la tipologia della chiesa primitiva (tre-quattrocentesca), almeno per quello che è possibile evincere dalle tracce rimaste dopo la ristrutturazione di fine Settecento, è riconducibile a quella degli edifici di culto costruiti nel XIII e XIV secolo dagli ordini mendicanti.

È ipotizzabile che la pianta della chiesa fosse a croce latina, ad aula unica, con grandi finestre sulle pareti laterali, spazi semplici e regolari, il soffitto a capriate, il tutto caratterizzato da un'estrema severità.

La navata unica immetteva, attraverso un ampio arco gotico, nella zona presbiteriale oltre il tramezzo, dove si trovavano, una per braccio del transetto, due cappelle, quindi l'altare maggiore e il coro.

Il risultato finale era un gotico ben diverso da quello delle altre costruzioni poliziane del tempo (o meglio: di ciò che di esso è rimasto dopo gli interventi rinascimentali e successivi). Ciò può essere spiegato se si considera che i progettisti delle chiese degli ordini religiosi, a differenza delle chiese più specificamente pubbliche (parrocchiali ecc.) erano maestri appositamente invitati dai vari ordini per la progettazione, che erano a conoscenza delle evoluzioni tecniche e dei cambiamenti stilistici che avvenivano in territori ben più vasti della singola realtà comunale. È quindi chiaro che volendo trovare degli esempi con cui affrontare la tipologia architettonica originaria di Sant'Agostino vanno ricercati su chiese di eremitani, o comunque mendicanti, che non su analogie dirette con caratteri stilistici poliziani.

Il quattrocento e l'intervento di Michelozzo[modifica | modifica wikitesto]

Agli inizi del Quattrocento, dopo oltre un secolo dalla fondazione, i lavori che fino a quel momento erano proceduti con fortune alterne, interessavano ormai la copertura della chiesa.

I libri delle entrate e delle uscite dell'Opera 1424-1440, attestano che dopo essere state messe in opera quattro delle dieci capriate lignee tra il 1424 e il 1426, i lavori subirono un nuovo periodo di stasi dovuto a difficoltà finanziarie. Stasi che si protrasse fino al 1430, quando ancora l'edificio era solo parzialmente coperto.

Un notevole cambio di direzione si ebbe all'inizio degli anni trenta dello stesso secolo, quando si verificò un evento probabilmente imprevisto che permise all'Opera non solo di portare avanti i lavori ma soprattutto di assoldare alcuni artisti e artigiani esterni all'ambito locale capaci di garantire risultati architettonici e artistici di notevole rilievo.

L'evento di cui si parla è il lascito testamentario di Francesco Aragazzi, morto nel 1429. La volontà testamentaria incontrò però disattese difficoltà per cui all'Opera giunsero inizialmente soltanto 478 dei 1600 fiorini previsti con cui essa portò a termine la copertura dell'edificio e iniziò la sistemazione dello spazio antistante alla facciata, con la realizzazione della scalinata in travertino e del sagrato.

L'insolvenza della famiglia Aragazzi era dovuta al sopraggiungere della morte oltre che di Francesco anche di suo figlio Bartolomeo, già segretario dell'antipapa Giovanni XXIII e segretario apostolico di papa Martino V. In seguito alle due morti, gli unici due eredi maschi rimasti si adoperarono per svincolare i beni di Bartolomeo bloccati dalla Curia Romana cosicché sulle proprietà di Francesco finirono per gravare oltre che gli impegni testamentari suoi, anche quelli del figlio Bartolomeo, tra i quali c'era il pagamento per il monumento funebre allogato a Michelozzo nel 1427 (lo stesso monumento che il Vasari attribuisce a Donatello).

Ed è proprio attraverso questo incarico che lo scultore e architetto fiorentino giunse per la prima volta a Montepulciano.

Nel libro delle uscite del 1437 si trovano i primi riferimenti a Michelozzo: tra l'ottobre e il novembre di quell'anno gli venne affidato il progetto per la facciata della chiesa. È probabile che nei primi mesi dell'anno successivo, Michelozzo si trovasse a Montepulciano per fare un sopralluogo che definisse il tipo e i tempi dell'intervento, oltre ai materiali da utilizzare.

Si hanno, nell'estate del 1438, i primi pagamenti diretti ai ‘bufalai’ che cominciarono a trasportare il travertino dalle cave di Chianciano; alle date 21 settembre e 14 novembre 1438 è documentata la presenza in prima persona di Michelozzo che seguiva le fasi di scelta, misurazione ed approvvigionamento dei materiali, tanto che firma egli stesso i contratti con il bufalaio per il trasporto della pietra e, insieme ai chompagni misura e pesa le pietre.

Tra la fine del 1438 e l'aprile del 1439 vennero ultimati i lavori preparatori per la messa in opera del rivestimento in travertino della facciata e tra la primavera e l'estate di quell'anno venne effettuato il lavoro tanto che al 24 agosto è datato un pagamento a Michelozzo e ad uno dei suoi collaboratori citati come «...maestri de la porta de la chiesa nuova di santo agostino», per la cifra di 1249 lire, 1 soldo e 4 denari.

Nel corso del 1439 Michelozzo ricevette altri pagamenti per i suoi servizi, ma l'informazione più importante ci giunge indirettamente grazie al pagamento a «nicholo dandreia» che, sempre il 24 agosto «risquote 1 lira 7 soldi e 6 denari...per due di p(er) manovale a ponare le figure ...» cioè il gruppo in terracotta raffigurante la Madonna con il Bambino, Sant'Agostino e San Giovanni Battista, collocato nella lunetta sopra il portale.

Il volume delle entrate e delle uscite 1424-1440 termina con gli ultimi pagamenti del 1439 ed è verosimile che con la documentazione si interrompano anche i lavori, non tanto perché si ha una mancanza di documenti per un periodo di 46 anni, quanto perché a quel tempo erano effettivamente terminati tutti gli altri lavori oltre alla facciata, come la copertura, il sagrato, la scalinata, gli interni, il primitivo portone in legno e il campanile, sul quale secondo quanto riporta un documento dell'archivio parrocchiale di Sant'Agostino[1], in una delle fasce demolite nel corso dei lavori di ristrutturazione del 1785-1791, si poteva leggere: “OPA FRA MCCCCXXXX”.

La facciata in travertino della Chiesa fu realizzata in due fasi ben distinte, lontane tanto temporalmente quanto concettualmente. I primi due livelli, il portale, la lunetta con le terrecotte, la cornice mistilinea ed il rosone sono opera di Michelozzo, mentre il terzo livello ed il timpano, escluso il rosone, sono stati realizzati settant'anni più tardi, nel 1509.

Riguardo alla lontananza concettuale tra le due fasi realizzative: intorno al 1438-1439 Michelozzo aveva già potuto assistere alla rivoluzione brunelleschiana in architettura, di Donatello in scultura e al più moderato riformismo del Ghiberti. Conoscenze queste, che l'architetto-scultore unisce e plasma con un suo personale linguaggio nella facciata di Sant'Agostino, dove elementi del tardo gotico come le guglie e i pinnacoli, il gusto per la mistilineità, le ogive, si accordano ad elementi Rinascimentali come la scansione orizzontale dei piani e la razionalità con cui si raccordano le parti tra loro, unione che fa di questa parte della facciata un unicum rispondente ad una logica fortemente organica.

Perfetta sintesi delle due anime o momento di passaggio, riporta caratteri tipici di Michelozzo nell'essenza scultorea più che architettonica della parte della facciata da lui progettata; lievi sono i passaggi tra pieni e vuoti.

La parte della facciata progettata e realizzata sotto la direzione di Michelozzo, risulta compresa tra due grandi pilastri angolari corrispondenti al prolungamento delle pareti laterali dell'edificio ed è scandita da due fasce orizzontali sovrapposte, che dialogano tra loro per mezzo di una tripartizione verticale al centro della quale si trova il portale strombato decorato con fasci floreali, la lunetta con il gruppo in terracotta precedentemente citato ed il rosone. Ai lati coppie di specchiature separate da paraste sormontate da coppie di nicchie e dai tondi degli stemmi della famiglia Aragazzi centrati, anch'essi come le nicchie, rispetto alle paraste del primo livello.

Due sono le cornici orizzontali realizzate entro il ‘400: la prima con decorazione floreale che funge da basamento del primo livello e la seconda, che permette lo stacco tra il primo livello, già rinascimentale nelle forme, e le nicchie ancora tardogotiche del secondo. Nonostante l'organicità, risulta evidente la mancanza di assialità tra le nicchie e le sottostanti specchiature.

Per quel che riguarda la concezione della facciata Quattrocentesca, nonostante i differenti periodi d'esecuzione, viene naturale un confronto con quella del Duomo di Pienza, realizzata tra il 1459-62 (?) da Bernardo Rossellino. Laddove a Pienza, trent'anni più tardi, appare evidente il plasticismo della facciata che recupera in parte la struttura della scenae frons del teatro romano, a Montepulciano si predilige un'impaginazione grafica della facciata, almeno il primo livello sembra derivato da un modello monodimensionale, quasi da farne un apparato scenografico rispetto al livello superiore, gotico nelle forme ma non nel concetto.

Se le nicchie rimandano a Orsanmichele, l'intera seconda fascia rimanda invece ad un esempio più vicino tanto nello spazio quanto nel tempo: il riferimento è alla facciata della Fraternita dei laici di Arezzo, decorata da Bernardo Rossellino nel 1432-33 dove, nella parte alta, si può vedere un arco mistilineo fiancheggiato da nicchie, seppur non archiacute. L'arco mistilineo peraltro trova piena rispondenza nella tomba Brancaccio di Napoli, opera dello stesso Michelozzo.

Inoltre i due stemmi che a Sant'Agostino sono posti sopra le nicchie e inseriti nella liscia cortina di pietra trovano un riscontro nell'esterno della sagrestia di Santa Trinita.

Le lesene scanalate e architravate del primo livello possono essere messe in relazione con la facciata interna del sottoportico della Cappella Pazzi in Santa Croce, che non fu terminata dal Brunelleschi.

Il gruppo in terracotta dipinta, formato da sculture più grandi che al naturale, è inserito nella lunetta sopra il portale, incorniciato dai motivi floreali e dalle modanature dello stesso. Le prime ricerche sistematiche sull'opera sono della fine del XIX secolo[2] e attribuirono la paternità a Michelozzo, sconfessando una tradizione locale che l'attribuiva erroneamente all'orafo e scultore Pasquino da Montepulciano. Il gruppo presenta la Madonna con il bambino al centro, sulla sinistra il San Giovanni Battista, a destra Sant'Agostino in abito vescovile.

Sono i pagamenti del 1439 a darne la paternità all'artista fiorentino. Attribuzione peraltro confermata dal confronto stilistico: la Madonna è coperta da un velo dal quale spuntano ciuffi a tenaglia che ricorrono spesso nella scultura michelozziana. Inoltre, se si confronta con la Madonna di Michelozzo oggi a Berlino, è possibile notare l'incredibile somiglianza tra le due opere che non possono non essere state eseguite dalla stessa mano. La maniera di Michelozzo, che attinge dalla dolce eleganza del tardo gotico e dalla nuova estetica rivolta alla gravitas classica, permette una sintesi gestuale di gentilezza e monumentale dignità.

Il San Giovanni Battista, tema peraltro spesso trattato da Michelozzo, non differisce molto da quello, sempre in terracotta, che si trova alla Santissima Annunziata di Firenze.

In seguito all'intervento di restauro al gruppo scultoreo effettuato dalla Soprintendenza di Siena negli anni 1992-1993, che ha dato una nuova leggibilità all'opera, sono state notate tracce di dorature lungo i bordi delle vesti, sulla mitra e sul libro di Sant'Agostino, quindi alcuni strati di colore sulla terracotta. Uno di questi, biancastro, è a base di piombo e olio, forse uno strato preparatorio o, più probabilmente, le sculture erano dipinte con tale colore bianco per fingere il colore del marmo. Ipotesi resa ancor più plausibile dal ritrovamento sullo sfondo di tracce di color rosso intenso, del tipo ematite, su base di nero carbone. È una citazione della scultura romana d'età imperiale che spesso collocava busti in marmo di fronte a sfondo di porfido rosso.

Stilisticamente l'opera è di grande qualità: notevole è l'impostazione spaziale dei due santi laterali non ieratici o in posizione frontale, ma lievemente rivolti verso la Vergine e le teste aggettanti oltre la cornice in travertino. Confrontando tali sculture con ciò che resta, tra il Duomo di Montepulciano e il Victoria and Albert Museum di Londra, del monumento funebre Aragazzi, realizzato da Michelozzo tra il 1427 e il 1438, si nota la stessa solennità negli Angeli di Londra e nel Sant'Agostino, i volti carichi di pathos. Inoltre è caratteristica comune la linea abbondante ed avvolgente che le avvicina più a Della Robbia e a Ghiberti che non a Donatello.

Nel corso del XVI secolo si potevano riscontrare i primi problemi per il gruppo scultoreo della lunetta, tanto che il primo gennaio 1570 ci fu un pagamento affinché:

«alla Nostra Donna et altre figure che stanno sopra la porta della chiesa di S. Agostino nella facciata, si faccia uno coprimento a dette figure acciò si mantenghino e non si guastino...»

Questa precoce (almeno per una piccola realtà come quella poliziana) sensibilità alla conservazione portò alla realizzazione di una copertura a semicupola in ferro ricoperta di piombo e messa in opera soltanto nel 1629, dove rimarrà fino al 10 settembre 1875 quando, ormai rovinata e di pessimo impatto estetico, fu sostituita da una copertura in cristallo, definitivamente tolta nel 1940.

Più precisamente, nel 1629 risulta un pagamento a maestro Alisandro pittore, di 15 Lire, per aver «...dipinto il modello della Madonna sopra la porta principale della chiesa...» e, in data 3 agosto dello stesso anno, a Padre Antonio Zanobi de' Servi «...per haver fatto fabbricare e messo in opera il Padiglione di piombo sopra la porta principale di nostra chiesa di S.A. per conservatione della Madonna che è in quella...», cui seguono altri pagamenti a tecnici per aver ultimato il «Padiglioncello».

La conclusione dei lavori nel Cinquecento[modifica | modifica wikitesto]

Nel momento in cui, nel 1440, si fermarono i lavori, la chiesa era praticamente conclusa ad eccezione della parte alta della facciata. Il terzo livello ed il timpano sono stati costruiti ben settanta anni più tardi rispetto alla parte michelozziana, facendo sì che la facciata presenti due anime ben distinte: all'organicità del primo e del secondo livello, si giustappone un terzo livello che poggia su quello sottostante attraverso una cornice ben più aggettante delle altre e che taglia in malo modo parte del rosone sovrastante. Tale livello risulta quasi schiacciato tra il timpano e la parte quattrocentesca della facciata.

Inoltre, pur riprendendo elementi e proporzioni già presenti nel livello più basso del prospetto, appare non solo fuori scala, ma anche estraneo a qualunque relazione sintattica con il resto della facciata. Il contrasto è accentuato dalla scelta di utilizzare un differente tipo di travertino tra le due parti: una diversità non solo concettuale e armonica, ma anche cromatica.

Nel timpano si trova lo stemma dell'Opera e Fraternita, con l'incisione precedentemente riportata, che attesta al 1509 il termine dei lavori della facciata.

Nei libri di entrate e uscite del 1510-31, al giorno 3 settembre 1510 è documentato un pagamento a Domenico (?) d'Unto (?) «...per lire 6 di piombo da per... lo ochio in nella fronte di santo agostino...» un chiaro riferimento dunque alla vetrata del rosone della facciata, che verrà messa in opera soltanto nel 1532 realizzata da Michele da Gelmini.

Si ha notizia anche di un pagamento datato 6 gennaio 1512 ad un «architettore fiorentino» che quel giorno ricevette 7 lire «...equali furo p(er) uno disegnio e modello fecie p(er) la sagrestia di santo agostino...».

Di recente si è ipotizzato che tale architetto fiorentino fosse in realtà Antonio da Sangallo il Vecchio, la cui presenza è documentata a Montepulciano nello stesso mese del 1512 per opere di ristrutturazione delle mura cittadine. È certa invece la paternità del Sangallo per quanto riguarda i progetti delle tre cappelle che vennero realizzate nella parete settentrionale della chiesa, per le quali ricevette nel novembre del 1533 2 lire «...p(er) el disegnio fecie p(er) le capelle di s(an)to agustino...».

In quello stesso mese l'architetto e scultore ricevette altri quattro pagamenti: «...li pagai lire trenta quali...p(er) co(n)to del cruciefisso...», quindi: «...a maestro antonio da san gallo...lire quaranta quattro per conto del crucifisso...», «...li pagai vintoto lire per conto del crucifisso...».

Di tale Crocifisso si parla ancora sempre nelle Uscite di quell'anno con riferimento al trasporto dell'opera da Firenze a Montepulciano, in una cassa protetta da stoffa impermeabile. L'oggetto del discorso è il Crocifisso ligneo che tutt'oggi si trova dietro l'altar maggiore e che per molto tempo è stato ritenuto opera di Donatello, finché l'architetto Riccardo Pizzinelli ha rinvenuto i documenti dei pagamenti al Sangallo.

Opera che alcuni critici d'arte già prima della prova d'archivio avevano attribuito al Sangallo per via di una forte somiglianza tra questo crocifisso e uno realizzato dallo stesso autore che si trova alla Santissima Annunziata di Firenze.

Nonostante la facciata della chiesa fosse terminata entro il 1509, i lavori all'interno, così come quelli per il campanile, continuavano. Nel 1519-1520 venne realizzata da Maso Boscoli da Settignano la splendida Loggia, oggi murata, sul lato meridionale della chiesa. Sarà lo stesso Maso Boscoli, alcuni anni più tardi a portare avanti il progetto degli altari laterali in travertino, mentre dal 1562 si iniziò la costruzione del «coro dopo l'altar maggiore»: «...necessità e bisogno che ha la chiesa di fare un coro per servitio delli frati doppo l'altare maggiore».

Nel 1930 vi vennero traslate dalla chiesa conventuale di San Francesco le reliquie del beato Bartolomeo Pucci-Franceschi.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Notizie storiche e descrizione della chiesa parrocchiale sotto il titolo di Santa Mustiola in Sant'Agostino nella Città di Montepulciano
  2. ^ Schmarsow, 1893

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • L. Martini, Montepulciano e la Valdichiana senese, collana I Luoghi della Fede, 1999, pp. 70-71.
  • A. Marchi, La Chiesa di S.Agostino in Montepulciano, tesi di laurea in Storia e Tutela dei beni Artistici, Firenze 2009.

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