Utente:Claudio Auria/Sandbox

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Zavattini

Nel 1927, quando ancora non si conoscevano di persona, Zavattini e Ungaretti furono protagonisti di un'accesa polemica giornalistica. Nel novembre 1927 Zavattini, firmandosi Giacomino, scrisse un'articolo sulla «Fiera Letteraria» in cui prendeva in giro Ungaretti, il quale reagì con veemenza rispondendo per le rime a Zavattini sia sulla «Fiera Letteraria» che sul «Tevere» (F. Pierangeli, Ombre e presenze, Ungaretti e il secondo mestiere (1919-1937), premessa di E. Giachery, Loffredo, Napoli 2016, p. 66).

ANSALDO

Tornato in Patria, decise in un primo momento di tentare la carriera accademica. Parallelamente avviò una collaborazione giornalistica con il quotidiano della sua città. Lo chiamò il direttore de «Il Lavoro», Giuseppe Canepa (deputato del Partito socialista), che aveva letto i suoi articoli sulla rivista di Salvemini. Il primo pezzo firmato da Ansaldo sul «Lavoro» uscì il 29 ottobre 1919. Abbandonò i propositi accademici e si concentrò sull'attività giornalistica. Nel 1922 venne nominato redattore capo dallo stesso Canepa. Ansaldo nutrì sempre un'incondizionata stima per il suo direttore, il quale guidò il quotidiano genovese fino al 1938, prima di ritirarsi a vita privata. Nella primavera nel 1922, in occasione della Conferenza internazionale di Genova, Ansaldo conobbe Giuseppe Ungaretti. Nacque da lì una lunga amicizia fra i due personaggi. [Ansaldo, pur non essendo un critico letterario, fu fra i primi giornalisti ad occuparsi della vita e delle opere di Ungaretti, scrivendo nell'estate del 1933 tre articoli su poeta apparsi sul «Lavoro» di Genova (

Amico di Piero Gobetti, nonché dotato di una vasta cultura, Ansaldo fu anche l'articolista principe della sua rivista «La Rivoluzione liberale» (1922-1925). Come caporedattore del «Lavoro», nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Politicamente socialista riformista, si batté a duello [due] tre volte: con Giuseppe Ungaretti, Piero Parini, giornalista del «Popolo d'Italia», e con Telesio Interlandi, direttore del «Tevere».

prima guerra mondiale. L'influenza culturale.

La Grande Guerra ebbe una profonda influenza sul mondo della letteratura e delle arti figurative. Il conflitto ispirò una copiosa produzione letteraria, sia di poesia che di narrativa: un gran numero di poesie e raccolte di poesie composte dagli stessi militari al fronte furono pubblicate già durante la guerra (tra le altre, quelle dei britannici Wilfred Owen e Isaac Rosenberg e dell'italiano Giuseppe Ungaretti), spesso critiche nei confronti della propaganda e concentrate sulle sofferenze dei soldati in trincea.

Ungaretti nel dicembre 1916 pubblicò il celeberrimo e stupendo Porto sepolto. Gli studiosi, nel commentare quella prima raccolta di poesie ungarettiane, hanno spesso sottolineato che il poeta s'era arruolato volontario e che aveva trascorso diversi anni nelle trincee del Carso con grande abnegazione (M. Puccini, Il misticismo nella poesia. Ungaretti uomo di pena, in «Bilycnis», n. 208, Aprile 1927, p. 248; G. Ansaldo, Ungaretti, uomo del nostro tempo, «Il Lavoro», 26 agosto 1933; L. Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Ungaretti, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1962, p. 13; Giuseppe Ungaretti, Filosofia fantastica, a cura di C. Ossola, Utet, Torino 1997, p. 7; N. Perego, E. Ghislanzoni, Parole in viaggio, Zanichelli, Bologna 2011, p. 172). In realtà le cose andarono molto diversamente: «Ungaretti, dunque, non si arruolò volontario, trascorse pochissimo tempo in trincea, non fu un eroe di guerra: non ricevette medaglie al valore; frequentò spesso infermerie e ospedali militari; trascorse nelle retrovie del fronte quasi tutti gli anni della guerra; evitò undici delle dodici battaglie dell’Isonzo, e nell’unica a cui partecipò occupò posizioni di rincalzo; non esitò a chiedere ripetutamente aiuto agli amici per essere allontanato il più possibile dal fronte. Quel suo comportamento, però, non nasceva da disinteresse verso il dramma della guerra o da vigliaccheria. Aveva un sogno: diventare un grande poeta, il più grande poeta italiano; e – incalzato dalla sua impazienza caratteriale – quel sogno voleva realizzarlo urgentemente; aveva dunque bisogno della necessaria tranquillità per potersi dedicare alle sue poesie, e la permanenza in trincea era incompatibile con le sue ambizioni letterarie».





FASCISMO. letteratura italiana durante il fascismo. consensi al regime.

Ungaretti viveva ancora in Egitto quando sentì parlare per la prima volta di Mussolini. Il poeta, presentato da Filippo Corridoni, conobbe di persona Mussolini nel febbraio 1915 a Milano nella sede del «Popolo d'Italia» (C. Auria, La vita nascosta di Giuseppe Ungaretti, Le Monnier, Firenze 2019). Il poeta, già nel 1918 scriveva a Papini: «seguo con attenzione il movimento di Mussolini, ed è, credimi, la buona via. Bisogna voltarsi di là. Ordine ordine ordine, armonia armonia armonia; e per ora non vedo che confusione confusione confusione» (G. Ungaretti, Lettere a Giovanni Papini (1915-1948), Mondadori, Milano 1988, p. 233). Nel febbraio 1919 Ungaretti scriveva ancora a Papini: «Amo il giornale di Mussolini che corrisponde da diverso tempo come sai alle mie idee politiche». Qualche mese dopo, in occasione delle elezioni politiche, il poeta scriveva sul «Popolo d'Italia»: «Patria e rivoluzione; ecco il grido nuovo. Lo opponiamo a tutti quei sudiciumi plutocratici, che gridano troppo patria o rivoluzione per non suscitare i più legittimi sospetti. Vogliamo un po’ cercare di prendere in giro il diavolo. Aderisco ai fasci di combattimento, il solo partito che intende la tradizione e l’avvenire in modo genuino. Patria e rivoluzione, ecco il grido nuovo!». Subito dopo la Marcia su Roma, il poeta chiese a Mussolini una prefazione al Porto Sepolto: «Eccellenza, il mio amico Ettore Serra che ha curato a Sebenico la magnifica edizione su carta di Fiume degli scritti per la Dalmazia del Comandante, prepara ora un’edizione che sarà un miracolo d’arte tipografica delle mie migliori poesie di guerra e della mia recentissima opera. V.E. sa il mio valore di poeta (…). Meriterei di essere da un pubblico più vasto conosciuto ed amato. Finora non conosco bene che la fame. L’Italia nuova deve saper dare di più al valore. Vuole V.E. che la rinnovata italianità sta consacrando, innalzare anche la mia fede? Ricorro a V.E. come ad un signore della Rinascenza: quando l’Italia è stata grandissima nel mondo, i potenti non sdegnavano di coronarla di bellezza (ch’è la sola cosa non peritura). Poche righe di prefazione da parte di V.E. – quando le gravi cure dello Stato le daranno un momento di tregua – sarebbero per me, agli occhi di tutti, un gran segno d’onore. Il libro – ornato da un giovine che forse è il nostro migliore silografo – sugli esempi dei grandi maestri del 4 e 500 – si propone anche di presentarsi come un rinnovamento dell’arte italiana del libro – caduta da 50 anni allo stato di decadenza che V.E. non ignora. Sarei profondamente lieto se V.E. potesse concedermi una breve udienza» (lettera di Ungaretti a Mussolini del 5 novembre 1922, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, fasc. Ungaretti Giuseppe). Ungaretti si iscrisse al PNF (Fascio di Roma, gruppo Savoia) il 30 agosto 1924, appena nove giorni dopo il funerale di Matteotti (Stato matricolare di Ungaretti, Università "La Sapienza" di Roma, Ufficio storico, fasc. AS 2770, Ungaretti Giuseppe).

Il poeta avrebbe in seguito continuato a manifestare la sua ammirazione per Mussolini. Fra i tanti esempi che si potrebbero fare vi è una lettera scritta dal poeta nel gennaio 1926 in occasione delle nomine ad Accademico d'Italia: «Mio Duce, redattore del Popolo d’Italia nel 1919, diciannovista, chiedo l’insigne onore di non essere dimenticato nella lista di quelli che furono fedeli fin dalla prima ora. La mia vita è sempre vostra, e ne farete, quando vorrete, ciò che vi parrà. Prego Iddio che benedica sempre la vostra opera. Sono il vostro milite» (G. Turi, Sorvegliare e premiare, L’Accademia d’Italia, Viella, Roma 2016). Ungaretti continuerà a manifestare la sua simpatia per il fascismo anche dopo la campagna etiopica e lo scoppio della seconda guerra mondiale; ne è una testimonianza una lettera di Ungaretti del dicembre 1940 inviata dal Brasile a Bottai e Volpicelli: «Carissimi, non ho mai avuto tanta fede nel Duce, nel Fascismo e nell’Italia quanta in questo momento. Sono un uomo vecchio, e non più buono ormai a gran cosa; ma potrei forse ancora fare un po’ di bene. Se il Duce giudica che il mio ritorno possa essere di qualche utilità per la propaganda fra le truppe in prima linea, o in qualche modo, vorrei tornare. Vi prego di far giungere al Duce questo mio desiderio» (lettera di Ungaretti dell’11 dicembre 1940, in Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, fasc. Ungaretti Giuseppe).

Ancora negli anni Sessanta Ungaretti scriveva all’amico Jean Paulhan: «Ah Mussolini. Certamente l’ho amato tanto …» (Correspondance Jean Paulhan – Giuseppe Ungaretti (1921-1968), Gallimard, Paris 1989, p. 550; Saggi e Interventi, Mondadori, Milano 1974, p. 911).

Naturalmente molti studiosi si sono occupati del rapporto fra Ungaretti e il fascismo. Si veda in proposito: Ardengo Soffici. Miei rapporti con Mussolini, a cura di G. Parlato, in «Storia Contemporanea», a. XXV, n. 5, ottobre 1994; G. Ungaretti, Lettere a Soffici (1917-1930), Sansoni, Firenze 1981; E. Serra, Il tascapane di Ungaretti, Edizioni di Storia Letteraria, Roma 1983; R. Gennaro, La risposta inattesa, Franco Cesati, Firenze 2002; F. Petrocchi, Scrittori italiani e fascismo, F. Petrocchi, Ungaretti e il fascismo, Archivio Guido Izzi, Roma 1997; A. Vergelli, «Un uomo di prim’ordine». Giuseppe Ungaretti (documenti ed altra corrispondenza inedita), Bulzoni, Roma 1990; G. Ansaldo, Il Giornalista di Ciano, Diari 1932-1943, Il Mulino, Bologna 2000; Ungaretti – De Robertis, Carteggio (1931-1962), Il Saggiatore, Milano 1984; G. Sedita, Gli intellettuali di Mussolini. La cultura finanziata dal fascismo, Le Lettere, Firenze 2010; P. Guida, Ungaretti privato. Pensa multimedia, Rovato-Lecce 2014.


MUSSOLINI

arresto del 18 novembre 1919


Il 9 ottobre si tenne a Firenze il primo Congresso dei Fasci di Combattimento: venne deciso di presentarsi alle imminenti elezioni politiche senza aderire a nessuna alleanza. Alle elezioni politiche del 16 novembre 1919 i fascisti, nonostante le candidature "eccellenti" dello stesso Mussolini, di Filippo Tommaso Marinetti e di Arturo Toscanini, non ottennero neanche un seggio, e nella provincia di Milano presero soltanto 4675 voti. Inoltre, il 18 novembre Mussolini fu tratto in arresto per alcune ore con l'accusa di detenzione di armi ed esplosivi; venne rilasciato grazie anche all'intervento del senatore liberale Luigi Albertini.



E' interessante il modo con cui Giuseppe Ungaretti - all'epoca corrispondente da Parigi per «Il Popolo d'Italia» - visse gli arresti di Mussolini e Marinetti del 18 novembre 1919. Il poeta, molto preoccupato, cercò d'organizzare una manifestazione a Parigi in favore degli arrestati. Racconterà Ungaretti in un'intervista del 1933: «Nel ’19, a Parigi, facevo il corrispondente e seguivo i lavori della Conferenza della Pace per incarico del «Popolo d’Italia». Gli italiani si radunavano in un grande albergo dove era stabilita la delegazione italiana. Non rammento con precisione la composizione della delegazione italiana. Credo Nitti o Tittoni al posto di Sonnino e Orlando (…). Chissà se fra le carte di S. Ecc T. si troveranno forse un giorno una mia lettera in cui gli dicevo che avesse fatto bene attenzione perché oltre all’Italia ufficiale, delle schede e dei portafogli, c’era una Italia tremendamente giovane, che avrebbe vinto per forza o per amore. Signor delegato, gli dicevo, ho il dovere di avvertirvi che rappresento qui il giornale dell’Italia Nuova e vi prego di fare attenzione ai mali passi! Vi furono in quel periodo degli arresti a Milano. Organizzai allora una specie di Manifestazione in difesa degli arrestati alla quale aderirono tutti gli intellettuali più in vista di Parigi alla testa dei quali si misero gli scrittori di Littérature e del gruppo Dadà, Aragon, Breton, Tristan Tzara, ecc., che erano quelli che facevano più chiasso. Avevamo intenzione di invadere l’Ambasciata. Io feci annunciare a Nitti che gli avrei bucato la pancia. Ma poi non se ne fece nulla perché gli arrestati vennero rilasciati (Intervista di Alfredo Mezio ad Ungaretti, «Il Tevere», 17-18 luglio 1933. Su questa vicenda si veda anche F. Pierangeli, Ombre e presenze. Ungaretti e il secondo mestiere (1919-1937), premessa di E. Giachery, Loffredo, Napoli 2016, p. 86; lettera di Mussolini a Soffici del 2 dicembre 1919, in G. Ungaretti, Lettere a Soffici 1917-1930, a cura di P. Montefoschi e L. Piccioni, Sansoni, Firenze 1981, pp. 69-70; ....).

Più pagati furono i toni usati in quell'occasione da Mussolini che nel dicembre 1919 cercava di tranquillizzare il suo corrispondente parigino: «Carissimo, Marinetti è in libertà. Tutto bene» (Biglietto del 13 dicembre 1919 inviato da Mussolini ad Ungaretti, Vita d'un uomo. Saggi e Interventi, Mondadori, Milano 1986, p. 910).


Mussolini dimostrò di avere una personalità carismatica, come testimoniano i discorsi tenuti di fronte a «folle oceaniche», e una notevole abilità oratoria, che attinse in parte dall'esempio dannunziano. Egli incrementò la sua popolarità presentandosi come «il figlio del popolo», ricorrendo all'organizzazione e all'irreggimentazione delle masse, chiamate di continuo a partecipare ad iniziative di varia natura, ma anche grazie all'appoggio di molteplici intellettuali di spicco [ Per un primo approccio sull’origine, motivazioni e caratteristiche del diffuso consenso che il fascismo riscosse dagli intellettuali italiani si veda, ad esempio, A. d’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Einaudi, Torino 2000; G. Belardelli, Il Ventennio degli intellettuali, Laterza, Roma-Bari 2005; A. Tarquini, Storia della cultura fascista, Laterza, Roma-Bari 2011].


] (Gabriele D'Annunzio, Mario Sironi, Ezra Pound, i futuristi, Giovanni Gentile) e di uomini di grandi capacità di governo.

A proposito dell'adesione di Giuseppe Ungaretti al fascismo, ed in particolare al suo rapporto con Mussolini, si veda: Robert S. Dombroski, L’esistenza ubbidiente, letterati italiani sotto il fascismo, Guida, Napoli, 1984, pp. 71 e 89; Filosofia fantastica. Prose di meditazione e d’intervento (1926-1929), a cura di Carlo Ossola, UTET, Torino 1997, pp. 10-11; L. Piccioni, Vita d'un poeta, Rizzoli, Milano 1970, p. 66; W. Mauro, Vita di Giuseppe Ungaretti, Camunia, Milano, 1990, p. 81; P. Guida, Ungaretti privato. Lettere a Paul-Henri Michel, Pensa multimedia, Rovato-Lecce 2014, p. 38.





Modigliani

a Parigi conobbe anche importanti scrittori e poeti, come - ad esempio - Giuseppe Ungaretti.

Modigliani e Ungaretti si conobbero all'inizio del 1913 ma ebbero modo di frequentarsi con una certa regolarità solo nel 1919, quando entrambi presero l'abitudine di consumare i pasti presso la trattoria gestita dalla signora Rosalia in rue Campagne première (F. Livi, Dal Boulevard Raspail alla Closerie des Lilas. Ungaretti tra Papini e Apollinaire, in Atti del Convegno internazionale di studi di Roma, a cura di A. Zingone, ESI, Napoli 1995; C. Auria, La vita nascosta di Giuseppe Ungaretti, Le Monnier, Firenze 2019, pp. 107-108).


FAZZINI

Nel 1934 espone con successo.

Era stato Giuseppe Ungaretti a mettere in contatto Fazzini con la principessa Marguerite Caetani, la quale nel 1934 invitò lo scultore a partecipare ad una collettiva a Parigi (C. Auria, La vita nascosta di Giuseppe Ungaretti, Le Monnier, Firenze 2019, p. 220).


Ritratto di Ungaretti.

Fazzini ed Ungaretti erano diventati amici a Roma all'inizio degli anni Trenta. Il Ritratto di Ungaretti fu realizzato nello studio di Fazzini a Via Margutta fra l'ottobre 1936 e il gennaio 1937 (D. Durbé - R. Lucchese, Fazzini e Ziveri cinquant'anni dopo. Colloquio con Pericle Fazzini e Alberto Ziveri di Dario Durbé e Romeo Lucchese, in Fazzini e Ziveri, a cura di N. Vespigiani, V. Rivosecchi, M. Fagiolo Dell'Arco, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, 19 dicembre 1984 - 3 febbraio 1985, Electa, Milano, 1984).


Fautrier

Anche il poeta Giuseppe Ungaretti fu un grande ammiratore degli «Ostaggi» di Fautrier. Il poeta e il pittore s'erano conosciuti solo nel 1959, ma erano subito diventati grandi amici. Ungaretti apprezzò moltissimo gli Ostaggi e, dopo la scomparsa dell'amico, s'impegnò a fondo per aiutare Janine Aeply - ch'era stata la compagna di Fautrier - a vendere in Italia un piccolo Otage (lettere di Ungaretti a Leone Piccioni del 22 e 23 febbraio, del 1° marzo e del 5 aprile 1965, L'allegria è il mio elemento. Trecento lettere con Leone Piccioni, Mondadori, 2013, pp. 246-250; e la lettera di Ungaretti a Piero Bigongiari del 15 maggio 1965, «La certezza della poesia», Lettere (1942-1970), Polistampa, 2008, p. 294; la vicenda è ricostruita in .


Carrà

Proprio in questi anni nacque l'amicizia fra Carrà e il poeta Giuseppe Ungaretti. Carrà ed Ungaretti si conobbero nell'aprile del 1914 a Parigi presso la Galleria Bernheim-June, dove era stata allestita un'esposizione futurista. L'amicizia fra Ungaretti e Carrà - destinata a durare fino alla scomparsa del pittore - nacque qualche mese dopo, quando il poeta si trasferì a Milano e lì ebbe modo di frequentare assiduamente il pittore, fin quando l'Italia non entrò in Guerra e Ungaretti fu richiamato alle armi (Cinquantatrè lettere a Carlo Carrà, a cura di P. Bigongiari e M. Carrà, in «Paradigma», giugno 1980, fasc. 3, pp. 415-447).


Pirandello

Il telegramma arrivava in un momento di grande difficoltà per il presidente del Consiglio dopo il ritrovamento il 16 agosto del corpo dell'on. Giacomo Matteotti. In realtà Pirandello non fu l'unico importante intellettuale italiano che si iscrisse al Partito Nazionale Fascista nel pieno della vicenda Matteotti. Giuseppe Ungaretti, ad esempio, si iscrisse al PNF il 30 agosto 1924, appena nove giorni dopo il funerale di Matteotti (Stato matricolare di Ungaretti, Università "La Sapienza" di Roma, Ufficio storico, fasc. AS 2770, Ungaretti Giuseppe).

Apollinaire

Apollinaire e Giuseppe Ungaretti si conobbero a Parigi nel 1913. Il poeta francese fu presentato ad Ungaretti dalla scultrice Louise Ricou e dallo scrittore Alexandre Mercereau. In realtà in quel periodo i due poeti si frequentarono solo occasionalmente, per lo più presso il Café de Flore e la Rotonda; divennero amici nella primavera-estate del 1916, quando il reparto di Ungaretti venne trasferito in Francia ed il poeta italiano ebbe modo di recarsi spesso a Parigi in licenza e lì frequentare assiduamente Apollinaire (F. Livi, Dal Boulevard Raspail alla Closerie des Lilas. Ungaretti tra Papini e Apollinaire, p. 386; G. Ungaretti -J. Amrouche, Propos improvisés, texte mis au point par P. Jaccottet, Gallimard, Paris 1972, p. 80; ).


Quasimodo

Quasimodo, proprio con Oboe sommerso, partecipò all'assegnazione del premio di poesia Il Gondoliere che fu assegnato a Venezia nel luglio 1932. A quella edizione del premio Il Gondoliere parteciparono poeti del calibro di Diego Valeri, Giuseppe Ungaretti e Vincenzo Cardarelli. Quasimodo, sostenuto da Adriano Grande (il direttore della rivista Circoli) non arrivò neppure fra i finalisti del premio, alla fine assegnato ad Ungaretti fra accesissime polemiche.

Per la cronaca del premio si veda: S. Tonon, Una testimonianza d'ordine morale. Le lettere di Pietro Pancrazi a Diego Valeri (1930-1952), Il Poligrafo, Padova, 2012, pp. 313-318; C. Auria, La vita nascosta di Giuseppe Ungaretti, Le Monnier, Firenze 2019, pp. 176 e 372; F. Pierangeli, Ombre e presenze. Ungaretti e il secondo mestiere (1919-37), Iniziative editoriali, 1916, p. 85. La voce che il premio fosse destinato ad Ungaretti aveva iniziato a circolare da mesi: già a marzo Adriano Grande lo scriveva chiaramente a Quasimodo (lettera di Grande a Quasimodo del 18 marzo 1932, S. Quasimodo, Carteggi con Barile, Grande, Novaro (1930-1941), Archinto, Milano 1999, p. 101); anche Eugenio Montale scriveva ad Angelo Barile (interessato al premio) di non farsi illusioni perché avrebbe vinto Ungaretti per «Ragioni di stato» (lettera di Montale del 15 aprile 1932, E. Montale, Giorni di libeccio, Archinto, Milano 2002, p. 89). Dopo l'assegnazione del premio, Quasimodo scriveva a Barile: «Hai visto le gondole? 'Dall'Elmo di Scipio? ecc.» (lettera di Quasimodo del 18 luglio 1932, S. Quasimodo, Carteggi con Barile, Grande, Novaro (1930-1941), Archinto, Milano 1999, p. 74). L'intera vicenda è ricostruita in


Montale.

Anche Giuseppe Ungaretti conseguì il diploma di ragioniere. Ungaretti si diplomò ad Alessandria d'Egitto nel 1906 presso l'Ecole Suisse Jacot, un prestigioso istituto svizzero. Ungaretti, però, diversamente da Montale, terrà sempre nascosto quel suo percorso di studi, preferendo dichiarare di aver svolto studi classici.

Lacerba.

Le relazioni fra Montale e Ungaretti non furono semplici. Ungaretti espresse spesso scarsa stima e simpatia nei confronti del collega. Ungaretti, quando negli anni Trenta svolse l'incarico di selezionatore delle opere da pubblicarsi sui «Quaderni di Novissima», fece tutto il possibile per impedire la pubblicazione delle opere di Montale (C. Auria, La vita nascosta di Giuseppe Ungaretti, Le Monnier, Firenze 2019). Inoltre nel 1942 - in occasione della stampa di Vita d'un uomo - invitò Giuseppe De Robertis (curatore dell'edizione mondadoriana) a spiegare come Montale, alla pari di Vincenzo Cardarelli e Umberto Saba, avesse tratto ispirazione dal Porto sepolto (Lettera di Ungaretti a De Robertis del 19 luglio 1942, G. Ungaretti - G. De Robertis, Carteggio (1931-1962), a cura di D. De Robertis, Il Saggiatore, Milano 1984). Infine, quando nel 1967 Montale venne nominato senatore a vita, Ungaretti non accolse bene la notizia, cercò però di scherzarci sopra con una nota battuta: «Montale senatore, Ungaretti fa l'amore» (L. Piccioni, Montale senatore, Ungaretti fa l'amore «Il foglio quotidiano», 10 maggio 2014, p. IX).


Vittorini.

Nel 1932 - in occasione dell'assegnazione del Premio Fracchia - Montale e Vittorini entrarono in contrasto con Giuseppe Ungaretti. Il premio era stato vinto da Aldo Capasso con un libro (Il passo del cigno ed altri poemi) contenente una prefazione di Ungaretti e dedicato a Montale; Vittorini, anche lui fra i partecipanti al premio, stroncò il libro con una recensione apparsa sul «Bargello»; Ungaretti non gradì l'articolo di Vittorini, ispirato a suo parere da Montale e reagì scrivendo una lettera a Corrado Pavolini in cui disprezzava le poesie di Montale, accusato d'essere un invidioso (Lettera di Ungaretti a Pavolini, senza data ma febbraio 1932, C. Pavolini - G. Ungaretti, Carteggio (1926-1962), Bulzoni, Roma 1989, p. 188).




L'8 agosto 1926, nella villa di Pirandello, nei pressi di Sant'Agnese, venne sfidato a duello da Giuseppe Ungaretti, a causa di una polemica nata sul quotidiano romano "Il Tevere"[1]. Ungaretti rimase leggermente ferito al braccio destro e il duello finì con una riconciliazione.

Con Curzio Malaparte fonda nel 1926 la rivista internazionale "900", Cahiers d'Italie et d'Europe[2] che fino al 1927 è pubblicata in francese e si rivolge a tutti gli intellettuali cosmopoliti del cosiddetto «novecentismo» o «stracittà»: su questa piattaforma espone la sua poetica innovatrice del realismo magico che, secondo il modello francese, invita l'artista moderno a scoprire l'incanto dell'inconscio e delle avventure imprevedibili, però senza rinunciare alla funzione di controllo della sua ragione umana. Come mitografo l'artista deve rivelare il «senso magico scoperto nella vita quotidiana degli uomini e delle cose» semplificando la realtà problematica e complessa nella società di massa e traducendola in favole e miti nuovi. L'edizione integrale di questo suo programma del movimento avviene nel 1938 sotto il titolo L'avventura novecentista.

Se i suoi primi romanzi e racconti di stampo "magico" hanno ancora una certa originalità ricca di idee, minore successo critico avranno le opere successive, tra cui i romanzi Il figlio di due madri (1929) e Gente nel tempo (1937). Il ministro Bottai e Bontempelli a Venezia (1940 ca) Malaparte era già uscito dal sodalizio di «900» alla fine del 1927 e Bontempelli, che dal 1928 è divenuto segretario nazionale del Sindacato Fascista Autori e Scrittori, chiude la rivista nel 1929, anno nel quale ha l'idea di creare, all'Hôtel de Russie di Roma, il primo cineclub italiano. Insieme alla sua nuova compagna, la scrittrice Paola Masino, è spesso all'estero per viaggi, conferenze e dibattiti culturali.

Convinto assertore del fascismo, nel quale vede il mezzo politico più adatto a sostenere la nascita di una società moderna in Italia, Bontempelli è nominato il 23 ottobre 1930 Accademico d'Italia[3]. Vive per tutto l'anno a Parigi: rientrato a Milano nel 1931, pubblica Mia vita morte e miracoli. L'anno successivo si trasferisce a Frascati e nel 1933 fonda con Pier Maria Bardi la rivista d'arte Quadrante che appoggia l'architettura razionalista di Michelucci e Terragni e anche le correnti pittoriche astratte.

Avverso sia al provincialismo dello «strapaese» che all'invasività del Regime nelle scelte artistiche, il 23 agosto 1936 pubblica sulla Gazzetta del Popolo di Torino l'articolo critico I soliti spunti; nel 1938 esce l'Avventura novecentista e il 29 giugno l'articolo Le rane chiedono tanti re, che attacca la proposta di istituire un Albo nazionale dei critici d'arte.

All'istituzione delle leggi razziali rifiuta di succedere ad Attilio Momigliano, sollevato dalla cattedra di Letteratura italiana nell'Università di Firenze; anche nel discorso di commemorazione di Gabriele d'Annunzio, il 27 novembre, critica l'«obbedienza militaresca» divenuta ormai un costume nazionale.

Espulso dal PNF e con la proibizione di scrivere per un anno[4], deve lasciare Roma e risiedere a Venezia, in una sorta di «esilio dorato», presso la villa del barone Franchini, mantenendo ad ogni modo la carica di Accademico d'Italia fino al 25 luglio 1943.

  1. ^ Le aspre polemiche che condussero al duello fra Bontempelli e Ungaretti erano nate dall'accusa rivolta ad Ungaretti di diffamare molti letterati italiani - fra i quali Cardarelli e Pirandello - presso gli ambienti intellettuali francesi, parigini in particolare (F. Pierangeli, Ungaretti e il secondo mestiere (1919-1937), premessa di E. Giachery, Loffredo, Napoli 2016, pp. 55-56)
  2. ^ Le polemiche sorte intorno alla nascita di «'900» sono ricostruite in F. Pierangeli, Ungaretti e il secondo mestiere (1919-1937), premessa di E. Giachery, Loffredo, Napoli 2016. Auria, inoltre, ha sostenuto che «Il motivo che spingeva Ungaretti a frenare la nascita di «'900» non va cercato soltanto nel timore, da parte del poeta, di veder ridotto il suo ruolo di 'ponte', per gli scrittori italiani, verso «Commerce» e «NFR». In realtà, Ungaretti sognava da sempre di fondare e dirigere una grande rivista internazionale, e l'eventuale successo dell'iniziativa di Bontempelli avrebbe infranto quel sogno» (C. Auria, La vita nascosta di Giuseppe Ungaretti, Le Monnier, Firenze 2019, p. 150).
  3. ^ La nomina di Bontempelli ad Accademico d'Italia suscitò anche qualche reazione negativa. Giuseppe Ungaretti, ad esempio, reagì con veemenza, anche mettendosi ad urlare per strada contro Bontempelli ed Ojetti, altro neo Accademico d'Italia (G. Ansaldo, Il Giornalista di Ciano, Diari 1932-1943, a cura di G. Mercenaro, Il Mulino, Bologna 2000, p. 21). Ungaretti, del resto, aspirava anche lui ad un seggio dell'Accademia d'Italia: «Mio Duce, redattore del Popolo d'Italia nel 1919, diciannovista, chiedo l'insigne onore di non essere dimenticato nella lista di quelli che furono fedeli fin dalla prima ora» (lettera di Ungaretti a Mussolini del 18 febbraio 1929, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, fascicolo Ungaretti).
  4. ^ Nel febbraio 1939 a Bontempelli venne ritirata la tessera del PNF «Per aver dimostrato con scritti e discorsi di non possedere in senso assoluto le qualità che costituiscono lo spirito tradizionalmente fascista» (Archivio centrale dello Stato, Ministero della Cultura Popolare, fascicolo Bontempelli, appunto del Capo di Gabinetto del Ministero della Cultura Popolare del 1° febbraio 1939). Curiosamente, da quello stesso documento relativo a Bontempelli veniamo a sapere che in quegli stessi giorni veniva ritirata la tessera fascista anche a Giuseppe Ungaretti, «con uguale motivazione senza però la dicitura "con scritti"» (Massimo Bontempelli e Giuseppe Ungaretti