Omicidio di Giuseppe Di Matteo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Le informazioni riportate hanno solo fine illustrativo. Wikipedia non dà garanzia di validità dei contenuti: leggi le avvertenze.

«Ho ucciso io Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l'auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento.»

Giuseppe Di Matteo (Palermo, 19 gennaio 1981 - San Giuseppe Jato, 11 gennaio 1996) è stato una vittima di mafia, ucciso nel tentativo di far tacere suo padre Santino Di Matteo, collaboratore di giustizia ed ex-mafioso. Il suo omicidio ha avuto grande risalto su tutti i mezzi di comunicazione italiani anche per il cruento occultamento del cadavere, che non fu mai trovato, poiché disciolto in una vasca di acido nitrico.[1]

Rapimento e uccisione

Giuseppe Di Matteo fu rapito il pomeriggio del 23 novembre 1993, quando aveva quasi 13 anni, in un maneggio di Piana degli albanesi da un gruppo di mafiosi che agivano su ordine di Giovanni Brusca, allora latitante e boss di San Giuseppe Jato. Secondo le deposizioni di Gaspare Spatuzza, che prese parte al rapimento, i sequestratori si travestirono da poliziotti della DIA ingannando facilmente il bambino, che credeva di poter rivedere il padre in quel periodo sotto protezione lontano dalla Sicilia. Dice Spatuzza: "Agli occhi del bambino siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi. (...) Lui era felice, diceva 'Papà mio, amore mio' ". Il piccolo fu legato e lasciato nel cassone di un furgoncino Fiat Fiorino, prima di essere consegnato ai suoi carcerieri[2].

La famiglia cercò presso tutti gli ospedali cittadini notizie del figlio, ma quando, il 1º dicembre 1993, un messaggio su un biglietto giunse alla famiglia con scritto "Tappaci la bocca" e due foto del bambino che teneva in mano un quotidiano del 29 novembre 1993, fu chiaro che il rapimento era finalizzato a spingere Santino Di Matteo a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci[3] e sull'uccisione dell'esattore Ignazio Salvo. Il 14 dicembre 1993 Francesca Castellese, moglie di Di Matteo, denunciò la scomparsa del figlio. In serata fu recapitato un nuovo messaggio a casa del suocero (Giuseppe Di Matteo, padre di Santino) con scritto "Il bambino lo abbiamo noi e tuo figlio non deve fare tragedie".

Per tutto il 1994 il bambino fu spostato in varie prigioni del trapanese e dell'agrigentino (per lo più masserie o edifici disabitati) e nell'estate 1995 fu rinchiuso in un vano sotto il pavimento in una sorta di casolare-bunker costruito nelle campagne di San Giuseppe Jato, dove rimase per 180 giorni fino alla sua uccisione[senza fonte].

Dopo un iniziale cedimento psicologico Santino Di Matteo, sebbene fosse angosciato dalle sorti del figlio, non si piegò al ricatto, e dopo un tentativo andato a vuoto di cercarlo con Gioacchino La Barbera e Balduccio Di Maggio, pure loro collaboratori, decise di proseguire la collaborazione con la giustizia. Fu solo quando Brusca venne condannato all'ergastolo per l'omicidio di Ignazio Salvo, che decise di vendicarsi sul bambino. Brusca ordinò così l'uccisione del ragazzo, ormai fortemente dimagrito e indebolito per la prolungata e dura prigionia, che venne strangolato e successivamente sciolto nell'acido l'11 gennaio 1996, poco prima di compiere 15 anni, dopo 25 mesi di prigionia, 779 giorni[4].

Gli esecutori materiali del delitto furono Vincenzo Chiodo, Enzo Salvatore Brusca e Giuseppe Monticciolo. Per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe, oltre che Giovanni Brusca, sono stati condannati all'ergastolo circa 100 mafiosi tra cui Leoluca Bagarella, Salvatore Benigno, Salvatore Bommarito, Luigi Giacalone, Francesco Giuliano, Giuseppe Graviano, Salvatore Grigoli, Matteo Messina Denaro, Michele Mercadante, Biagio Montalbano, Giuseppe Agrigento, Domenico Raccuglia e Gaspare Spatuzza[5].

Riferimenti

Alla vicenda di Giuseppe Di Matteo sono ispirati due film. Nel secondo episodio di Tu ridi, Lello Arena interpreta il ruolo di rapitore e carceriere di un bambino, figlio di un boss mafioso pentito. L'epilogo del film presenta molte analogie con l'uccisione del piccolo Giuseppe.[6] La storia ha ispirato anche il film Sicilian Ghost Story, frutto di una coproduzione tra Italia, Francia e Svizzera.[7]

Note

Bibliografia

  • Saverio Lodato, Ho ucciso Giovanni Falcone. 1999, Mondadori
  • Vincenzo Vasile, Era il figlio di un pentito. 2007, Bompiani, pag. 203, ISBN 978-88-452-5928-9, ISBN 88-452-5928-5
  • Pino Nazio, Il bambino che sognava i cavalli, 779 giorni ostaggio dei Corleonesi, Roma, Sovera, 2010, ISBN 9788881249251

Voci correlate

Collegamenti esterni

  Portale Sicilia: accedi alle voci di Wikipedia che parlano della Sicilia