Protocollo di Maputo

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Protocollo alla Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa
Tipotrattato plurilaterale
Firma11 luglio 2003
LuogoMaputo, Mozambico
Efficacia25 novembre 2005
CondizioniRatifica da 15 Stati dell'Unione Africana.
Parti30
Firmatari originali46
DepositarioCommissione dell'Unione Africana
Linguefrancese, inglese
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Il protocollo di Maputo è un trattato sui diritti delle donne in Africa adottato dall'Unione Africana (UA) l'11 luglio 2003 a Maputo, in Mozambico, nel contesto degli accordi definiti dalla Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli. Il progetto del protocollo prese avvio nel 1995, in un incontro dei capi di Stato dei paesi membri dell'UA.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il trattato è composto da 32 articoli che impegnano i paesi che lo ratificano ad adeguare la propria legislazione interna introducendo una serie estesa di diritti delle donne, tra cui il diritto alla dignità, alla vita, all'integrità psichica, all'eredità alla morte del marito, al possesso della terra, all'istruzione, al matrimonio consensuale, alla contraccezione e all'autonomia della pianificazione familiare. Nel protocollo vengono anche condannate formalmente per la prima volta tutte le pratiche tradizionali lesive dell'integrità fisica e psichica delle donne, come le mutilazioni genitali femminili (art. 5).

Il protocollo di Maputo è entrato in vigore il 25 novembre 2005 a seguito del conseguimento delle 15 ratifiche necessarie; a oggi è stato firmato da 42 paesi dell'Unione Africana e ratificato da 20.

In Italia, il protocollo di Maputo ha trovato indirettamente riscontro nella legge n. 7/2006, cosiddetta legge Consolo, che tuttavia non menziona il documento[1][2].

Paesi[modifica | modifica wikitesto]

Processo di ratifica del protocollo di Maputo

     Ratificato

     Acceduto

     Sottoscrito, non ratificato

     Non sottoscrito, non ratificato

     Territori marittimi di Spagna, Francia, Portogallo e Regno Unito

Lo stesso argomento in dettaglio: Mutilazioni genitali femminili nel mondo.

Firmatari[modifica | modifica wikitesto]

Algeria, Angola, Benin, Burkina Faso, Burundi, Camerun, Repubblica Centrafricana, Ciad, Costa d'Avorio, Comore, Gibuti, Repubblica Democratica del Congo, Guinea Equatoriale, Etiopia, Gabon, Gambia, Ghana, Guinea-Bissau, Guinea, Kenya, Libia, Lesotho, Liberia, Madagascar, Mali, Mozambico, Mauritius, Namibia, Nigeria, Niger, Ruanda, Sudafrica, Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi, Senegal, Seychelles, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Swaziland, Tanzania, Togo, Tunisia, Uganda, Zambia, Zimbabwe

Ratificanti[modifica | modifica wikitesto]

Angola, Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Comore, Gibuti, Gambia, Ghana, Libia, Lesotho, Liberia, Mali, Malawi, Mozambico, Mauritania, Namibia, Nigeria, Ruanda, Sudafrica, Senegal, Seychelles, Tanzania, Togo, Zambia, Zimbabwe

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Legge 9 gennaio 2006, n. 7 - Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile, in Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 14, 18 gennaio 2006. URL consultato il 24 luglio 2019 (archiviato il 19 maggio 2006).
  2. ^ Centro Studi per laPace, La "legge Consolo" 7/2006 per la prevenzione ed il divieto della mutilazione genitale femminile, in WEBGIORNALE dell'Osservatorio sui Diritti dei Minori, Anno I, n. 2, Roma, Luglio-Agosto 2006. URL consultato il 24 luglio 2019 (archiviato il 3 ottobre 2006).

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