Utente:Zibibbo Antonio/Sandbox2

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Prove varie[modifica | modifica wikitesto]

Mario Bonsignore (Asmara, 10 Settembre 1948) è un manager, dirigente sportivo ed ex politico italiano.

Mario Bonsignore

Sindaco di Messina
Durata mandatomaggio 1987 –
agosto 1993
PredecessoreAntonio Andò
SuccessoreSalvatore Leonardi

Dati generali
Titolo di studioLaurea in Economia e Commercio
UniversitàUniversità degli Studi di Messina
ProfessioneMarketing Manager

Il caso Cospito[modifica | modifica wikitesto]

Lo sciopero della fame dell'anarchico Alfredo Cospito ha riportato all'attenzione dell'opinione pubblica il tema del 41 bis. Un appello sottoscritto da intellettuali e giuristi italiani ha evidenziato la necessità di riflettere sul"senso del regime del 41 bis, trasformatosi nei fatti da strumento limitato ed eccezionale per impedire i contatti di detenuti di particolare pericolosità con l’organizzazione mafiosa di appartenenza in aggravamento generalizzato delle condizioni di detenzione".[1] Amnesty International, riferendosi al caso ha sottolineato che "Questo tipo di regime costituisce un trattamento crudele, inumano e degradante e non dovrebbe essere imposto in alcuna circostanza".[2]

Nelle intenzioni degli organismi promotori l'obiettivo del tribunale sarebbe stato quello di

«correggere l’andamento storico che tendeva a trascurare, a scusare, a eludere e a offuscare i crimini contro le donne, con particolare riferimento ai crimini sessuali e, soprattutto, quei crimini commessi su donne non bianche[3]»

La sentenza[modifica | modifica wikitesto]

Il Tribunale Internazionale delle Donne, pur non avendo il potere di applicare il proprio verdetto (emesso nel dicembre 2001 a L'Aia[4]), riuscì per la prima volta a condannare l'imperatore Hirohito, altri nove alti ufficiali e lo stesso Stato giapponese per crimini contro l'umanità

«. I giudici dimostrarono, infatti, che costoro resero, secondo il diritto internazionale applicabile all’epoca, responsabile lo Stato giapponese per le violazioni dei trattati internazionali ratificati e del diritto internazionale consuetudinario, vale a dire per schiavitù, traffico di donne e bambini, lavoro forzato, e stupro[5]»

Per la prima volta venne utilizzata una prospettiva di genere rifiutando la logica che aveva indotto tribunali precedenti a lasciare impunita la violenza sessuale commessa durante una guerra: lo stupro non era "una normale consuetudine maschile di guerra" ma un crimine contro le donne che doveva essere perseguito. La politica seguita dal governo nipponico di indennizzare le vittime attraverso un fondo appositamente costituito venne considerata di conseguenza del tutto inadeguata[6] Pio D'Emilia, Le schiave dei soldati del Sol levante, in Il Manifesto, 8 dicembre 2000.

L'antifascismo di Martinetti[modifica | modifica wikitesto]

Lontano da ogni forma di impegno politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che delle degenerazioni del parlamentarismo, Martinetti, a partire dal 1925, prese ad annotare minuziosamente sul suo diario gli episodi di corruzione e di violenza in cui erano coinvolti esponenti fascisti. così ad esempio il 28 marzo 1928, a fronte di una serie di scandali annotava "è dunque l'associaz[ione] dei malviventi d'Italia !"[7] . Nel 1934 scriveva: "Come persuadersi che uno stato senza leggi, senza traccia di onestà pubblica, sostenuto soltanto dal terrore che desta nel popolo inerme un'organizzazione di ribaldi messa al servizio del despota, odiata da tutte le rette coscienze, disprezzata dagli intelligenti possa resistere, senza condurreil popolo che lo soffre all'estrema rovina ?"[8]. Martinetti si scagliava nei suoi appunti contro il dispotismo che accomunava socialismo marxista e fascismo: "Tutto deve servire alla proaganda e alla educazione di stato. Non vi è più libertà di pensiero, non vi è più pensiero" (1937)[9]

Amedeo Vigorelli evidenzia[10]

«il valore pedagogico, di educazione alla libertà, che l'esempio morale di Martinetti ebbe per quella generazione di intellettuali antifacisti, che trovò negli anni Trenta un decisivo punto di riferimento nella “Rivista di filosofia”, da lui informalmente diretta»

Zibibbo Antonio/Sandbox2
NascitaMarcignano, 30 gennaio 1898
MorteMornago, 18 agosto 1938
Cause della morteincidente aereo
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Forza armataEsercito Italiano
ArmaArma di artiglieria
SpecialitàArtigieria da montagna
GradoTenente
FeriteFerita al braccio destro
GuerrePrima guerra mondiale
DecorazioniMedaglia d’argento al valor militare
voci di militari presenti su Wikipedia

Clodoveo Bonazzi Dario Cagno


Francesco Paolo Palomba (Avigliano, 1779Napoli, 22 gennaio 1799) è stato un patriota e rivoluzionario italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Appartenente ad una delle più importanti faniglie nobiliari della zona, si avvicinò alle idee illuministe e alla Massoneria ed entrò in contatto con il gruppo di patrioti radicali che facevano riferimento a Carlo Lauberg e ad Annibale Giordano, cospirando contro il governo borbonico.
All'arrivo dei francesi nel 1799 partecipò attivamente all'insurrezione repubblicana e cadde nei combattimenti a Castel sant'Elmo[11].

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Non c'entra[modifica | modifica wikitesto]

La propaganda del fatto, o propaganda col fatto, è una concezione tipica del movimento anarchico. L'espressione trova origine nella concezione di Carlo Pisacane secondo cui «profonda mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, e il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero»[1] e nelle dichiarazioni di Errico Malatesta e Carlo Cafiero al congresso di Berna (1876) dell'Internazionale antiautoritaria: “La Federazione italiana crede che il fatto insurrezionale, destinato ad affermare con delle azioni il principio socialista, sia il il mezzo di propaganda più efficace ed il solo che, senza ingannare e corrompere le masse, possa penetrare nei più profondi strati sociali ed attrarre le forze vive dell'umanità nella lotta che l'Internazionale sostiene”[2]. Si tratta cioè di propagandare le idee anarchiche non solo con le parole ma soprattutto con l'esempio concreto che possa essere imitato dalle masse popolari. Storicamente la propaganda del fatto si è concretizzata sia in tentativi insurrezionali (un esempio tipico è la cosiddetta Banda del Matese), sia in attentati individuali o collettivi contro sovrani, capi di stato o altre importanti personalità, sia in atti terroristici.

La propaganda del fatto prevede quindi la possibilità di colpire i propri avversari ideologici veri o presunti, nonché i simboli del potere e altri obiettivi mediante il ricorso ad attentati terroristici e assassinii. Nell'ambito anarchico, tali azioni sono state giustificate sulla base delle idee dei rivoluzionari e filosofi anarchici Pëtr Kropotkin ed Errico Malatesta, i quali scrivevano in un'epoca in cui monarchie e dittature erano forme di stato comuni: essi tuttavia non vollero mai l'uso della violenza gratuito o indiscriminato, raccomandando che il fatto si sostituisse alla parola solo in casi estremi.[3]

Nella pratica, dal XIX secolo ad oggi, ci sono stati molti attentati violenti, indicati comunemente con l'espressione "terrorismo anarchico", che si riferisce:

  • alle organizzazioni anarchiche che praticano la lotta armata di matrice anarco-insurrezionalista;
  • ai singoli attentatori che adducono come movente o tra i moventi delle loro azioni delittuose l'ideologia politica-rivoluzionaria anarcoinsurrezionalista o anarchica;
  • agli attentati motivati od ispirati dal pensiero anarcoinsurrezionalista.

Nell'epoca contemporanea l'anarco-insurrezionalismo ha sfruttato internet per la formazione di strutture come quella degli Anarchici Informali: la rete ha infatti amplificato le possibilità di organizzazione e incontro di idee tra persone che in altri tempi sarebbero state tagliate fuori dai movimenti più moderati e ortodossi, permettendo agli esponenti dell'area spontaneista, individualista e autonoma del movimento, a una coordinata risposta simile alla "propaganda del fatto" da usare come estrema ratio nella lotta libertaria contro il Potere autocrate.

Queste caratteristiche hanno comportato che, tanto sotto il profilo filosofico, quanto sotto quello politico e organizzativo, sia stato e sia l'individualismo a costituire il fattore determinante nelle azioni, e che spesso non vi sia e non vi sia stata una condivisione terminologica globalmente condivisa, al punto di veder inquadrare, tra i tanti, Gaetano Bresci e Felice Orsini, alternativamente come "terroristi", giustizieri o persino come patrioti.

Premesse[modifica | modifica wikitesto]

La propaganda del fatto può imputarsi soprattutto all'azione di singoli, ma può anche, inteso come forma di lotta politica, essere accettato da organizzazioni strutturate.

Aspetti comune di questo fenomeno sono tanto il movente quanto il metodo scelto. Gli attivisti anarchici vogliono l'abbattimento di ogni forma di istituzione e di potere, ivi compreso lo stato costituito, in nome della libertà assoluta dell'uomo. Questo scopo è da conseguirsi non solo attraverso un'intensa opera di propaganda politica, fondamentale per il reclutamento dei futuri attentatori, ma anche per mezzo della violenza politicamente motivata. In questa prospettiva la violenza politica è giustificata ed assume una valenza catartica dell'uomo, che, mediante essa, si libera dalla schiavitù cui è stato ridotto da altri uomini.[senza fonte]

Obiettivo prediletto delle azioni anarchiche sono state e sono in primo luogo quelle persone che sono chiamate a rappresentare le istituzioni politiche e sociali del presente contingente nonché i luoghi simbolo delle stesse; conseguentemente oggetto di simili atti sono state molte personalità politiche ed istituzionali di spicco nonché luoghi di frequentazione borghese, come importanti ed esclusivi caffè e teatri, dato che la borghesia era e, in parte, ancora è considerata un'istituzione sociale consolidata, dunque, nell'ottica anarchico terroristica, da abbattere.

Storia della propaganda del fatto[modifica | modifica wikitesto]

La propaganda del fatto, come fenomeno storico, origina nel XIX secolo e raggiunge una particolare intensità a cavallo tra Ottocento e Novecento, a causa del susseguirsi di numerosi attentati che fecero particolare scalpore.

Il 24 novembre 1889 a Palazzo Corsini a Roma si tenne la Conferenza per la difesa sociale contro gli anarchici, cui parteciparono 21 paesi, i quali, all'unanimità, stabilirono che l'anarchia non avrebbe dovuto essere considerata una dottrina politica e che gli attentati attuati dagli anarchici erano da punirsi come azioni criminali. Esse sarebbero state oggetto di potenziale estradizione[4].

Di seguito si descrivono gli attentati più noti, tanto quelli riusciti quanto quelli falliti, dei moltissimi avvenuti dal 1858 agli anni recenti.

La spedizione di Carlo Pisacane[modifica | modifica wikitesto]

La morte di Carlo Pisacane, massacrato dai contadini di Sanza incitati dai filoborbonici

Il socialista libertario Carlo Pisacane (anche lui spesso avvicinato all'anarchia), nel 1857 tentò la spedizione di Sapri, assieme ad alcuni patrioti mazziniani e molti detenuti liberati a Ponza, un'insurrezione nel Regno delle Due Sicilie, ma venne massacrato dai filo-borbonici. Nella propria ideologia, Pisacane riteneva indispensabile che la propaganda venisse fatta con l'azione di guerriglia, oltre che con la politica. Pisacane considerato il precursore in Italia di quella che sarebbe poi diventata la "propaganda del fatto", l'azione avanguardista che genera l'insurrezione, l'esempio che consente l'innesco per il propagarsi della necessaria rivoluzione sociale e da questo la necessità di impegnarsi fisicamente e attivamente nell'impresa rivoluzionaria. Solo dopo aver liberato il popolo dalle sue necessità materiali si sarebbe potuto istruirlo ed educarlo per condurlo alla rivoluzione. Ribadiva ancora infatti nel suo testamento politico posto in appendice al Saggio sulla rivoluzione[5]: «profonda mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, e il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero». Questo il senso del suo affermare che «L'Italia trionferà quando il contadino cangerà [sic] spontaneamente la marra con il fucile».

Nello stesso scritto, egliAl congresso di Berna (1876) dell'Internazionale antiautoritaria Malatesta e Cafiero avevavo dichiarato: “La Federazione italiana crede che il fatto insurrezionale, destinato ad affermare con delle azioni il principio socialista, sia il il mezzo di propaganda più efficace ed il solo che, senza ingannare e corrompere le masse, possa penetrare nei più profondi strati sociali ed attrarre le forze vive dell'umanità nella lotta che l'Internazionale sostiene” (Masini, p. 108)




La Federazione italiana dell'Associazione internazionale dei lavoratori, costituita durante la Conferenza di Rimini (5-7 agosto 1872) fu la branca italiana della Prima Internazionale e costuì la prima organizzazione del movimento socialista ed anarchico in Italia.

La Conferenza di Rimini, svoltasi dal 4 al 7 agosto 1872, fu il congresso costitutivo della Federazione italiana dell' Associazione internazionale dei lavoratori. Viene considerata come il momento di nascita del movimento socialista ed anarchico in Italia.


Gli Anarchici parteciparono alla Resistenza italiana e furono impegnati nell'antifascismo in Italia.

Fino agli anni settanta la storiografia sulla partecipazione anarchica alla Resistenza è stata carente [6]. A parte autori come il genovese Gaetano Perillo storico, comunista, partigiano e comandante degli Arditi del Popolo a Genova a suo tempo.
La pubblicazione della bibliografia di Leonardo Bettini che dava ampio spazio ai giornali clandestini[7] e della ricerca di Paola Feri[8] hanno aperto una nuova stagione di studi a cui sono seguite numerosi studi. Alcuni di carattere generale come quelli di Pietro Bianconi[9], Fabrizio Giulietti[10], Giorgio Sacchetti, Eros Francescangeli, altri dedicati a specifiche situazioni locali come i lavori di Guido Barroero relativi a Sestri Ponente e in generale alla Liguria[11]e di Gino Cerrito relativo all'Apuania[12]. Inoltre sono nati fondi come il fondo della famiglia Camillo Berneri che hanno raccolto grandi quantità di documentazione sulla storia anarchica in generale e su periodi specifici in particolare.

Anarchici e Resistenza in Italia diedero il loro contributo e furono diversamente impegnati nell'antifascismo in Italia.

A parte autori come il genovese Gaetano Perillo storico, comunista, partigiano e comandante degli Arditi del Popolo a Genova a suo tempo, la storiografia comune è stata carente sulla partecipazione degli anarchici alla Resistenza, sia per motivi di difficoltà di documentazione sia per motivi politici[senza fonte].

Attualmente vi è una fioritura di autori più giovani, spesso ricercatori universitari che hanno dato un contributo essenziale alla ricerca ed alla documentazione che comunque non risulta omogenea rispetto a tutto il territorio nazionale[senza fonte]. Il lavoro di Eros Francescangeli ad esempio, anche se non specifico sull'argomento, contiene informazioni utili, così come quello di Giorgio Sacchetti il quale al contrario è specificatamente esperto di storiografia anarchica.

Inoltre sono nati fondi come il fondo della famiglia Camillo Berneri che hanno raccolto grandi quantità di documentazione sulla storia anarchica in generale e sui periodi specifici in particolare. Per il caso localistico specifico di Sestri Ponente basilare è il lavoro di Guido Barroero, autore fra l'altro di un importante saggio su Ret Marut.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano 1956
  2. ^ Pier Carlo Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta, Milano, Rizzoli, 1973, p. 108.
  3. ^ Jean Préposiet, Storia dell'anarchismo, ediz. Dedalo, 2006, ISBN 978-88-220-0563-2
  4. ^ ::: LeMondeDiplomatique il manifesto :::
  5. ^ C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano 1956
  6. ^ Mauro De Agostini, Franco Schirone, Per la rivoluzione sociale. Gli anarchici nella Resistenza a Milano (1943-1945), Milano, Zero in condotta, 2015, p. 13.
  7. ^ Leonardo Bettini, Bibliografia dell'Anarchismo, v. I, t. I, Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati in Italia (1872-1971), Firenze, Crescita politica, 1972
  8. ^ Paola Feri, Il movimento anarchico in Italia (1944-1950) dalla Resistenza alla ricostruzione, Roma, Quaderni della FIAP, nuova serie, n. 8, 1978
  9. ^ Pietro Bianconi, Gli anarchici italiani nella lotta contro il fascismo, Pistoia, Archivio fam. Berneri, 1988
  10. ^ Fabrizio Giulietti, Il movimento anarchico italiano nella lotta contro il fascismo 1927-1945, Manduria , Lacaita, 2003
  11. ^ Guido Barroero, Anarchismo e Resistenza in Liguria, Genova, ed. AltraStoria, 2004.Barroero, è stato, fra l'altro,autore di un importante saggio su Ret Marut.
  12. ^ Gino Cerrito, Gli anarchici nella resistenza apuana a cura di Adriana DADA', Lucca, Pacini Fazzi, 1984,

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Leonardo Bettini, Bibliografia dell'Anarchismo, v. I, t. I, Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati in Italia (1872-1971), Firenze, Crescita politica, 1972;
  • Paola Feri, Il movimento anarchico in Italia (1944-1950) dalla Resistenza alla ricostruzione, Roma, Quaderni della FIAP, nuova serie, n. 8, 1978
  • Mauro De Agostini, Franco Schirone, Per la rivoluzione sociale. Gli anarchici nella Resistenza a Milano (1943-1945), Milano, Zero in condotta, 2015
  • Guido Barroero, Anarchismo e Resistenza in Liguria, Genova, ed. AltraStoria, 2004
  • Gino Cerrito, Gli anarchici nella resistenza apuana a cura di Adriana DADA', Lucca, Pacini Fazzi, 1984
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