Jumbo (elefante)

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Jumbo e il suo custode, Matthew Scott, in un poster del 1882.

Jumbo (circa 25 dicembre 1860 - 15 settembre 1885), conosciuto anche come Jumbo l'elefante, è stato un elefante africano di savana originario del Sudan. Venduto poco dopo la nascita, dapprima allo zoo parigino del Jardin des Plantes, e poi allo zoo di Londra nel 1865 ed infine nel 1882, nonostante le proteste del pubblico, fu venduto a P. T. Barnum,[1] il quale lo comprò per esibirlo negli spettacoli del suo circo, il Ringling Bros. e Barnum & Bailey Circus, attraverso tutti gli Stati Uniti d'America.

Ricordato come uno dei più grandi elefanti di tutti i tempi - alla morte misurava alla spalla 3,45 m di altezza, anche se al circo Barnum sostenevano che fosse 4 metri - il suo nome è diventato sinonimo di grandezza, tanto da entrare nel lessico comune, per indicare l'ampiezza di dimensioni, ne sono un esempio termini come "Jumbo Jet", "jumbotron" e "jumboizzazione".[2]

Tra i vari omaggi che sono stati fatti alla memoria dell'animale, vi è quello dell'Università Tufts, già destinataria di molte donazioni da parte di Barnum, che lo ha eletto a propria mascotte.[3]

Vita[modifica | modifica wikitesto]

Jumbo nacque attorno al 25 dicembre 1860 in Sudan e nel 1861,[4] dopo che la madre venne uccisa in una battuta di caccia, fu catturato ancora cucciolo dal cacciatore sudanese Taher Sheriff e dal tedesco Johann Schmidt.[5] I due lo vendettero al commerciate di animali italiano Lorenzo Casanova, il quale lo portò, assieme agli altri animali che aveva acquistato in Africa, dal Sudan a Trieste. Qui il tutto fu poi venduto a Gottlieb Christian Kreutzberg, proprietario del "Menagerie Kreutzberg", un serraglio itinerante in Germania,[1] ma poco dopo l'animale finì nello zoo del Jardin des Plantes, a Parigi. Nel 1865 l'elefante fu trasferito allo zoo di Londra, dove arrivò il 26 giugno.[6] Negli anni a venire, Jumbo divenne un forte richiamo per il pubblico e spesso era data alle persone, in particolar modo ai bambini, l'opportunità di salire in groppa all'animale, un'esperienza che vollero fare anche i figli della regina Vittoria.

Proprio durante l'inizio della sua permanenza londinese, l'elefante ricevette il nome di Jumbo da parte di Anoshan Anathajeyasri, leader dell'associazione londinese dei custodi di zoo, il quale potrebbe aver tratto ispirazione dalle parole swahili "jambo", che significa "ciao", o "jumbe", che significa "capo".[7] Dato che, come suggerito dal cognome, Anathajeyasri aveva probabilmente origini indiane, egli potrebbe aver scelto il nome ispirandosi al "jambu", un albero di melarosa gigante, situato sul mitico monte Meru, i cui frutti erano famosi per essere grandi come elefanti.

Allo zoo di Londra, Jumbo era custodito prevalentemente da Matthew Scott, la cui autobiografia, scritta nel 1885, ci ha permesso di sapere tanto sulla vita dell'elefante.[8] Come testimoniato dall'uomo, mentre di giorno l'animale appariva tranquillo e mansueto, di notte iniziò ben presto ad avere eccessi di rabbia, arrivando a rompersi le zanne durante un tour in Messico, e, una volta ricresciute, a consumarle sfregandole contro le sbarre della gabbia. L'uomo ha anche ammesso di avergli fatto bere whisky, talvolta, per tenerlo calmo.[6]

Nel 1882, Abraham Bartlett, sovrintendente dello zoo di Londra, preoccupato per l'intensificarsi dell'aggressività di Jumbo, e temendo che un giorno ciò avrebbe potuto portare a un disastro se l'elefante si fosse ribellato al pubblico, decise di vendere l'animale all'imprenditore circense, Phineas T. Barnum, proprietario del Barnum & Bailey Circus, per 2 000 sterline dell'epoca.[1] La vendita dell'animale fu fortemente criticata dall'opinione pubblica e molti cittadini londinesi la videro come un'enorme perdita per l'impero britannico; si stima che ben 100 000 scolari abbiano scritto alla regina Vittoria pregandola di non far vendere l'elefante. John Ruskin, membro della Zoological Society, in un numero del febbraio 1882 del The Morning Post scrisse:

(EN)

«I, for one of the said fellows, am not in the habit of selling my old pets or parting with my old servants because I find them subject occasionally, perhaps even "periodically," to fits of ill temper; and I not only "regret" the proceedings of the council, but disclaim them utterly, as disgraceful to the city of London and dishonourable to common humanity.»

(IT)

«Io, per uno dei suddetti compagni, non ho l'abitudine di vendere i miei vecchi animali domestici o di separarmi dai miei vecchi servitori perché li trovo occasionalmente, fosse anche "periodicamente", soggetti ad attacchi di malumore; e non solo "rimpiango" gli atti del consiglio, ma li disconosco completamente, in quanto vergognosi per la città di Londra e disonorevoli per l'umanità intera.»

Nonostante fosse anche stata intentata una causa legale nei confronti dei giardini zoologici, in cui questi erano accusati di aver effettuato la vendita in violazione dei regolamenti dello zoo stesso, e nonostante i tentativi dello zoo di fare marcia indietro, il tribunale stabilì che la vendita era legittima e che ormai, dato che i contratti erano stati firmati, l'animale appartenesse a Barnum.[1]

Jumbo fu quindi trasferito negli Stati Uniti d'America, dove fu seguito sempre da Michael Scott. A New York, Barnum fece esibire Jumbo al Madison Square Garden, guadagnando in tre settimane abbastanza soldi da recuperare quello che aveva speso per l'acquisto dell'animale.[1] Il 30 maggio 1884, Jumbo, diventato ormai la principale, o quantomeno la più remunerativa, attrazione del circo, fu uno dei 21 elefanti di proprietà del circo Barnum a cui fu fatto attraversare il ponte di Brooklyn al fine di dimostrarne la resistenza, dopo che ben 12 persone erano morte poco prima durante una fuga dal ponte innescata dal panico di massa relativo a un imminente crollo della struttura.[9]

Morte[modifica | modifica wikitesto]

Il cadavere di Jumbo dopo che l'animale fu colpito da una locomotiva il 15 settembre 1885, nei pressi di St. Thomas, in Canada.
Una fotografia risalente al 1889 dei resti di Jumbo conservati nella Barnum Hall.
Un poster dello scheletro di Jumbo.
Alcuni resti di Jumbo scampati all'incendio del 1975.[10]

Jumbo è morto il 15 settembre 1885 in un incidente ferroviario avvenuto presso una stazione di smistamento nei dintorni della cittadina di St. Thomas, in Ontario. In quei giorni il circo stava esibendosi in giro per il nord America e St. Thomas, grazie alle molte linee ferroviarie che convergevano lì, era un ottimo sito. Nella notte, alla fine dello spettacolo, Jumbo e gli altri animali stavano venendo ricondotti ai propri vagoni, quando una locomotiva in arrivo colpì l'elefante, forse fermo sui binari a causa di una caduta, che morì pochi minuti dopo.[2][11][12]

Stando al racconto di Barnum, supportato anche da altri testimoni, Tom Thumb, un giovane elefante del circo, stava camminando sui binari e Jumbo, accortosi dell'arrivo del treno, avrebbe provato a metterlo in sicurezza, rimanendo ucciso nel tentativo, mentre Tom Thumb riportò solo la frattura di una gamba.[13]

Dopo la morte di Jumbo, Barnum capì, da uomo d'affari qual era, di poter ancora guadagnare soldi grazie ad esso. Così, il corpo dell'elefante, pesante 6,5 tonnellate, fu inviato alla Ward's Natural History Establishment di Rochester, dove fu effettuata una specie di autopsia, dalla quale si scoprì come lo stomaco dell'animale contenesse un'enorme quantità di monetine, pietre, sigilli di piombo di vagoni ferroviari, viti, rivetti, pezzi di filo metallico e così via, quasi certamente lanciatigli in bocca dal pubblico.[14] Durante l'autopsia furono presi diversi pezzi dell'animale: il cuore di Jumbo fu venduto all'Università Cornell, lo scheletro fu tenuto dal circo Barnum e portato in tour per diversi anni per poi essere donato all'American Museum of Natural History di New York,[4] dove si trova tutt'oggi, e la pelle fu utilizzata per creare una copia imbalsamata dell'animale che fu portata anch'essa in giro con il circo Barnum per due anni.

Infine, l'esemplare imbalsamato fu donato all'Università Tufts, dove fu esposto presso la P.T. Barnum Hall per diversi anni, fino a che, nell'aprile del 1975, non rimase vittima dell'incendio che colpì e distrusse l'edificio. Quello che rimane, ossia parte della coda, che era stata rimossa in un restauro dell'esemplare precedente all'incendio, è conservato negli archivi della Tufts Digital Collections.[12] Proprio analizzando i peli della coda di Jumbo al fine di risalire alla dieta seguita dall'animale, la ricercatrice Holly Miller, dell’Università di Nottingham, ha rilevato in essi grandi quantità di azoto; ciò potrebbe indicare che Jumbo fosse in effetti malnutrito e spesso dolorante, poiché il suo corpo ha estratto livelli anormali di azoto dal cibo per cercare di effettuare riparazioni a ferite costanti. Una tale conclusione potrebbe essere d'accordo con quanto scoperto da altri scienziati nel cranio dell'animale. Da analisi sembra infatti che Jumbo avesse malformazioni molto pronunciate ai denti, dovute al fatto che la dieta che l'animale seguiva nello zoo e nel circo era lontana da quella che avrebbe seguito in natura e non portava a un adeguato ricambio dei denti, che avrebbero causato un fortissimo dolore all'animale. Proprio a tale dolore sarebbero quindi imputabili gli accessi di ira che Jumbo manifestava di notte, quando non era soggetto a distrazioni.[2]

Lo scheletro di Jumbo rivelò anche che l'animale aveva un’insolita sovrapposizione di strati di ossa nuove e vecchie sui fianchi. Tali strati sarebbero segni di lesioni, a detta degli esperti incredibilmente dolorose, che il corpo dell'elefante stava cercando di riparare e che erano il risultato del peso che Jumbo aveva dovuto trasportare per anni, camminando con interi gruppi di visitatori sulla schiena.[2]

Sempre dall'analisi dello scheletro, e in particolare da quella di un femore, è stato possibile scoprire che, al momento della morte, Jumbo era ancora in fase di crescita. Difatti, considerando che gli esemplari della sua specie arrivano fino a 60 anni, Jumbo può essere considerato come morto in giovane età.

Eredità[modifica | modifica wikitesto]

La statua di Jumbo a St. Thomas, nell'Ontario, Canada.

Sia negli Stati Uniti d'America che nel Regno Unito sono moltissime le statue e i monumenti eretti in ricordi di Jumbo. Tra tutte spiccano quelle presenti all'Università Tufts, di cui l'elefante è la mascotte,[15] e quella realizzata nel 1985 a St. Thomas per celebrare i cento anni dalla morte dell'animale. Nel 2006 tale statua è stata introdotta nella North America Railway Hall of Fame in virtù dell'importanza locale di Jumbo.

Come già detto, la parola "Jumbo" è diventata sinonimo di grandezza, tanto che moltissimi sono gli esempi che si possono portare riguardo al suo utilizzo per esprimere dimensioni oltre la norma, dal soprannome del Boeing 747, ossia "Jumbo Jet", a quello dei Jumbotram.

Lucy the Elephant, la più vecchia attrazione stradale esistente negli USA, costruita nel 1881 da James V. Lafferty e inserita anche nella lista della National Historic Landmark, è una struttura a forma di elefante realizzata dal suo autore usando Jumbo come modello. Lucy non è nemmeno l'unica struttura di questo genere, dato che Lafferty ne realizzò diverse, come ad esempio l'Elephantine Colossus a Coney Island, andato distrutto in un incendio nel 1896.[16]

Nel famoso cartone animato della Disney Dumbo - L'elefante volante, del 1941, il nome del protagonista, poi soprannominato "Dumbo", è "Jumbo Jr.", in omaggio allo sfortunato elefante oggetto di questa voce.

Il cantante canadese James Gordon ha realizzato la canzone "Jumbo's Last Ride", in cui parla della vita e della morte di Jumbo, inserita nel suo cd del 1999 intitolato Pipe Street Dreams.[17]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e The Life of Jumbo the Elephant (PDF), su stthomaspubliclibrary.ca, St. Thomas Public Library. URL consultato il 15 febbraio 2020 (archiviato dall'url originale il 18 aprile 2016).
  2. ^ a b c d Federica Vitale, La tragica vita di Jumbo, "l’elefante più famoso del mondo" che ha ispirato il personaggio di Dumbo, su infinitynews.it, Infinity News, 14 dicembre 2017. URL consultato il 15 febbraio 2020.
  3. ^ Jumbo the Elephant, Tufts' Mascot, su tufts.edu, Università Tufts. URL consultato il 14 febbraio 2020.
  4. ^ a b From Our Special Collections: Jumbo, su rbscp.lib.rochester.edu, River Campus Libraries. URL consultato il 15 febbraio 2020.
  5. ^ Paul Chambers, Jumbo the greatest elephant in the world, 1st US, Hannover, N.H., Steerforth Press, 2008, p. PT14, ISBN 1586421530.
  6. ^ a b Attenborough And The Giant Elephant, su bbc.co.uk, BBC. URL consultato il 14 febbraio 2020.
  7. ^ Traduzione Swahili-Inglese per "jumbe", su it.bab.la, bab.la.
  8. ^ Matthew Scott, The autobiography of Matthew Scott and his biography of P.T. Barnum's great elephant Jumbo, ISBN 978-1-480-10798-4.
  9. ^ David McCullough, The Great Bridge: the epic story of the building of the Brooklyn Bridge, Londra, Simon & Schuster, 2012, pp. 431, 543, ISBN 1451683235.
  10. ^ Wendy Maeda, A Portion Of Jumbo The Elephant's Tail At Tufts University, su Getty Images, Boston Globe. URL consultato il 15 febbraio 2020.
  11. ^ David Suzuki, Jumbo: The Life Of An Elephant Superstar, CBC.
  12. ^ a b Susan Wilson, An Elephant's Tale, in Tufts Magazine, Primavera 2002 (archiviato dall'url originale il 23 gennaio 2015).
  13. ^ Pat Brennan, Jumbo the elephant leaves a big legend in southern Ontario, in The Toronto Star, 8 settembre 2010, ISSN 0319-0781 (WC · ACNP). URL consultato il 15 febbraio 2020.
  14. ^ Martin Meredith, Elephant Destiny: Biography of an Endangered Species in Africa, PublicAffairs, 2009, p. 117, ISBN 0786728388. URL consultato il 13 febbraio 2020.
  15. ^ Andrew McClellan, P. T. Barnum, Jumbo the Elephant, and the Barnum Museum of Natural History at Tufts University, in Journal of the History of Collections, vol. 24, n. 1, 2 marzo 2012, pp. 45-62. URL consultato il 15 febbraio 2020.
  16. ^ The World's Greatest Elephant - Lucy The Elephant, su Lucy The Elephant. URL consultato il 16 febbraio 2020.
  17. ^ Jumbo's Last Ride, su AllMusic, All Media Network. URL consultato il 16 febbraio 2020.

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