Giudizi de capite civis

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I giudizi de capite civis, nell'Antica Roma, sono quei procedimenti giurisdizionali in cui è in gioco la vita dell'accusato. Nel corso dell'esperienza giuridica romana tali giudizi hanno conosciuto un particolare sviluppo normativo in fase repubblicana, in particolare nell'ambito della legislazione in materia de provocatione, che consentì al cittadino romano, destinatario di un provvedimento sanzionatorio di natura capitale da parte di un magistrato, di chiedere il giudizio popolare tramite lo strumento della provocatio ad populum, e in quella decemvirale che introdusse la norma de capite civis nisi per maximum comitatum, comportante l'attribuzione esclusiva della giurisdizione capitale ai comizi centuriati, il conseguente divieto di giudicare de capite civis iniussu populi (di condannare a morte senza un giudizio popolare), e il divieto di interfici indemnatum quemcumque homine (di mettere a morte un cittadino che non sia stato condannato a seguito di regolare giudizio popolare).

I giudizi capitali in fase monarchica[modifica | modifica wikitesto]

Gli indizi di un progressivo coinvolgimento del popolo nell'ambito della giurisdizione capitale[modifica | modifica wikitesto]

Da principio è probabile che il re si sia occupato anche dei giudizi capitali senza alcun ricorso alla partecipazione popolare nel processo giurisdizionale.

Gli indizi che suggeriscono una graduale tendenza a tenere tale tipologia di giudizi quanto meno in contione (cioè dinanzi ad un'adunanza informale del popolo) già in età monarchica sono però molteplici.

In particolare Livio[1] racconta come "tirannico" il comportamento di Tarquinio il Superbo che conduceva in solitaria, senza il coinvolgimento di consiglieri, i giudizi capitali, lasciando intendere che normalmente tali giudizi venissero condotti, quanto meno, con la partecipazione di consiglieri; Dionigi[2] nel descrivere le istituzioni della monarchia romana fa riferimento alla convocazione dell'assemblea popolare per l'amministrazione della giustizia; Varrone[3] riporta che nell'antico calendario erano presenti dei giorni in cui il re convocava l'assemblea a scopo giurisdizionale; tali indicazioni delle fonti troverebbero tra l'altro riscontro nel dato archeologico della pavimentazione pre-repubblicana ai piedi dell'arce capitolina[4].

Inoltre varie fonti[5][6][7][8][9] affermano che i quaestores parricidii fossero stati introdotti già in fase monarchica. L'attività inquisitoria svolta da tali figure ausiliarie del re probabilmente[10] era svolta in contione, posto che a seguito della verifica della insussistenza del dolo, qualora l'accusato fosse quindi riconosciuto colpevole di omicidio non volontario, era previsto[11] che egli offrisse in sacrificio un ariete alla famiglia della vittima dinanzi al popolo riunito. Tenendo conto che i giudizi per parricidium, nel caso in cui fosse verificato il dolo, conducevano invece alla pena capitale[12], è possibile considerarli dei giudizi de capite civis che prevedevano per la prima volta una qualche forma di partecipazione popolare.

Va poi detto che, stando a varie fonti di età tardo-repubblicana[13][14], già in fase monarchica potrebbe essersi affermato l'uso di una primordiale provocatio ad populum facoltativa, anche se nelle forme di una graziosa concessione[15] da parte dei sovrani e non certo di un vero e proprio diritto riconosciuto al cittadino[16].

Il caso giudiziario dell'Orazio durante il regno di Tullo Ostilio, primum iudicium de capite[modifica | modifica wikitesto]

Emblematiche, al netto delle contraddizioni ed incongruenze, sono le numerose fonti relative al controverso caso giudiziario dell'Orazio superstite[17][18][19][20][21][22][23][24], che, anche se probabilmente qualificabili come rielaborazioni del leggendario episodio estrapolato dal patrimonio epico, danno chiaro indizio di come, tra le fonti di età repubblicana e successive, fosse diffusa la convinzione che già in fase monarchica i giudizi capitali fossero stati progressivamente affidati a forme di giurisdizione popolare.

In particolare è Cicerone ad inquadrare tale vicenda come primum iudicium de capite:

(LA)

«[...] primum iudicium de capite vidit M. Horati, fortissimi viri, qui nondum libera civitate, tamen populi Romani comitiis liberatus est, cum sua manu sororem esse interfectam fateretur [...]»

(IT)

«[...] il primo giudizio capitale riguardò Marco Orazio, uomo fortissimo, che, quando ancora la città non era stata liberata, avendo confessato di aver ucciso la sorella con le sue stesse mani, tuttavia venne assolto dai comizi del popolo romano [...]»

Pertanto, stando alla tradizione, è possibile che già in fase monarchica si sia andata sviluppando l'usanza di affidare i giudizi capitali all'assemblea popolare; di questo avviso è in particolare parte della dottrina romanistica[25] che ritiene che il primordiale giudizio popolare in contione possa essersi evoluto, già prima della repubblica, in veri e propri giudizi popolari dinanzi ai comizi curiati.

Lo sviluppo normativo in fase repubblicana[modifica | modifica wikitesto]

Il periodo pre-decemvirale (509-450 a.C.) e l'impatto normativo della lex Valeria de provocatione[modifica | modifica wikitesto]

Nella fase repubblicana pre-decemvirale il primo importante sviluppo è dato dall'approvazione da parte dei comizi centuriati della lex Valeria de provocatione del 509 a.C..

Tale lex secondo l'unanime, ancorché variegata, tradizione delle fonti antiche[26][27][28][29][30][31] sarebbe stata la prima lex centuriata ad essere approvata ed avrebbe introdotto, fin dalla nascita della repubblica, l'istituto della provocatio ad populum, riconoscendo ai cittadini, minacciati di sanzione capitale da parte di un magistrato, il diritto di richiedere il giudizio popolare. Va segnalato che la storicità di tale lex è stata oggetto di discussioni in dottrina[32], anche se ormai vari indizi[33] fanno propendere per la sua autenticità.

In ogni caso pare probabile che, anche qualora la lex non fosse storicamente autentica, l'istituto giuridico della provocatio ad populum possa comunque essersi affermato in fase pre-decemvirale in via consuetudinaria[34].

Si discute in dottrina romanistica su quale struttura comiziale, tra i comizi centuriati e i comizi curiati, si sia vista attribuita, nella fase pre-decemvirale, la competenza per i giudizi popolari capitali. Infatti è pacifico che tale competenza fosse stata attribuita ai comizi centuriati a seguito della legislazione decemvirale, ma non ci sono indicazioni chiare ed univoche delle fonti[35] con riguardo ai primi decenni della repubblica. Le varie ipotesi affermate in dottrina possono essere ricondotte, per semplificare, a tre orientamenti:

  • vi è chi[36] ritiene improbabile che i comizi centuriati, nel momento in cui si appropriarono per la prima volta del potere legislativo approvando la lex Valeria, abbiano poi attribuito la competenza giurisdizionale ad una diversa struttura comiziale e quindi ipotizza che i comizi centuriati fin da subito si siano auto-attribuiti anche la competenza giurisdizionale;
  • vi è chi[37], ritenendo che la giurisdizione popolare si fosse sviluppata in via consuetudinaria già in fase monarchica con competenza in capo ai comizi curiati, e che il patriziato potesse preferire il mantenimento della competenza in capo a tale struttura comiziale, in quanto più facilmente controllabile attraverso strumenti clientelari, ipotizza invece che la lex Valeria si sia limitata a consolidare quanto previsto dalla tradizione, mantenendo la competenza giurisdizionale in capo ai comizi curiati;
  • vi è chi[38], dinanzi alla mancanza di chiare indicazioni delle fonti a tal riguardo, suppone che non vi fosse stata alcuna attribuzione esclusiva della competenza a questa o quell'altra struttura comiziale, e che, fino all'approvazione delle XII tavole, potrebbe aver avuto luogo una competenza concorrente dei comizi curiati e centuriati, cui peraltro si sarebbe andata ad affiancare in via di fatto, a seguito dell'affermazione delle leges sacratae e dell'ordinamento tribunizio, anche la competenza dei concilia plebis.

L'impatto normativo delle XII tavole ed in particolare della c.d. norma de capite civis[modifica | modifica wikitesto]

Nell'ambito delle norme introdotte dai decemviri nelle XII tavole le più rilevanti con riguardo ai giudizi de capite civis sono la norma de capite civis nisi per maximum comitatum (Tavola IX.2) e il divieto di interfici indemnatum quemcumque hominem (Tavola IX.6); la prima ci è tramandata da Cicerone, che ne parla più volte nel De legibus e nell'orazione Pro Sestio, e da Sesto Pomponio che ne parla nel libro singulari enchiridii (che è inserito all'interno del Digesto di Giustiniano):

(LA)

«[...] de capite civis nisi per maximum comitiatum ne ferunto [...]»

(IT)

«[...] non si decida della vita d’un cittadino se non per mezzo dei comizi centuriati [...]»

(LA)

«[...] Leges praeclarissimae de XII tabulis tralatae duae, quarum altera privilegia tollit, altera de capite civis rogari nisi maximo comitiatu vetat [...]»

(IT)

«[...] Ed ecco due norme famosissime tratte dalle XII Tavole, l'una che abolisce le leggi con un solo destinatario, l'altra che vieta di condannare a morte il cittadino, se non attraverso i comizi centuriati [...]»

(LA)

«[...] cum et sacratis legibus et duodecim tabulis sanctum esst ut ne cui privilegium inrogari liceret neve de capite nisi comitiis centuriatis rogari [...]»

(IT)

«[...] pur essendo sancito sia dalle leggi sacrate sia dalle XII Tavole che non si potesse proporre leggi ad personam né intentare procedimenti capitali se non dinanzi ai comizi centuriati [...]»

(LA)

«[...] neve possent in caput civis Romani animadvertere iniussu populi [...]»

(IT)

«[...] e che, senza giudizio popolare, non potessero punire con la pena capitale un cittadino romano [...]»

(LA)

«[...] ut diximus, de capite civis Romani iniussu populi non erat lege permissum consulibus ius dicere [...]»

(IT)

«[...] come abbiamo detto, ai consoli non era permesso dalla legge di decidere pene capitali a carico del cittadino romano senza un pronunciamento del popolo [...]»

Se la testimonianza di Pomponio, per quanto autorevole in quanto elevata a fonte giuridica all'interno del Digesto, può apparire oggettivamente vaga, non specificando che tale norma fosse contenute nelle XII Tavole, e tarda, la testimonianza di Cicerone circa il contenuto delle XII tavole dovrebbe essere ritenuta particolarmente affidabile per via della sua attività professionale e della sua formazione giuridica, che dovrebbe avergliene consentito una particolare conoscenza; d'altronde è lo stesso Arpinate[39] ad affermare che quasi tutti i giuristi della sua generazione avessero imparato a memoria il testo decemvirale.

Sulla base di tali indicazioni infatti la dottrina, sostanzialmente unanime[40], attribuisce alle XII tavole l'introduzione di una giurisdizione esclusiva in materia di giudizi capitali in capo ai comizi centuriati e del divieto di condannare a morte un cittadino senza un regolare processo popolare dinanzi a tali comizi.

Più da discutere ha dato il divieto di interfici indemnatum quemcumque hominem; tale norma ci è infatti riportata da una fonte decisamente più tarda che potrebbe semplicemente aver rielaborato o riformulato l'originario contenuto normativo dell'altra norma poc'anzi menzionata. Si tratta di Salviano di Marsiglia nel De gubernatione Dei.

(LA)

«[...] interfici enim indemnatum quemcumque hominem etiam duodecim tabularum decreta vetuerunt [...]»

(IT)

«[...] infatti anche le disposizioni delle XII tavole vietarono di mettere a morte qualunque uomo non condannato [...]»

La dottrina ha dovuto interrogarsi circa il contenuto normativo di tale norma perché risulta molto simile a quello della norma de capite civis nisi per maximum comitatum; si segnalano tra le vari ipotesi:

  • l'ipotesi che Salviano starebbe parlando appunto, sia pure riformulando, della stessa norma de capite civis, e quindi non starebbe descrivendo una norma diversa ed autonoma[41];
  • l'ipotesi che la norma descritta da Salviano sarebbe effettivamente una norma diversa volta a vietare l'esecuzione capitale ad esito di processi plebei di natura rivoluzionaria[42];
  • l'ipotesi che tale norma sarebbe strumentale alla norma de capite civis, intesa come norma sulla competenza comiziale, incriminando eventuali trasgressori che ponessero in essere giudizi capitali dinanzi ad altra struttura assembleare o addirittura mettessero a morte senza alcun processo[43].

Venuta meno la giurisdizione capitale dei comizi curiati e dei concilia plebis, le fonti[44] ci informano che ad un certo punto, e senz'altro a partire dal III secolo a.C., i giudizi capitali dinanzi ai comizi centuriati potessero essere proposti anche dai tribuni della plebe[45] .

Quindi a seguito dell'approvazione delle XII tavole quasi tutti i giudizi capitali, che fossero esito di provocatio ad populum o di iniziativa magistratuale o tribunizia, furono attratti dalla competenza giurisdizionale dei comizi centuriati.

Uniche rare eccezioni costituirono probabilmente alcuni giudizi per flagrante sacertà plebea[46] e forse per perduellio[47] per via della particolare natura politica di tali giudizi.

La possibilità di scegliere l'esilio volontario prima della conclusione del voto delle centurie[modifica | modifica wikitesto]

Durante il periodo repubblicano si sviluppò in via consuetudinaria la facoltà, in capo all'accusato prossimo ad essere condannato a morte, di scegliere, entro la conclusione della votazione nell'ambito dello iudicium populi, l'esilio volontario[48]; tale scelta evitava l'esecuzione della pena capitale, ma comportava comunque una capitis deminutio nelle forme della aquae et ignis interdictio.

Nelle ultime decadi della repubblica, in un contesto di accesa lotta politica in cui spesso e volentieri la condanna si poteva subire direttamente per Senatus consultum ultimum, tale facoltà fu però spesso negata. Un caso noto è quello dei congiurati catilinari; a nulla valse il discorso di Cesare in Senato[49] volto a garantire loro l'esercizio di tale facoltà.

Gli sviluppi tardo-repubblicani ed imperiali[modifica | modifica wikitesto]

Le quaestiones perpetuae[modifica | modifica wikitesto]

Nella più avanzata fase repubblicana, con l'abbandono del sistema dei iudicia populi in favore del sistema delle quaestiones perpetuae, il ruolo di garanzia delle norme de capite civis divenne poco rilevante nel quadro di un più evoluto sistema processuale accusatorio che era senz'altro più garantista del vecchio sistema, posto che non sempre il giudizio popolare era garanzia di un giusto processo, potendo risolversi in condanne di persone innocenti ma impopolari o in assoluzioni di persone colpevoli ma molto popolari.

Il senatus consultum ultimum[modifica | modifica wikitesto]

Negli ultimi decenni della repubblica, in contesti di lotta politica sempre più infuocata, spesso le garanzie de capite civis furono violate, con condanne a morte emesse direttamente dal Senato tramite il c.d. Senatus consultum ultimum. In questa fase si conosce quindi una profonda crisi delle norme di garanzia di giudizio popolare.

La cognitio extra ordinem[modifica | modifica wikitesto]

In fase imperiale, con il passaggio al sistema della cognitio extra ordinem, la garanzia di giudizio popolare offerta dalla norma de capite civis venne del tutto meno in un contesto processuale radicalmente inquisitorio, dove l'unico strumento di garanzia rimasto era quello dell'appellatio al funzionario imperiale gerarchicamente superiore ed, in ultima istanza, al tribunale imperiale.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Tito Livio, Storia di Roma, I.49.4
  2. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II.14.1
  3. ^ Marco Terenzio Varrone, De lingua latina, VI.31
  4. ^ Di questo avviso A. Petrucci, Corso di Diritto pubblico romano, Torino, Giappichelli, 2017, p. 273 e B. Santalucia, Diritto e processo penale nell'antica Roma, Milano, Giuffrè, 1998, p.25.
  5. ^ Ulpiano, De officio quaestoris, D.1.13.1 pr.
  6. ^ Tacito, Annales, XI.22.4
  7. ^ Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, s.v. parricidi quaestores, consultabile in ed. Wallace Martin Lindsay, De verborum significatu quae supersunt cum Pauli epitome, Leipzig, Teubner, 1913, p. 247.
  8. ^ Marto Terenzio Varrone, De lingua latina, V.14.81
  9. ^ Cassio Dione, riportato da Giovanni Zonara, Epitome historiarum, VII.13
  10. ^ Lo ritiene probabile B. Santalucia, Diritto e processo penale nell'antica Roma, Milano, Giuffrè, 1998, p. 16, 27 e 40.
  11. ^ Come riportato da Servio Mario Onorato, Commentari in Vergilii Bucolica, IV.43
  12. ^ Come previsto dalla Lex regia in materia introdotta da Numa Pompilio, secondo quanto riportato da Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, s.v. parricidi quaestores, consultabile in ed. Wallace Martin Lindsay, De verborum significatu quae supersunt cum Pauli epitome, Leipzig, Teubner, 1913, p. 247.
  13. ^ Marco Tullio Cicerone, De re publica, II.54 e Tusculanae disputationes, IV.1.1
  14. ^ Seneca il giovane, Epistulae morales ad Lucilium, 108.31
  15. ^ Questa è la communis opinio in dottrina; si tratta di una ricostruzione ormai molto risalente, ma che ha continuato ad essere ampiamente maggioritaria, se non quasi unanime; si vedano per tutti T. Mommsen, Römisches Staatsrecht, III.1, rist., Graz, 1952, p. 351; J. L. Strachan Davidson Problems of the Roman Criminal Law, I, rist., Amsterdam, 1969, p. 144, nt. 1; C. Venturini, Sanzione di crimini e principio di colpevolezza nell'assetto decemvirale: alcuni rilievi, in F. Procchi - C. Terreni (a cura di), Scritti di diritto penale romano, I, Padova, CEDAM, 2016, p. 57; B. Santalucia, Osservazioni sulla repressione criminale romana in età regia, in Le délit religieux dans la cité antique, Actes de la table ronde de Rome (6-7 avril 1978), Roma, 1981, p. 48; L. Garofalo, Appunti sul diritto criminale nella Roma monarchica e repubblicana, Padova, CEDAM, 1997, p. 45.
  16. ^ Che la provocatio sia stata invece pienamente istituzionalizzata già in fase monarchica è però sostenuto da parte minoritaria della dottrina sulla base di un'interpretazione ricostruttiva che enfatizza il ruolo dello ius augurale nell'evoluzione storica dell'ordinamento romano; si vedano in particolare A. Giovannini, Il passaggio dalle istituzioni monarchiche alle istituzioni repubblicane, in Roma. Bilancio critico su Roma arcaica fra monarchia e repubblica, Roma, 1993, p. 93 ss.; E. Tassi Scandone, Leges Valeriae de provocatione. Repressione criminale e garanzie costituzionali nella Roma repubblicana, Napoli, Jovene, 2008, p. 335 ss..
  17. ^ Le fonti, di seguito citate, non sono univoche con riguardo a vari aspetti della vicenda giudiziaria, ed in particolare sull'inquadramento della fattispecie imputata (alcune fonti parlano di parricidium, altre di perduellio), sulla natura duumvirale o meno del giudizio (alcuni lasciano intendere che del giudizio si stesse occupando il re in persona), sull'effettivo ricorso allo strumento della provocatio ad populum (Cicerone in particolare lascia intendere non vi fosse stato ricorso a tale istituto riportando che del giudizio si siano occupati fin da principio i comizi curiati, inquadrando piuttosto l'episodio giudiziario come primum iudicium de capite) e persino sul praenomen dell'eroe sottoposto a giudizio.
  18. ^ Marco Tullio Cicerone, Pro Milone, III.7
  19. ^ Tito Livio, Storia di Roma, I.26.6 e I.26.8
  20. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, III,22.6
  21. ^ Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia, 8.1.abs.1
  22. ^ Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, s.v. sororium tigillum, consultabile in ed. W. M. Lindsay, De verborum significatu quae supersunt cum Pauli epitome, Leipzig, Teubner, 1913, p. 380
  23. ^ De viris illustribus urbis Romae, IV.9
  24. ^ Scholia in Ciceronis Orationes Bobiensa, ed. P. Hildebrandt, Lipsia, 1907, p. 64
  25. ^ Sono di questa opinione in particolare G. Grosso, Monarchia, provocatio e processo popolare, in Studi in onore di Pietro de Francisci, II, Milano, 1954, p.8 ss.; B. Santalucia, Diritto e processo penale nell'antica Roma, Milano, Giuffrè, 1998, p. 28, 40 e 47; A. Petrucci, Corso di Diritto pubblico romano, Torino, Giappichelli, 2017, p. 272; a favore di tale ricostruzione depone in particolare la citata testimonianza di Cicerone, Pro Milone, III.7, dove l'Arpinate fa esplicito riferimento ai "comizi", che, durante il regno di Tullo Ostilio, non possono che essere quelli curiati.
  26. ^ Marco Tullio Cicerone, De re publica, II.53 e Academica priora, II.5.13
  27. ^ Sesto Pomponio, libro singulari enchiridii, D. 1.2.2.16
  28. ^ Tito Livio, Storia di Roma, II.8.2, III.45.8 e III.55.4
  29. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, V.19.4 V.70.2
  30. ^ Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia, IV.1.1
  31. ^ Plutarco, Vite parallele, Publicola, XI.3 e Vite parallele, Confronto di Solone con Publicola II.1
  32. ^ In particolare vari autorevoli studiosi hanno fatto propria l'ipotesi di una falsificazione annalistica a fini celebrativi, facente capo a Valerio Anziate, esponente della gens Valeria; si vedano in questo senso Vincenzo Arangio-Ruiz, Storia del diritto romano, Napoli, Jovene, 1977, p. 2 s.; G. Pugliese, Appunti sui limiti dell'imperium nella repressione penale, Torino, 1939, p. 8; E. S. Staveley, Provocatio during the fifthand Fourth Centuries B.C., Historia, 3, Wiesbaden, 1955, p.414.
  33. ^ Decisivo è stato in questa prospettiva il ritrovamento archeologico dell'epigrafe di Satricum, nei pressi del Tempio di Mater Matua a Satrico nel 1977. L'epigrafe è risultata databile tra il 525 e il 500 a.C. e celebra un Valerio Publicola che potrebbe essere il console latore della discussa lex Valeria. Non è certo una prova decisiva, ma tale indizio archeologico è stato ritenuto un riscontro molto rilevante che ha fatto ridimensionare drasticamente lo scetticismo della dottrina.
  34. ^ Di questo avviso in particolare C. Venturini, Per una riconsiderazione della provocatio ad populum, in F. Procchi - C. Terreni, (a cura di), Scritti di diritto penale romano, I, Padova, CEDAM, 2015, p. 148 e Id., Variazioni in tema di provocatio ad populum, in F. Procchi - C. Terreni (a cura di), Scritti, I, cit., p. 122; così anche F. Procchi, Dittatura e provocatio ad populum, in L. Garofalo (a cura di), La dittatura romana, I, Napoli, Jovene, 2017, p. 219.
  35. ^ Con riguardo ai due casi riportati di iudicia populi per il periodo pre-decemvirale (quello di Spurio Cassio del 485 a.C. e quello di Marco Volscio Fittore del 459 a.C.) le fonti non fanno esplicito riferimento ai comizi centuriati o ai comizi curiati, ma parlano genericamente di giudizi comiziali, assembleari o popolari, nonostante in altri punti delle loro trattazioni invece dimostrino di avere ben chiara la distinzione specificando dettagliatamente la tipologia comiziale, di conseguenza nessuna indicazione decisiva è possibile ricavare dalla loro lettura; v. Cicerone, De re publica, II.60, Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia, VI.3.1b, Livio, Storia di Roma, II.41 e III.24, Dionigi, Antichità romane, VIII.77.
  36. ^ Tra gli altri F. De Martino, Storia della costituzione romana, I, Napoli, Jovene, 1972, p. 188 ss.; F. Serrao, Intervento, in Società e diritto nell'epoca decemvirale: atti del Convegno di diritto romano: Copanello, 3-7 giugno 1984, Napoli, 1988, p. 285, A. Petrucci, Corso di diritto pubblico romano, Torino, Giappichelli, 2017 p. 274.
  37. ^ In particolare B. Santalucia, Diritto e processo penale nell'antica Roma, Milano, Giuffrè, 1998, p. 40 ss.
  38. ^ In particolare R. Pesaresi, Studi sul processo penale in età repubblicana. Dai tribunali rivoluzionari alla difesa della legalità democratica, Napoli, Jovene, 2005, p. 107.
  39. ^ Cicerone, De legibus, II.23.59
  40. ^ Tale è la ricostruzione che si riscontra in qualsiasi manuale universitario, v. per tutti A. Petrucci, Corso di diritto pubblico romano, Torino, Giappichelli, 2017, p. 277; però in senso contrario di recente è stato ipotizzato che la competenza esclusiva in capo ai comizi centuriati fosse di natura legislativa, v. E. Tassi Scandone, Leges Valeriae de provocatione. Repressione criminale e garanzie costituzionali nella Roma repubblicana, Napoli, Jovene, 2008, p. 170 e 179.
  41. ^ A. Guarino, Il dubbio contenuto pubblicistico delle XII tavole, Labeo, 34, Napoli, 1988, p. 326 s..
  42. ^ L. Garofalo, Il processo edilizio, Contributo allo studio dei iudicia populi, Padova, CEDAM, 1989, p. 49 ss..
  43. ^ B. Santalucia, Diritto e processo penale nell'antica Roma, Milano, Giuffrè, 1998, p. 45, nt. 50.
  44. ^ Livio, Storia di Roma, XXVI.3.9, Gellio, Noctes Atticae, VI.9.9 e Scholia Bobiensa 90.3 fanno esplicito riferimento alla convocazione dei comizi centuriati da parte dei questori per conto dei tribuni della plebe che non erano provvisti di ius agendi cum populo.
  45. ^ Di questo avviso B. Santalucia, Sacertà e processi rivoluzionari plebei. A proposito di un libro recente, in Studi per Giovanni Nicosia, Milano, 2007, p. 274, nt. 76 e G. Valditara, Riflessioni sulla pena nella Roma repubblicana, Torino, Giappichelli, 2015, p. 84.
  46. ^ In tali casi le fonti ripotano che si potesse avere l'immediata messa a morte; Cassio Dione, Historia romana, 53.17.9, Livio, Periochae 59, Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, VII.143, Velleio Patercolo, Historiae romanae, II.24.2 e De viris illustribus urbis Romae 66.8.
  47. ^ In realtà sono addirittura riportati due casi di provocatio ad populum avverso giudizi duumvirali per perduellio; si tratta del menzionato caso dell'Orazio superstite (nelle tradizioni che lo qualificano come giudizio duumvirale) e di Rabirio; però posta l'estrema rarità di tali casi e posta l'eccezionalità della concessione dei giudizi popolari nei due casi menzionati (in un caso per via della benevolenza di re Tullo e nell'altro per via di un'abile mossa del difensore di Rabirio, Cicerone) e tenendo conto della particolare natura politica di tali giudizi, pare plausibile che anche tali giudizi potessero essere talvolta conclusi sommariamente; in particolare così B. Santalucia, Osservazioni sui duumviri perduellionis e sul procedimento duumvirale, Du chatiment dans le cité. Supplices corporels et peine de mort dans le monde antique. Table ronde de Rome (9-11 novembre 1982), Roma, 1984, p. 439.
  48. ^ Polibio, Storie, VI.14.4
  49. ^ Sallustio, De Catilinae coniuratione, 51.22 e 51.40.