Bartolomeo de' Cordoni da Città di Castello

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Bartolomeo de' Cordoni da Città di Castello (Città di Castello, 1471 circa – Tunisi, 9 o 10 agosto 1535) è stato un religioso italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nato a Città di Castello da Cordone de' Cordoni, fu inviato a Firenze per studiare sotto la direzione di Poliziano. Nel 1504, vedovo trentratreenne, si fece francescano del ramo degli Osservanti nel convento della Porziuncola, presso Assisi; per curare gli appestati fu a Gubbio (1526) e poi a Terni (1527-30).[1] Il 28 aprile 1530 è guardiano di Monteripido[2] presso Perugia; grazie al permesso accordato da Clemente VII si recò a Ceuta e Orano per predicare il Vangelo; morì a Tunisi nel 1535.

Scrisse il Liber de unione animae cum supereminenti lumine[3], attingendo anche dal pensiero di Margherita Porete, Raimondo Lullo, Jacopone da Todi, Ubertino da Casale, Angela da Foligno[4] stampato postumo e riferimento per la riforma cappuccina[5].

Centrale nel Liber è l'affermazione continuamente ribadita che l'anima diventa Dio non per natura ma per grazia - concetto ben diverso dalla fusione con Dio che finirebbe in una sorta di panteismo -, espressione già usata da Guglielmo di Saint-Thierry[6] che la riprende da Massimo Confessore[7].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ DBI.
  2. ^ Cfr. Luigi Giacometti, San Francesco del Monte a Perugia. Storia, arte e vita di un convento francescano, Perugia 2014, p. 79-80,419; Memoriale di Monteluce, con introduzione di U. Nicolini, Assisi 1983 I, p. 135.
  3. ^ Cfr. Liber de unione animae cum supereminenti lumine, Perugia 1538.
  4. ^ Cfr. Santinelli Nazareno, Il Beato Bartolomeo Cordoni e le fonti della sua mistica, Città di Castello 1930.
  5. ^ Cfr. Costanzo Cargnoni, Fonti, tendenze e sviluppi della letteratura spirituale cappuccina primitiva, in Collectanea Franciscana, 48 (1978), pp. 347-398; Michele Camaioni, «De homini carnali fare spirituali». Bernardino Ochino e le origini dei cappuccini nella crisi religiosa del Cinquecento, Roma 2011.
  6. ^ Cfr. Epistola aurea,262-263, SC 223, pp. 353-355.
  7. ^ Cfr. Massimo il Confessore, Ambigua, PL 112,1208a-b.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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