Dea Iblea

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

La dea Iblea è una divinità femminile sicula attestata in Sicilia orientale e menzionata unicamente da Pausania nella sua opera Viaggio in Grecia[1] Pare che fosse una divinità di origine sicana e in un secondo momento introdotta nel pantheon siculo.

Pausania afferma l'esistenza di un tempio, nella Ibla che egli chiama la Gereatis, dedicato a una dea Iblea venerata dai popoli barbari di Sicilia, ma poiché egli tace il nome di questa divinità, tutti i derivati odierni, come l'appellativo di «dea Ibla», rimangono pure congetture.[2]

Lo storiografo palermitano Filippo Paruta, nel suo trattato seicentesco Della Sicilia descritta con medaglie, sostiene di aver individuato una dea sicula, che egli chiama Ibla, in una moneta raffigurante la testa della divinità avvolta da un velo[3], in un contesto iconografico già di epoca greca (III sec. a.C.)[4].

Inoltre, secondo diversi autori[5] alcuni versi del Pervigilium Veneris[6] indicano senza dubbio che nel poema celebrativo del trionfo dell'amore, della primavera e della fecondità, Venere ordina a una dea (Hybla) di fare parte della sua corte e di vestirsi di fiori, tanti quanti ricoprono la campagna etnea.

Sicuramente, dati gli studi sul materiale archeologico riscontrato nei siti siculi o greco-siculi, il popolo dei Monti Iblei aveva una particolare devozione per i culti potniaci, cioè quelli incentrati sulle divinità della terra, in particolare la Grande Madre. Infatti, proprio a Megara Hyblaea è stata rinvenuta una statua della Grande Madre che allatta due gemelli, divinità che potrebbe essere identificata con la dea Iblea nominata da Pausania. Lo confermerebbe il toponimo della città di Megara, a cui è aggiunto l'aggettivo greco "Hyblaia", che potrebbe significare "della dea Hybla". Molti storici sono concordi nell'affermare che anche il nome di Hybla Heraia deriva dalla dea Hybla[Nonostante l'affermazione non viene menzionato alcuno storico]. Si ipotizza dunque che fosse una divinità della fertilità, protettrice dei campi e della coltivazione dei cereali, con riferimento anche alla Flora romana.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Viaggio in Grecia, 5.23.6: «ἡ Γερεᾶτις καὶ ἱερόν σφισιν Ὑβλαίας ἐστὶ θεοῦ, παρὰ Σικελιωτῶν ἔχον τιμάς.». In realtà il genitivo singolare è femminile Ὑβλαίας non concorda con il genitivo singolare θεοῦ che vuol dire divinità, quindi molto probabile che Ὑβλαία sia il nome della dea (Hyblaia), altrimenti se fosse un aggettivo concorderebbe con θεοῦ e sarebbe Ὑβλαίου θεοῦ.
  2. ^ Vd. argomento approfondito in Luigi Paretis, Studi siciliani ed italioti, con tre tavole, F. le Monnier, 1920, pp. 334-35; Carmelo Ciccia, Il mito d'Ibla nella letteratura e nell'arte, Pellegrini Editore, 1998, p. 46.
  3. ^ Carmelo Ciccia, Il mito d'Ibla nella letteratura e nell'arte, Luigi Pellegrini, p. 45.
  4. ^ HYBLAIA, in Enciclopedia dell'arte antica, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 23 febbraio 2016.
  5. ^ Il Pervigilium Veneris e la Venere del Botticelli, su literary.it.
  6. ^ Pervigilium Veneris, Anonimo, versi 51-52:. Hybla, totos funde flores, quidquid annus adtulit! Hybla florum sume vestem, quantus Aetnae campus est!.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Gabriella Mauciere, La moneta avolese delle Salinelle, Paginascritta Edizioni, Avola, 2010, ISBN 978-88-96907-00-9.