Teoria del complotto sull'attentato di via Rasella: differenze tra le versioni

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La teoria del complotto sull'attentato di via Rasella consiste nel sospetto, avanzato da alcuni autori, che l'attentato di via Rasella avesse come obiettivo occulto quello di colpire alcuni gruppi della Resistenza romana considerati come rivali del Partito Comunista Italiano. Tale teoria non ha trovato riscontri né in sede storiografica né in sede giudiziale ed è stata valutata come infondata dagli storici che se ne sono occupati.

Presupposti

Il PCI nutriva sospetti e diffidenze verso il Fronte militare clandestino di Montezemolo, che il 13 dicembre 1943 Giorgio Amendola, nell'illustrare alla direzione milanese del partito gli ostacoli verso l'insurrezione finale, descriveva come «una organizzazione reazionaria che cerca di inquadrare i carabinieri e gli ex ufficiali e che si propone di lottare contro i tedeschi ma di assicurare l'"ordine" e di impedire l'intervento popolare nella lotta»[1]. Nelle sue memorie del 1973, Amendola tuttavia afferma di aver in seguito collaborato con Montezemolo, il quale pure si autodefiniva, oltre che monarchico, «anticomunista sfegatato»[2][N 1].

È nota inoltre l'ostilità del PCI verso i gruppi trotskisti, che nel gennaio 1944 l'edizione meridionale de l'Unità denunciò come quinta colonna del nazismo e del fascismo, definendoli tra l'altro «rettili abietti da schiacciare senza pietà nell'interesse non solamente del Partito e della classe operaia ma dell'umanità intera. [...] prendendo ad esempio quanto hanno fatto i compagni russi nella loro lotta per l'annientamento del trotskismo»[3]. Il movimento romano Bandiera Rossa era ritenuto "trotskista" dai comunisti del PCI[4].

Esposizione

Traendo talora spunto da queste accertate tensioni politiche, è stata formulata una teoria del complotto che inquadra la vicenda alla luce di un presunto piano del PCI volto a ottenere l'egemonia nel movimento resistenziale romano ai danni degli altri gruppi, sia di destra che di sinistra. Secondo tale interpretazione dei fatti, i comunisti del PCI avrebbero fatto progressivamente arrestare, tramite una ben orchestrata campagna di delazioni, la maggior parte degli esponenti delle altre formazioni, per poi effettuare un attacco clamoroso affinché costoro fossero fucilati per rappresaglia. Detta teoria è stata variamente sostenuta da autori di diversa provenienza politica, tra cui Giorgio Pisanò (ex combattente della RSI e senatore del MSI)[5], Pierangelo Maurizio (giornalista per quotidiani di centrodestra)[6][7], Roberto Gremmo (storico, a lungo attivo nella sinistra extra-parlamentare)[8], Roberto Guzzo (ex partigiano di Bandiera Rossa)[9], Sergio Bertelli (storico, ex comunista diventato critico verso il PCI)[10] e Massimo Caprara (ex segretario personale di Togliatti e deputato del PCI, poi uscito dal partito diventandone anch'egli un deciso critico)[11][N 2].

Pierangelo Maurizio ritiene inoltre che Antonio Chiaretti, Enrico Pascucci e altri partigiani di Bandiera Rossa si sarebbero trovati in via Rasella al momento dell'esplosione non per caso, ma perché attirati in una trappola[12]. Inoltre, per alcuni sostenitori della tesi del complotto, il PCI si sarebbe avvalso dei propri rapporti con la polizia per influenzare la compilazione delle liste dei fucilandi e il linciaggio di Donato Carretta sarebbe servito a mettere a tacere l'uomo al corrente di quanto accaduto[7][11].

Verifiche storiografiche e giudiziali

Le presunte influenze del PCI nella compilazione delle liste degli ostaggi da uccidere alle Ardeatine non risultano né dalla deposizione di Donato Carretta durante l'istruttoria del processo a Pietro Caruso, né dalle deposizioni difensive di quest'ultimo[13].

Nel corso di un procedimento penale intrapreso nel 1997 nei confronti di Rosario Bentivegna, Carla Capponi e Pasquale Balsamo su iniziativa di Giovanni Zuccheretti (fratello di Piero) e Luigi Iaquinti (nipote di Antonio Chiaretti), la tesi secondo cui l'attentato fosse finalizzato all'eliminazione di altri gruppi della Resistenza è stata sostenuta da Roberto Guzzo e Massimo Caprara, sentiti come testimoni. Il 27 giugno 1997, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, Maurizio Pacioni, ha giudicato del tutto insostenibile la ricostruzione di Guzzo, ritenendo che contenesse solo «meri sospetti ed illazioni»[14]. Nella successiva ordinanza di archiviazione emessa dallo stesso Pacioni il 16 aprile 1998, si legge: «Se era certamente prevedibile una dura reazione tedesca all'attentato, non erano, però, prevedibili le forme e i modi in cui questa si sarebbe realizzata, essendo quella della rappresaglia (e in particolare della rappresaglia su persone detenute) solo una delle possibilità preventivabili»[15]. Dall'ordinanza risulta inoltre che Caprara ammise di «non avere alcun elemento per affermare che l'attentato di via Rasella fosse strumentalizzato in direzione d'una prevedibile rappresaglia nei confronti di militanti politici di diverso colore»[16]. L'ordinanza conclude: «La tesi prospettata dalle parti offese circa l'asserito carattere strumentale dell'attentato 'de quo' rispetto a finalità di lotta contro altri gruppi della Resistenza, non soltanto non ha trovato alcuna conferma negli atti di indagine compiuti dal pm, ma appare anche radicalmente smentita sotto un profilo logico»[17].

Il principale storico del movimento Bandiera Rossa, Silverio Corvisieri, reputa la teoria del complotto del tutto priva di fondamento[18].

I Benzoni, definendo la tesi del complotto parte della «leggenda nera» su via Rasella, approvano le conclusioni al riguardo del giudice Pacioni, il quale, secondo i due storici, ha giustamente accantonato tale teoria per «assoluta mancanza di indizi»[19]. I Benzoni reputano inoltre la teoria del complotto implausibile anche dal punto di vista politico, in quanto contrastante con l'atteggiamento dei gruppi non comunisti (nessuno dei quali, successivamente all'eccidio delle Ardeatine, sembrò credere ad una responsabilità attiva del PCI nel determinare le modalità della rappresaglia), e in quanto non compatibile con la linea politica complessiva del Partito comunista durante la Resistenza. Secondo i Benzoni, pensare «che il PCI intendesse scientemente operare per la distruzione fisica delle altre componenti della Resistenza significa sacrificare alla leggenda nera la verità storica di quegli anni»[20].

Note

Note esplicative e di approfondimento

  1. ^ Amendola 1973, pp. 229-30, riporta che l'aver stabilito rapporti con i militari gli procurò le critiche del vicesegretario socialista Carlo Andreoni (sempre avversario politico del PCI e morto nel 1957), il quale avrebbe sostenuto: «il vero nemico per noi sono i monarchici. I tedeschi se ne andranno al momento opportuno, e non occorre rischiare le nostre forze contro di loro. Sarà al momento della ritirata dei tedeschi che dovremo scattare, per imporre una soluzione socialista. E allora ci troveremo contro i monarchici e tutte le forze dell'apparato militare, che vorranno assicurare "l'ordine" nel momento del trapasso. Perciò dobbiamo concentrare i colpi contro di loro, adesso che abbiamo le mani libere e possibilità di azione». Amendola scrive di aver respinto tale proposta «con indignazione».
  2. ^ L'accusa ai gappisti di aver condiviso con i tedeschi un'«unica mira», ossia l'eliminazione dei prigionieri, si rinviene anche in un componimento che il poeta Corrado Govoni dedicò nel 1946 al figlio Aladino, partigiano di Bandiera Rossa ucciso alle Fosse Ardeatine: «Il vile che gettò la bomba nera / di via Rasella, e fuggì come una lepre / sapeva troppo bene quale strage / tra i detenuti da Regina Coeli / a via Tasso, il tedesco ordinerebbe: / di mandante e sicario unica mira». Cfr. Corrado Govoni, Aladino, a cura di Giuseppe Lasala, Palomar, 2006, p. 93.

Note bibliografiche

  1. ^ Longo 1973, p. 240.
  2. ^ Amendola 1973, p. 228.
  3. ^ Quinta colonna trotskista (PDF), in l'Unità, gennaio 1944, edizione meridionale, n. 7.
  4. ^ Battaglia 1964, p. 202, attribuisce a Bandiera Rossa «carattere anarcoide e anche trotskista».
  5. ^ Giorgio Pisanò, Sangue chiama sangue, Milano, Pidola, 1962.
  6. ^ Maurizio 1996.
  7. ^ a b Intervista a Pierangelo Maurizio a cura di Federigo Argentieri, Donato Carretta e l'ombra lunga del PCI, su storiain.net, 1º novembre 2015. URL consultato il 14 maggio 2016.
  8. ^ Roberto Gremmo, I partigiani di Bandiera Rossa. Il Movimento Comunista d'Italia nella Resistenza romana, Biella, Edizioni ELF, 1996.
  9. ^ Roberto Guzzo, L'inferno dei vivi. Nella luce della redenzione. 8 settembre 1943 - 4 giugno 1944, Roma, EILES, 1996.
  10. ^ Sergio Bertelli, Bombe sul Vaticano. Pio XII, il "silenzio" sugli ebrei e la salvezza di Roma, in Nuova Storia Contemporanea, 6, novembre-dicembre 2002, p. 149 ss. A una lettera di Bentivegna, con cui l'ex partigiano chiedeva alcune rettifiche all'articolo citato, Bertelli rispose con un secondo articolo: L'attentato di via Rasella e i conti che non tornano, in Nuova Storia Contemporanea, 3, maggio-giugno 2003, p. 139 ss.
  11. ^ a b Massimo Caprara, La «strage cercata» di via Rasella, in Il Timone, n. 32, anno VI, aprile 2004, pp. 26-27, in Federigo Argentieri, Via Rasella-Fosse Ardeatine, la memoria discorde e l'indagine storica mancata, su storiain.net, 1º luglio 2015. URL consultato il 31 maggio 2016.
  12. ^ Pierangelo Maurizio, Via Rasella. Un mistero che dura da sessant'anni, in Il Giornale, 10 agosto 2007.
  13. ^ Algardi 1973, pp. 77-81.
  14. ^ Portelli 2012, pp. 176 e 411 n.
  15. ^ Portelli 2012, p. 224.
  16. ^ Tribunale Penale di Roma, ordinanza di archiviazione, 16 aprile 1998, citata in: Portelli 2012, p. 411 n.
  17. ^ Via rasella: strage amnistiata, era contro i nazisti, archivio dell'Agenzia giornalistica Italia, 16 aprile 1998.
  18. ^ Dario Fertilio, Via Rasella: perché i trotzkisti dissero no, in Corriere della Sera, 17 marzo 1998.
  19. ^ Benzoni 1999, pp. 88-9.
  20. ^ Benzoni 1999, pp. 90-2.

Bibliografia

Saggi e articoli storici
Raccolte di documenti
  • Luigi Longo (a cura di), I centri dirigenti del PCI nella Resistenza, Roma, Editori Riuniti, 1973.
Memorie
  • Giorgio Amendola, Lettere a Milano. Ricordi e documenti 1939-1945, Roma, Editori Riuniti, 1973.
  • Rosario Bentivegna, Cesare De Simone, Operazione via Rasella. Verità e menzogne, Roma, Editori Riuniti, 1996, ISBN 88-359-4171-7.