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Palazzo Zoppi
Palazzo Zoppi
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione  Piemonte
LocalitàCassine
Indirizzovia dei conti Zoppi, 1
Informazioni generali
CondizioniIn uso
CostruzioneXIII
UsoResidenza privata

Il Palazzo Zoppi si trova a Cassine in provincia di Alessandria in Piemonte. È un edificio costruito nel XIII secolo come casaforte successivamente adattato a residenza della famiglia Zoppi. Il palazzo ospita un ciclo di pittura cortese con scene di caccia e giochi risalente al XV secolo ed è caratterizzato da una corte d'onore ad archi gotici ribassati al cui interno è visibile una tavola trecentesca di scuola piemontese con la Madonna col Bambino del XVI secolo[1].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Palazzo Zoppi nasce come casaforte dal XIII al XV secolo. Successivamente viene adattata a dimora privata della famiglia Zoppi, quando questa fu investita dai Visconti del feudo di Cassine.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

È una costruzione composta da vari corpi di edifici tardomedievali riuniti in un unico. Fanno parte dell’edificio originario i resti delle mura e il torrione nord; mentre è di epoca successiva il resto dell’edifico, risultato della trasformazione in residenza signorile[2].

L'esterno[modifica | modifica wikitesto]

Sul fronte di via San Realino sono visibili una bifora, le tracce di alcune finestre gotiche e di fregi ad archetti e a dentelli. Al centro del prospetto si innalzava una torre medievale che nel XIX secolo fu abbassata al livello della casa.

Sul lato meridionale la facciata ha subito interventi di restauro che hanno uniformato il prospetto in forma neorinascimentale.

Il cortile d'onore conserva su due lati i portici, con archi ogivali su tozzi pilastri a sezione ottagonale, le cui pareti sono decorate con panneggi a velario; su un lato si apre la cappella gentilizia. Sotto i portici sono custoditi reperti archeologici, tra cui un capitello corinzio su rocchio di colonna in arenaria provenienti da Libarna, anfore romane da Acquae Statiellae (l'odierna Acqui Terme) e una testina in marmo di Giove in stile ellenistico. Quest'ultima proveniente da Rodi, portata da un membro della famiglia, capitano di fanteria, che partecipò allo sbarco e battaglia di Psinthos del 1912.

Il portico e le pareti del cortile sono adornati da stemmi in marmo tra i quali è posto anche un bassorilievo in ovale marmoreo che raffigura Enrico III di Francia. Lo stemma di famiglia si ritrova in una copia in marmo bianco della balzana di Quilico Gambarotta, personaggio della famiglia Zoppi che assunse il cognome della moglie per contratto, il cui orignale, da cui si diferenzia per lo stemma originale del 1426, è collocato alla sommità dello sperone d'angolo della cappella di San Giovanni Battista sulla facciata della chiesa di San Francesco. Lo stemma rinascimentale della famiglia Zoppi è osservabile in marmo bianco in un bassorilievo entro un cartiglio: l'emblema entro ovale raffigura di nero alla gamba di carnagione recisa e posta di sbarra, col capo d'oro, caricato di un'aquila di nero coronata. Compaiono anche i blasoni delle famiglie apparentate dei Pecorelli, dei Bellingeri, degli Stanchi e degli Annibali.

Poco sopra la finestra della sacrestia, retrostante la cappella, in un ovale in marmo bianco a bassorilievo è scolpita l'immagine della Vergine Addolorata. Nella cappella è conservato, sopra l'altare, un affresco, riportato su tela, della Vergine col Bambino, originariamente collocato nella torre, ed attribuito ad un pittore convenzionalmente denominato Maestro di Sant'Antonio.

L'interno[modifica | modifica wikitesto]

L'interno contiene ambienti modificati nel corso del tempo: una biblioteca con un fregio settecentesco restaurato dal pittore Giovanni Patrone, la grande sala da pranzo con il monumentale camino di epoca napoleonica, la sala delle catene, che deve il proprio nome alle decorazioni delle pareti, con un ritratto del marchese C. Zoppi ed altri ambienti tra cui la galleria dei ritratti e delle armi bianche.

All'interno sono conservate sculture provenienti dalla distrutta chiesa di San Francesco di Valenza tra cui frammenti della tomba di Giovanni Annibaldi. Nella sagrestia una lapide in cotto rammenta la notizia, tratta da un documento di autenticazione della reliquia di San Bernardino da Siena, che lo stesso nel 1421 fu ospite di casa Zoppi.

Al primo piano vi è il busto marmoreo di [[Francesca Della Rovere Annibaldi], opera dello scultore Giovan Battista Comolli di Valenza, oggi collocato nel vano con gli stemmi delle spose degli Zoppi; vi sono dipinte le insegne araldiche delle famiglie che dal 1300 si sono unite alla casata.

Nello stesso vano è in mostra una portantina a braccia settecentesca, al cui interno vi sono oggetti di abbigliamento dell'epoca.

Nella Stanza della lepre rimane traccia degli soffitti lignei decorati: nel soffitto a cassettoni si possono vedere tavolette che riproducono in vario numero i blasoni degli Zoppi, dei Pietrasanta, dei Del Carretto e degli Inviziati. È ricorrente il motto GERN, al cui centro compare una maglia dell'emblema della catena; sono anche separatamente rappresentate le due lepri che danno il nome alla stanza ed un levriere in corsa, quest'ultimo con collare ad occhiello sporgente.

Ciclo di caccia e giochi[modifica | modifica wikitesto]

Al primo piano sono conservati gli affreschi appartenenti ad un ciclo profano con scene di caccia e giochi. La serie di affreschi rappresentano la vita cortese con raffigurazioni allegoriche e decorazioni geometriche ed è da mettere in relazione ad un avvenimento che ha coinvolto Antonio Zoppi e i suoi figli Giovanni Bartolomeo e Gerardino, quando il marchese Guglielmo VIII del Monferrato, dopo la liberazione, concesse loro l'emblema araldico delle catene, accompagnato dal motto G.E.R.N., in segno di gratitudine per essergli rimasti fedeli durante la sua prigionia da parte di Francesco Sforza nel castello di Pavia.

L'intero ciclo in origine apparteneva ad un unico ambiente oggi suddiviso in varie stanze. Varie parti dell'affesco sono state staccate dalle pareti e ricollocate altrove. Gli affreschi risultano inoltre picchiettati a colpi di martello: probabilmente, durante un'epidemia della prima metà del XIX secolo il vasto locale funse da ospizio e, terminata l'epidemia, l'ambiente venne fatto intonacare per risanarlo e si provvide alla picchiettatura per fare aderire meglio la malta alla superficie liscia dell'affresco.

Il primo intervento di studio, sotto la direzione di Noemi Gabrielli, fu effettuato negli anni venti del XX secolo per il Gioco della Palma: l'affresco situato in un vano del sottotetto soprastante la sala del biliardo, fortunatamente mai ricoperto da scialbo, è il più conservato e dopo lo strappo su tela è stato collocato nella sala da pranzo al piano terreno.

Verso la metà dei successivi anni cinquanta, in un successivo studo, si provvide allo strappo degli altri affreschi e al loro trasporto su tela fissata su grandi pannelli. Oggi questi sono per lo più collocati nel così detto gran stanzone dislocati in posizioni che li rendono facilmente osservabili sebbene non corrispondenti alle collocazioni originarie. La scena de I cavalieri è oggi alla Galleria Sabauda di Torino.

I pannelli del gran stanzone rappresentano il falconiere a cavallo, la scena di pesca ed osservazione dei volatili e la scena dell'uccellagione con le reti.

Lo sviluppo originale delle varie scene può essere parzialmente ricostruibile attraverso l'osservazione degli elementi superstiti.

Partendo dalla zona superiore, delimitata da un fregio con stemmi della famiglia intercalati con fiori, anelli dell'emblema delle catene e in un caso con lo stemma del marchese del Monferrato, le scene si snodano in una narrazione continua, per quanto è ancora riscontrabile tra vaste lacune, con la raffigurazione della partenza mattutina per la caccia ove il sole è ancora basso all'orizzonte, segue il corteo dei Cavalieri con Antonio Zoppi e i figli preceduti da un falconiere.

Nella scena successiva forse uno dei figli, con in capo una corona di foglie di quercia, sta pescando con una canna presso una cascata di torrente, mentre compare Antonio Zoppi, riconoscibile per le catene al collo, che porta un caratteristico copricapo di paglia usato dai cavalieri in viaggio per proteggersi dal sole.

Altri due personaggi in piedi osservano, facendosi solecchio, un falcone che ghermisce un airone in un cielo affollato di uccelli di ogni varietà. Sulla parete contigua ancora un esponente della famiglia identificabile dal collare delle catene, forse un figlio di Antonio, sta tirando con un aiutante la rete usata per l'uccellagione. A concludere il ciclo è la scena del Gioco della Palma, con giovani figure femminili e maschili che battono tra di loro il palmo della mano e si rincorrono scherzosamente sino al limite di una dispettosa tirata di capelli.

Nella parte inferiore dello stesso ambiente del gran salone, per effetto dell'abbattimento dell'antico soffitto vi è un altro ciclo con la raffigurazione delle Virtù e dei Vizi, oggi parzialmente conservato. In esso compare, insieme a tracce di altri, un tondo a ghirlanda in cui è identificabile la personificazione della "Fides et Castias". Attorno al tondo restano in alto figure alate che sorreggono una ghirlanda ed in basso frammenti ornamentali di una scena ancora riconducibile alla caccia, di cui sopravvive un felino ferito incalzato da un suonatore di corno: il tutto immerso in un paesaggio costellato di fiori e piante, alla maniera di una miniatura. Sulla parte opposta della parete sopravvivono due figure alate che sorreggono lo stemma degli Zoppi.

Noemi Gabrielli ha evidenziato le affinità di questo ciclo con gli affreschi di Casa Borromeo a Milano, forse attraverso un pittore cremonese per via di certe corrispondenze con Bonifacio Bembo. Le affinità con il ciclo milanese furono successivamente confermate da Carlo Ludovico Ragghianti nel 1949 e da Costantino Baroni nel 1952. L'affresco del Gioco della Palma fu riferito alla cerchia di Giovanni Zenoni da Vaprio nella mostra di Milano del 1958, su proposta avanzata dal Cipriani che attribuiva gli affreschi milanesi a questo maestro. L'anno successivo Poppi, attribuendo a Cristoforo de' Moretti i Giochi di Casa Borromeo, faceva ricadere sullo stesso gli affreschi di Palazzo Zoppi. Infine nel 1971 Gabrielli li riconsiderava nuovamente appartenere alla cerchia di Giovanni Zenoni da Vaprio.

Mulazzani, nel 1983, ritiene che nella narrazione del ciclo di Palazzo Zoppi si distinguano due pittori: uno nelle scene di caccia e l'altro in quella del Gioco della Palma, mentre ritiene i tondi delle Virtù di un terzo pittore probabilmente slegato e non attinente al ciclo. Il Gioco della Palma, sempre secondo il Mulazzani, contiene riferimenti ad alcuni affreschi della Pieve di Volpedo, nei Santi su certi pilastri. Sono ampiamente condivisibili tali analogie in particolare nei Santi Cosma e Damiano, datati 1462 dalla scritta in alto, ove i visi ovali e minuti dalle alte fronti tondeggianti portano ad accostarli con quelli dei personaggi del Gioco della Palma di Cassine.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Franco Cardini, L’Italia medioevale, Touring Editore, 2004.
  2. ^ ’’Cassine (AL) : Palazzo Zoppi, Chiesa di San Giacomo e altri edifici medievali’’ in Archeocarta, Carta Archeologica del Piemonte, http://archeocarta.org/cassine-al-palazzo-zoppi-chiesa-di-san-giacomo-e-altri-edifici-medievali/.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Sergio Arditi, Giuseppe Corrado (a cura di), Cassine: Terra di storia - Storia di Terra, 2006, SBN IT\ICCU\TO0\1539192.

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]