Chiesa di San Giorgio di Samatya
Chiesa di San Giorgio di Samatya | |
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Stato | ![]() |
Regione | Turchia |
Località | Istanbul |
Coordinate | 41°00′06.77″N 28°55′58.87″E |
Religione | Armena apostolica |
Titolare | san Giorgio |
Architetto | Bedros Nemtze |
Inizio costruzione | 1866 |
Completamento | 1887 |
San Giorgio di Samatya o Surp Kevork (in armeno Սամաթիոյ Սուրբ Գէորգ Եկեղեցի?; in turco Sulu Manastir, che significa: "Monastero dell'Acqua") è una chiesa armena di Istanbul. L'edificio, costruito tra il 1866 e il 1887, è stato eretto sopra le fondamenta di una chiesa e un monastero bizantini costruiti nell'undicesimo secolo. Il complesso, dedicato a Santa Maria Peribleptos (in greco Μονὴ τῆς Θεοτòκου τῆς Περιβλὲπτου?, Monì tis Theotókou tis Perivléptou) era uno dei più importanti monasteri greco-ortodossi di Costantinopoli.[1] Dopo la conquista ottomana della città nel 1453 esso fu ceduto alla comunità armena di Istanbul e divenne per un periodo la sede del Patriarcato armeno di Costantinopoli.[2]
Ubicazione
[modifica | modifica wikitesto]La chiesa si trova ad Istanbul, nel distretto di Fatih, nella mahalle di Kocamustafapaşa (storicamente Samatya), a Marmara Caddesi 79.[3] Essa si trova all'interno della città murata, a breve distanza dalla riva del Mar di Marmara. L'edificio, protetto da un alto muro, è circondato da altri edifici.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Periodo bizantino
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Nel quinto secolo sorgeva qui la chiesa di Hagios Stephanos en tais Aurelianai. Questa chiesa era situata vicino al Palazzo Helenianai e al monastero di San Dalmazio,[2] vicino a un'abbondante fonte d'acqua (greco: Hagiasma). Da questa fonte, ancora esistente, ha origine il nome turco del complesso ("Monastero dell'Acqua").[3] Non lontano da questi edifici e dalle mura marittime, su un piccolo altopiano sul versante meridionale della settima collina di Costantinopoli, nel quartiere dello Xerolophos,[4] l'imperatore bizantino Romano III Argiro (r. 1028-1034) fondò dopo la sua sfortunata spedizione in Siria un grande monastero dedicato alla Theotokos Peribleptos.[1] L'appellativo, che significa "visibile", "facile da vedere", ha origine dalla sua posizione dominante e isolata.[3] L'Imperatore spese una grande quantità di denaro per erigere l'edificio, e fu duramente criticato per questo.[1] Romano fu sepolto qui nel 1034. L'imperatore Niceforo III Botaniate (r. 1078-1081) riparò il complesso nel 1080.[2] Dopo la sua deposizione, Niceforo fu obbligato dal suo successore, Alessio I Comneno (r. 1081-1118) a farsi monaco qui, e fu anche sepolto nella chiesa.
Nell'XI-XII secolo, era solito che la corte si recasse ogni anno alla Peribleptos per celebrare la festa della candelora.[5] Dopo il sacco latino del 1204, la chiesa rimase per un breve periodo sotto il controllo greco, ma in seguito fu data ai monaci veneziani benedettini.[2] Dopo la fine dell'Impero latino, Michele VIII Paleologo (r. 1261-1282) restaurò la chiesa e aggiunse nel refettorio un mosaico raffigurante sé stesso con la moglie Teodora e il loro figlio Costantino.[2] Questo mosaico fu distrutto nel grande incendio di Samatya nel 1782.[1] Alla fine del XIII secolo un giovane monaco del monastero, Hylarion, inviato a Elegmoi in Bitinia per occuparsi dei possedimenti del monastero, trovò la regione devastata dai turchi. Organizzò con successo la popolazione contro i razziatori e, dopo averli affrontati, rese di nuovo l'area sicura, ma ciò causò un grande scandalo a Costantinopoli, poiché ai monaci non era permesso di combattere. Dopo essere stato costretto a tornare nella capitale, i saccheggi turchi ripresero, finché gli abitanti di Elegmoi non inviarono una petizione a Costantinopoli per chiedere il suo ritorno. Alla fine l'igumeno del monastero fu costretto a dare il suo consenso.[1] L'edificio fu danneggiato nel 1402 da un incendio e dai fulmini. Nel 1422, l'imperatore Manuele II Paleologo (r. 1391-1425) visse in questo monastero durante un'epidemia e durante l'assedio della città da parte del sultano ottomano Murad II.[6]
Periodo ottomano
[modifica | modifica wikitesto]Subito dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, l'edificio continuò ad appartenere alla Chiesa greco-ortodossa.[6] Secondo Müller-Wiener, tra il 1461 e il 1480 (il reinsediamento degli armeni a Samatya avvenne nel 1458/862 AH), il sultano Maometto II (r. 1444-46, 1451-81) cedette la chiesa alla comunità armena,[2] e fino al 1643/44 il complesso divenne la sede del patriarcato armeno di Costantinopoli.[2] Altre fonti riportano che l'edificio fu dato agli armeni nel 1643 a causa dell'intercessione di una donna armena, chiamata Şivekâr, che era una delle preferite del sultano Ibrahim I (r. 1640-1648).[6][7] Durante questo periodo furono qui costruite diverse chiese.[2] Verso la metà del diciassettesimo secolo l'unico edificio bizantino ancora visibile era il refettorio.[3] Nel 1722 il complesso fu ristrutturato dall'architetto armeno Meldon, ma nel 1782 tutto fu distrutto dal grande incendio di Samatya. La ricostruzione avvenne nel 1804.[2] Tra il 1866 e il 1887 (dopo un altro incendio nel 1877),[7] la chiesa fu ricostruita come fondazione di Michele Hagopian, e solo le fondamenta della chiesa bizantina e i resti della costruzione della fonte furono conservate. Inoltre, due grandi scuole furono costruite vicino alla chiesa.[2]
Descrizione
[modifica | modifica wikitesto]L'ambasciatore spagnolo Ruy González de Clavijo (praticamente l'unica fonte esistente sul complesso nel periodo bizantino),[8] che visitò Costantinopoli nel 1402, scrive che la pianta di Santa Maria era centrale, con una navata quadrata sormontata da una cupola con un atrio e stanze laterali, simile alle chiese contemporanee di Hosios Loukas e del Monastero di Daphni in Grecia.[7] La cupola emisferica - decorata con un mosaico - poggiava su otto colonne di diaspro policromo[8] che sostenevano quattro pennacchi.[9] Questi permettevano la transizione dalla base ottagonale al quadrato definito dai muri.[9] Recenti scavi hanno confermato la descrizione di Clavijo.[9] La chiesa, le cui pareti e il pavimento erano coperti di lastre di diaspro, conteneva diverse tombe imperiali, collocate in due stanze laterali. I suoi muri esterni erano riccamente decorati con dipinti raffiguranti le città e i castelli che erano assegnati al monastero.[8] Un grande refettorio adornato con un affresco raffigurante l'Ultima Cena, celle per i monaci, giardini e vigneti facevano parte del complesso.[10] Nella chiesa furono inoltre esposte diverse reliquie, tra le quali il corpo di San Gregorio e dei frammenti della Croce di Gesù portati a Costantinopoli da Sant'Elena, madre di Costantino.[10] La chiesa attuale è un edificio rettangolare, i cui lati sono lunghi circa venti e trenta metri. Esso è orientato in direzione SW - NE. La chiesa possiede un'abside sul lato NE e un campanile. L'interno è coperto da una volta a botte ed è riccamente decorato. Sopra la Hagiasma (in turco: Ayazma), considerata uno delle più belle di Istanbul,[3] è costruita una cappella dedicata a San Giovanni Battista.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d e Janin (1953), p. 227.
- ^ a b c d e f g h i j Müller-Wiener (1977), p. 200.
- ^ a b c d e Ronchey (2010), p. 443.
- ^ Müller-Wiener (1977), p. 187.
- ^ Mamboury (1953), p. 306.
- ^ a b c Janin (1953), p. 228.
- ^ a b c Eyice (1955), p. 93.
- ^ a b c Janin (1953), p. 229.
- ^ a b c Ronchey (2010), p. 444.
- ^ a b Janin (1953), p. 230.
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (EN) Ernest Mamboury, The Tourists' Istanbul, Istanbul, Çituri Biraderler Basimevi, 1953.
- (FR) Raymond Janin, La Géographie ecclésiastique de l'Empire byzantin. 1. Part: Le Siège de Constantinople et le Patriarcat Oecuménique. 3rd Vol. : Les Églises et les Monastères, Paris, Institut Français d'Etudes Byzantines, 1953.
- (FR) Semavi Eyice, Istanbul. Petite Guide a travers les Monuments Byzantins et Turcs, Istanbul, Istanbul Matbaası, 1955.
- (DE) Wolfgang Müller-Wiener, Bildlexikon Zur Topographie Istanbuls: Byzantion, Konstantinupolis, Istanbul Bis Zum Beginn D. 17 Jh, Tübingen, Wasmuth, 1977, ISBN 978-3-8030-1022-3.
- Silvia Ronchey e Tommaso Braccini, Il romanzo di Costantinopoli. Guida letteraria alla Roma d'Oriente, Torino, Einaudi, 2010, ISBN 978-88-06-18921-1.
Altri progetti
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Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]Controllo di autorità | VIAF (EN) 478155708691122580003 |
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