Utente:Mattia855/Sandbox

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Museo della Fisica “Giovanni Poleni” in Università degli Studi di Padova[modifica | modifica wikitesto]

Museo Giovanni Poleni

Il Museo della Fisica "Giovanni Poleni" è un museo italiano gestito dal dipartimento di fisica dell'Università di Padova dove sono ospitati diversi reperti riguardanti lo sviluppo e lo studio della fisica moderna. Infatti, nel corso del 1900, l'Università di Padova fu un centro importante nell'ambito della ricerca legato a questa nuova branca della fisica, con lo scopo di superare le barriere imposte dalla fisica classica. Esponenti quali Bruno Rossi, Pietro Bassi e Antonio Rostagni, come testimoniato da Alessandro Pascolini[1], furono infatti dei pionieri del settore, con specializzazioni, per esempio, nello studio del fenomeno dei raggi cosmici. In particolare, presso il museo sono conservati strumenti, quali tra gli altri le camere a bolle e a nebbia utilizzate per la visualizzazione delle tracce lasciate delle particelle.[2]

Bruno Rossi

Da inserire in Bruno Rossi[modifica | modifica wikitesto]

Raggi Cosmici: il contributo di Bruno Rossi[modifica | modifica wikitesto]

Grazie anche ai contributi di Bruno Rossi si comprese che i raggi cosmici arrivano nell’atmosfera dallo spazio (radiazione cosmica primaria) e qui interagiscono con i suoi costituenti, producendo cascate di particelle che possono essere rilevate dalle strumentazioni (radiazione cosmica secondaria).

Rossi progettò un nuovo circuito costituito da triodi e da contatori di Geiger-Müller, grazie al quale si evidenzia l’enorme potere di penetrazione dei raggi cosmici, in grado di attraversare strati di piombo di oltre un metro. Inoltre scopre che la radiazione cosmica produce nella materia con inaspettata frequenza gruppi di particelle, note con il nome di sciami.

Il fisico arriva a Padova nel 1932 in qualità di professore, chiamato per la cattedra che un tempo apparteneva a Galileo Galilei. Egli portò con sé, oltre al suo grande entusiasmo, le sue competenze in fisica moderna e le sue notevoli abilità sperimentali, con lo scopo di proseguire con le ricerche sulle scoperte da lui già effettuate. Fece degli esperimenti sulla torre del Palazzo del Bo’ e organizzò delle spedizioni in Etiopia per stabilire la natura dei raggi cosmici, dalle quali constatò che questa è corpuscolare e soprattutto scoprì che le particelle in questione sono prevalentemente cariche positivamente, confutando coloro che ritenevano si trattasse di elettroni. Inoltre studiò il meccanismo di produzione degli sciami confrontando i risultati ottenuti da misurazioni a diverse quote: a Padova, sulle Alpi, alla Mendola e al Passo dello Stelvio.[3][1][4]

Antonio Rostagni

Bruno Rossi ebbe inoltre il merito di aver permesso la creazione, a Padova, del miglior istituto di fisica in Italia. L’istituto che egli progettò, dotato di diversi laboratori all’avanguardia quali un'efficiente officina, una torre per lo studio delle radiazioni cosmiche, e l’impostazione di un acceleratore di particelle di 1 MeV, entrò in funzione a inizio 1937. Costretto nel 1938 ad abbandonare l’Italia in seguito alle leggi razziali, venne sostituito da Antonio Rostagni, il quale dovette interrompere le ricerche poiché, a causa della guerra, poté contare solo sull’aiuto di Niccolò Dalla Porta, professore di fisica teorica. Alla fine della guerra Rostagni voleva far acquisire a Padova un ruolo internazionale: nel 1948 rinunciò alla concretizzazione dell’acceleratore di particelle concentrando gli studi sui raggi cosmici con lo scopo di esplorare l’universo subnucleare.[3][1][4]

L’Istituto di Fisica di Padova ebbe quindi un ruolo cruciale nell’organizzazione dei voli, avvenuti tra il 1952 e il 1953 ad alta quota, di palloni in polietilene per esporre emulsioni nucleari alla radiazione cosmica, con lo scopo di studiare meglio le tracce lasciate da nuovi tipi di particelle: le particelle strane (così chiamate in quanto instabili, particolarmente pesanti e perché decadono in modi diversi). La maggioranza di questi voli vennero fatti partire dalla Sardegna ma gli ultimi due vennero effettuati a Padova nei pressi di Santa Giustina. Dalle analisi delle misurazioni si ottenne chiarezza sui vari tipi di decadimento dei mesoni K, si comprende infatti che una singola particella stava decadendo in modi differenti.[3][1][4]

In seguito venne organizzato un nuovo esperimento: il G-Stack, o Giant-Stack, che consisteva nel lancio di un pallone contenente soli 15 litri di emulsione. L’anima del progetto fu il padovano Michelangelo Merlin. Il pallone venne lanciato nel 1954 da Novi Ligure e permise di stabilire che i differenti decadimenti osservati erano dovuti ad un’unica particella (il mesone K+), permettendo conclusioni fisiche quali che i decadimenti della stessa particella potevano avere diverse parità.[3][1][4]

Si conclude così il primo periodo d’oro della fisica della radiazione cosmica, grazie, anche e soprattutto, alla rinascita della fisica padovana e italiana che si concretizzò nel 1951 con l’istituzione dell’INFN da parte di gruppi delle Università di Padova, Roma, Torino e Milano, finanziati dal CNR, che permise l’ingresso dell’Italia nel CERN nel 1954.[4][3][1]

Da inserire nella voce Pietro Bassi[modifica | modifica wikitesto]

La Camera a Bolle: il contributo di Pietro Bassi[modifica | modifica wikitesto]

La camera a bolle è uno strumento che permette di rivelare particelle subatomiche elettricamente cariche. E’ costituita da un contenitore riempito di un liquido trasparente che, in condizioni stabili, fa in modo che al passaggio di una particella ionizzante si formino bolle lungo la traiettoria, da qui il nome “camera a bolle”. La prima venne costruita nel 1952 da Donald Glaser, un abilissimo fisico e uno dei primi imprenditori biotecnologici della storia (aveva appena 25 anni quando realizzò il primo modello). Essa rappresentava ancora una fase prevalentemente preliminare e con molte incognite da risolvere, e fu quindi un gruppo di giovani padovani, e in particolare il fisico Pietro Bassi, a effettuare la sperimentazione. I problemi che Glazer non era riuscito a risolvere riguardavano principalmente il liquido con cui operare, spesso idrocarbur i facilmente infiammabili, e le condizioni di pressione e temperatura a cui questi liquidi andavano sottoposti.

Inizialmente vennero realizzate cinque camere, ognuna delle quali risolveva i problemi della macchina precedente. Il primo successo concreto di questi esperimenti fu ottenuto nel 1955, dalla collaborazione tra Pietro Bassi, Paolo Mittner e Igino Scotoni, i quali riuscirono ad effettuare la prima fotografia europea delle tracce lasciate dai raggi cosmici. Questa camera conteneva come liquido il propano che, portato a temperatura di ebollizione e reso instabile da un brusco abbassamento di pressione (temperatura di 60°C e pressione di 20 atmosfere), avrebbe raggiunto istantaneamente l’ebollizione se stimolato da una qualsiasi perturbazione. Di conseguenza, al passaggio delle particelle, si sarebbe verificata una formazione di bolle, permettendo la visualizzazione della traiettoria intrapresa dai raggi nell’attraversare il liquido. Questa, così come altre della serie, è ancora conservata ed esposta presso il museo.[5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f Alessandro Pascolini, Ricerche sui raggi cosmici presso l'Università di Padova (PDF), in Padova e il suo territorio, XI, n. 61, 1996.
  2. ^ Le Collezioni - Museo Giovanni Poleni: Fisica Moderna, su musei.unipd.it.
  3. ^ a b c d e Bruno Benedetto Rossi,“l’inesauribile ricchezza della natura”, su ilbolive.unipd.it.
  4. ^ a b c d e (IT) Bruno Rossi, L'Enigma dei Raggi Cosmici, Padova : Padova university press, 2012, p. 83, ISBN 9788897385257, SBN PUV1339924 Controllare il valore del parametro sbn (aiuto).
  5. ^ Guido Zago, Pietro Bassi e le camere a bolle di Padova (PDF), in Padova e il suo territorio, XI, n. 61, 1996.