San Liberato (San Ginesio)

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San Liberato
frazione
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Marche
Provincia Macerata
Comune San Ginesio
Territorio
Coordinate43°02′49.92″N 13°14′51.36″E / 43.0472°N 13.2476°E43.0472; 13.2476 (San Liberato)
Abitanti
Altre informazioni
Fuso orarioUTC+1
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
San Liberato
San Liberato

San Liberato è una frazione del comune di San Ginesio, che prende il nome da Liberato da Loro.

Geografia fisica[modifica | modifica wikitesto]

La flora che si può trovare nella frazione è prettamente dominata da faggi europei, alcuni con la cecidomia del faggio, e querce, mentre la fauna è la stessa che si può avvistare in tutto il Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Salendo di poco il monte dove sorge l'eremo di San Liberato, si raggiunge una piccola area pianeggiante conosciuta come "Prati di San Liberato", un luogo per picnic e scampagnate.[1] Vista la sua altezza, è possibile godere di un panorama che spazia fino al mare Adriatico.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il 16 marzo, dopo che il gruppo partigiano 201 su decisione del Comando di Vestignano e del Comitato Liberazione Nazionale di Macerata fu sciolto, una piccola parte dei membri presero alloggio proprio nel convento di San Liberato, diretto da Padre Sigismondo Damiani. La decisione di ricomporre il gruppo mostrò subito dei problemi, perché nel convento non c'erano condizioni logistiche e di sicurezza idonee per renderlo un QG. Non appena arrivati, i partigiani trovarono scarsa reperibilità del cibo, perché tutte le risorse disponibili erano già state utilizzate dai partigiani di Monastero e di Piobbico e una cattiva accoglienza da parte dei frati, che non gradivano la loro presenza. Nessuno dei confratelli francescani erano a favore del gruppo, perché c'era il rischio che la loro presenza sarebbe stato un problema per la loro sicurezza, causando un compromesso agli occhi dei nazifascisti.[2] Padre Giacinto Pagnani, in merito a ciò, scrive:

«Tra la prima e la seconda metà di marzo 1944 un gruppo di partigiani composto in gran parte da profughi e renitenti alla leva invase la foresteria del convento e vi si sistemò pretendendo anche di servirsi della cucina dei frati.»

La voce che dei partigiani si nascondevano nel convento raggiunse i nazisti tramite una spia ed ex soldato fascista di nome Francesco Sargolini. Saputo ciò, partirono in spedizione da Camerino. Nei pressi del convento spararono dei colpi di fucileria contro due cacciatori, uccidendone uno e facendo allarmare i partigiani che fuggirono. Il gruppo di nazisti, precisamente l'unità II° Brandenburg 3, stavano compiendo un'operazione di rastrellamento anti-partigiana nei pressi della zona. Giunti nella frazione di San Liberato, luogo del convento, minacciarono di morte Padre Damiani per aver ospitato i partigiani e per aver trovato una doppietta. Il frate, in sua difesa, disse che gli serviva per difendersi dai lupi che infestavano il bosco, convincendo i nazisti. Il 23 marzo si presentò al convento Francesco Sargolini, che si confrontò con Damiani. Padre Giacinto Pagnani, in merito a ciò, scrive:

«Il padre si confidò con lui esclamando: -Fortuna che non mi hanno trovato il revolver; quale altra scusa avrei potuto inventare?»

Quella stessa sera, mentre era a Monastero, Francesco Sargolini venne prelevato dai partigiani di Piobbico, interrogato, e fucilato come spia. Prima di morire accusò Damiani come traditore, sperando di riuscire a salvarsi dalla morte. Padre Giacinto Pagnani, in merito a ciò, scrive:

«(...)non era stato lui a chiamare i fascisti ma il P. Sigismondo.»

Il 9 maggio, nella frazione di San Liberato, Sigismondo Damiani, costretto ad allontanarsi dal convento, ritornò in compagnia del nipote Padre Quinto Damiani, fu prelevato e ucciso poco distante dai partigiani di Piobbico, la cui identità fu poi accertata in processo. Padre Giacinto Pagnani, in merito a ciò, scrive:

«Nel pomeriggio del 9 maggio, verso le tre, Sigismondo era intento a ripulire alcune botti in compagnia di Quinto quando fu avvertito che tre sconosciuti desideravano parlargli. Nel frattempo erano riusciti ad entrare nel convento e lo trovarono lungo il sentiero dell’orto che conduce alla porta del convento. Lì lo uccisero con qualche colpo di pistola. Quinto lo trovò boccheggiante in terra e udì le sue ultime parole. Mio Dio, Mio Dio. Sparsasi la voce della sua morte accorsero alcuni padri dal vicino convento di Colfano; la salma fu tumolata nel cimitero parrocchiale. Successivamente nel dopoguerra fu trasferita nel suo convento all’interno della chiesa.»

Nel dopoguerra, nei processi penali che ne seguirono, i fatti esaminati furono gli eventi nella frazione di Pian di Pieca e San Liberato. I sospettati dei crimini furono le truppe ignote della SS e i partigiani di Piobbico. Quest'ultimi furono assolti per insufficienza di prove, ma in sede di Appello l’11 marzo 1954 la causa fu riaperta e le nuove testimonianze diedero conferma di colpevolezza a due degli imputati: Lucas Popovich, uno slavo cui sembra che i fascisti avessero ucciso i parenti in patria e il sardo Luigi Cuccui, evaso dalle carceri di Ancona. Dalle testimonianze rilasciate da vari partigiani, tutti i sospetti su padre Damiani parvero infondati, piuttosto venne sottolineata la sua collaborazione, prestata in varie occasioni, alla Resistenza.

Monumenti e luoghi d'interesse[modifica | modifica wikitesto]

Eremo di San Liberato[modifica | modifica wikitesto]

Il santuario di San Liberato, costruito sull'eremo di Soffiano al confine tra San Ginesio e Sarnano, è dedicato a San Liberato da Loro Piceno da cui prende il nome.

Eventi[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Santuario di San Liberato (XII°sec.), su SibilliniWeb.it. URL consultato il 15 novembre 2021.
  2. ^ Ruggero Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Ancona, Affinità elettive, 2008.
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