Ingeborg Day

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Ingeborg Day, nata Seiler (Graz, 6 novembre 1940Ashland, 18 maggio 2011), è stata una scrittrice austriaca naturalizzata statunitense, meglio nota per il suo romanzo erotico semi-autobiografico Nove settimane e mezzo (1978), scritto sotto lo pseudonimo di Elizabeth McNeill e diventato nel 1986 un film omonimo con protagonisti Kim Basinger e Mickey Rourke.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Ingeborg nasce nel novembre del 1940 a Graz, nell'Ostmark, figlia di Ernst Seiler, un membro della polizia austriaca entrato nelle SS in seguito all'Anschluss.[1] Trascorre gli ultimi due anni della seconda guerra mondiale al riparo nella fattoria di campagna dei nonni.[1]

Nel 1957 partecipa come studentessa delle superiori a uno scambio culturale dell'American Field Service, trascorrendo un anno a Syracuse.[1] Tornata in seguito negli Stati Uniti, tre anni più tardi sposa Dennis Day, un seminarista episcopale con cui si trasferisce in Indiana, ricevendo un B.A. in germanistica al Goshen College.[1] Day lavora come insegnante in diverse scuole del Midwest e nel 1963 dà alla luce una figlia, Ursula, seguita poi da Mark, morto di malattia all'età di sette anni.[1] Lasciato il marito, si trasferisce con la figlia a Manhattan nei primi anni settanta, entrando nella redazione del periodico Ms., presso cui lavorerà per quattro anni.[1]

È durante questo periodo che avvengono i fatti descritti in Nove settimane e mezzo; il romanzo, pubblicato nel 1978, racconta per l'appunto la relazione sadomasochista di lei con un broker di Wall Street.[1] Day sceglie di firmarsi lo pseudonimo di Elizabeth McNeill soprattutto per proteggere la privacy di Ursula, cambiando alcuni dettagli tra cui il proprio mestiere, che diventa quello di gallerista.[1] Il romanzo ha successo ed è fonte di scandalo a causa dei contenuti espliciti e talvolta estremi descritti.[1]

Nel 1980, Day pubblica col suo vero nome il libro di memorie Ghost Waltz, in cui si confronta con elementi irrisolti della sua storia personale e familiare, come il passato nazista del padre e il proprio antisemitismo.[1][2] Il libro non vende molte copie, a differenza del predecessore: Ellen Willis, sua collega ai tempi di Ms., ne critica sul New York Times Magazine l'uso della «facile pseudo-redenzione della catarsi».[1]

La vera identità di McNeill viene resa nota per la prima volta nel 1983 da Steven M. L. Aronson nel suo libro Hype.[1] In seguito a ciò, Ghost Waltz gode di una ristampa di maggior successo, anche se Day non riconoscerà mai pubblicamente di aver scritto Nove settimane e mezzo.[1] Nel 1986, l'adattamento cinematografico di quest'ultimo, intitolato 9 settimane e ½ e con Kim Basinger nel ruolo di Elizabeth, diventa anch'esso un enorme successo commerciale.[3][1] Day entra in trattative per scrivere un altro romanzo come McNeill, intitolato Twelve Dozen Irises, ma il manoscritto non sarà mai completato.[1]

Risposatasi, negli anni novanta vive a Yarmouth Port per poi trasferirsi con il marito, Donald Sweet, ad Ashland.[1] Ivi muore suicida il 18 maggio 2011 dopo una lunga malattia,[4] seguita da Donald quattro giorni più tardi.[5] Nel 2012 la sua agente letteraria Wendy Weil ha confermato definitivamente che Day fosse Elizabeth McNeill.[1]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Come Elizabeth McNeill
Come Ingeborg Day

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q (EN) Sarah Weinman, illustrazioni di Mats Gustafson, Who Was the Real Woman Behind "Nine and a Half Weeks"?, in The New Yorker, 30 novembre 2012. URL consultato il 16 febbraio 2021.
  2. ^ (EN) Elinor Langer, illustrazioni di Irena Roman, Their Unspeakable Memories, in Mother Jones, aprile 1981, pp. 60-61. URL consultato il 16 febbraio 2021.
  3. ^ (EN) Nina Darton, How '9 1/2 Weeks' Pushed an Actress To The Edge, in The New York Times, 9 marzo 1986. URL consultato il 16 febbraio 2021.
  4. ^ (EN) Necrologio di Ingeborg Sweet (Ashland, Oregon), su tributes.com. URL consultato il 16 febbraio 2021.
  5. ^ (EN) Necrologio di Donald Sweet (Ashland, Oregon), su tributes.com. URL consultato il 16 febbraio 2021.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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