Chiesa di San Potito

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Disambiguazione – Se stai cercando la omonima chiesa di Matera, vedi Chiesa di San Potito (Matera).
Chiesa di San Potito
Facciata e sagrato (dopo i restauri del 2022)
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneCampania
LocalitàNapoli
Coordinate40°51′07.45″N 14°14′56.9″E / 40.85207°N 14.24914°E40.85207; 14.24914
Religionecattolica di rito romano
TitolareSan Potito
Arcidiocesi Napoli
Stile architettonicobarocco
Inizio costruzioneXVII secolo
Interno
Zona absidale

La chiesa di San Potito è un luogo di culto cattolico di Napoli situato sull'omonima collina (detta anche la Costagliola), nei pressi del Museo Archeologico Nazionale.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa fu eretta nella prima metà del Seicento da Pietro De Marino, in un luogo dove sorgeva una struttura religiosa appartenuta alle monache basiliane prima e alle benedettine poi; fu oggetto di un restauro nel 1780 per opera dell'architetto Giovan Battista Broggia. Nel 1808 il monastero fu soppresso da parte del governo francese e dal 1809 adibito alla fanteria, con conseguente perdita di parte del contenuto artistico. Le monache che ivi dimoravano dovettero essere trasferite in San Gregorio Armeno. La chiesa rimase abbandonata fino a quando fu affidata alla congrega degli ufficiali di banco per decreto di Francesco I delle Due Sicilie.

Nel 1867 fu realizzata la scala che garantisce l'accesso dalla via Pessina mentre l'ex monastero, in cui vi è un bel chiostro panoramico, fu successivamente destinato a caserma dei Carabinieri.

La chiesa, chiusa dal sisma del 1980, dopo un parziale restauro è stata riaperta il 22 giugno 2017 a cura dell'associazione "Ad alta voce", presieduta da Carlo Morelli.[1]

Nel 2022 sono stati restaurati tutti i prospetti esterni e il tetto.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

La chiesa presenta una facciata a portico di epoca seicentesca, con una scala in piperno a doppia rampa che porta all'interno a navata unica con tre cappelle per lato, transetto e abside. Le ornamentazioni in stucco che decorano tutte le volte risalgono al sopramenzionato restauro del Broggia. Lo scorcio di maggior bellezza della chiesa è ovviamente l'abisde, dominata da un imponente altare maggiore in marmi policromi del XVIII secolo ai cui lati vi sono due statue in stucco di San Benedetto e Santa Scolastica e alle cui spalle sono collocati: il San Potito trafitto dal chiodo infuocato di Niccolò De Simone (al centro, datato 1654), il San Potito che abbatte l'idolo (a sinistra) e il San Potito che salva l'ossessa (a destra) realizzati da Giacinto Diano nel 1784. Quest'ultimo nel 1791 eseguì anche l'Immacolata visibile nella terza cappella a destra e la Morte di San Giuseppe nella parete destra della terza cappella sinistra. Impossibile, poi, non menzionare la Madonna con il bambino e i santi Antonio e Rocco di Andrea Vaccaro nella terza cappella a sinistra e soprattutto la Madonna del Rosario, notevole tela di Luca Giordano del 1663-1664 nella prima a destra, fronteggiata da un Calvario di ignoto pittore seicentesco. Le seconde cappelle vennero probabilmente spogliate dei rispettivi dipinti nel periodo francese e presentano oggi due imponenti statue lignee sempre ottocentesche di San Gaetano e San Filippo Neri, oltre a delle decorazioni in stucco con angioletti sulle pareti e sulle volte eseguite dallo sconosciuto stuccatore D. Caponello. Altra statua lignea di pregio è l'Addolorata, forse settecentesca, collocata dentro una grossa teca lignea nella campata che si frappone tra la seconda e la terza cappella di sinistra, di fronte alla quale, a destra, è collocato il pulpito, anch'esso in legno.[2] Sulla cantoria in controfacciata si trova un organo positivo in stato di abbandono, dotato di 9 registri su unico manuale, senza pedaliera.[3]

Spostandoci nella sacrestia ci s'imbatte in un ambiente a più vani artisticamente anonimo, ma nel quale si conservano: una statua lignea settecentesca di San Potito, La Madonna della Purità con i Santi Antonio e Giuseppe e le anime purganti, pregevole tela di Pacecco De Rosa, e la Vergine e Santi con il Santissimo Sacramento e le anime purganti di un seguace del Solimena (che Napoli Sacra ritiene sia Domenico Mondo).

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Emanuela Sorrentino, La chiesa di San Potito riapre con l'Accademia per i giovani. Crowdfunding per ristrutturare la sacrestia, su ilmattino.it, 23 giugno 2017. URL consultato il 29 agosto 2022.
  2. ^ Achille Della Ragione, Finalmente riapre la chiesa di San Potito, su achillecontedilavian.blogspot.com, 7 gennaio 2018. URL consultato il 29 agosto 2022.
  3. ^ Romano 1979, p. 288.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Stefano Romano, L'arte organaria a Napoli dalle origini al secolo XIX, vol. I, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1979, pp. 288-289, ISBN non esistente.
  • Napoli sacra. Guida alle chiese della città, coordinamento scientifico di Nicola Spinosa; a cura di Gemma Cautela, Leonardo Di Mauro, Renato Ruotolo, Napoli 1993-1997, 13° fascicolo.
  • Vincenzo Regina, Le chiese di Napoli. Viaggio indimenticabile attraverso la storia artistica, architettonica, letteraria, civile e spirituale della Napoli sacra, Newton e Compton editore, Napoli 2004.

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