Monastero di Studion
Monastero di Studion | |
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Stato | ![]() |
Località | Istanbul |
Coordinate | 40°59′46″N 28°55′43″E / 40.996111°N 28.928611°E |
Religione | cristianesimo ortodosso |
Titolare | Flavio Studio; Giovanni Battista |
Fondatore | Flavio Studio |
Stile architettonico | bizantino |
Completamento | prima del 454 |
Demolizione | 1453 |
Il monastero di Studion o Studios è un monastero in rovina in Turchia, a Istanbul. Fu il monastero cristiano più importante dell'Impero bizantino. Fu fondato a Costantinopoli prima del 454 dal console Studio[1] che lo pose sotto il patrocinio di san Giovanni Battista Prodromos, cioè il "Precursore": era situato verso il limite occidentale della città, nei pressi della porta Aurea, vicino al mar di Marmara; l'annessa chiesa, di cui rimangono solo le rovine che costituiscono i resti più antichi di un edificio religioso della città,[2] fu costruita probabilmente intorno al 450.[1] I suoi monaci erano detti "Studiti".
Storia[modifica | modifica wikitesto]

Divenne subito baluardo della difesa dell'ortodossia cristiana, opponendosi alle dottrine monofisite contenute nell'Henotikon di Zenone e non aderendo allo scisma di Acacio (484-519); tra l'VIII ed il IX secolo si segnalarono nella lotta contro l'iconoclastia (l'abate Saba vi si oppose duramente nel corso del Concilio di Nicea II, celebrato a Nicea nel 787) entrando anche in conflitto con il patriarca Metodio il Confessore.
Sotto la guida dell'igumeno Teodoro Studita († 826), fiero oppositore degli iconoclasti Niceforo I e Leone V l'Armeno, il monastero cercò di essere autosufficiente: nel suo testamento (diatheke), che si ispirava alla regola di Basilio Magno, Teodoro prescrisse che i monaci dovevano dedicarsi ai lavori nei campi o all'allevamento degli animali, alla produzione di oggetti artigianali o alla cucina.[3] L’Hypotyposis ("regola"),[4] codificata da Atanasio l'Atonita sulla base delle prescrizioni di Teodoro, prevedeva anche la lettura individuale di un libro della biblioteca del monastero nei giorni di festa, che forse era permessa anche nei momenti liberi degli altri giorni.[5] In questo modo i monaci non solo venivano formati, ma potevano anche istruire o aiutare persone non appartenenti al monastero in materia di questioni spirituali.[6]
Studion iniziò a decadere con il progressivo declino dell'Impero bizantino: nel 1204 venne saccheggiato dai latini nel corso della quarta crociata, non risorse fino al 1290.
Gli ultimi monaci vennero dispersi e gran parte del monastero venne distrutto dagli ottomani durante la conquista di Costantinopoli nel 1453: la basilica, risalente al V secolo, venne trasformata da Bayezid II nella moschea dell'Imrahor (in turco İmrahor Camii, dove Imrahor era lo stalliere capo del palazzo imperiale). Degli eccezionali mosaici che decoravano il monastero resta solo un frammento con la Testa della Vergine (fine del X secolo) nel Museo Benaki di Atene.
Il typikon studita venne recuperato all'inizio del XX secolo dal metropolita di Leopoli Andrej Szeptycki, fondatore dei Monaci studiti ucraini, continuatori dell'originaria spiritualità di Studion.
Note[modifica | modifica wikitesto]
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
- (EN) Alexander Kazhdan, Alice-Mary Talbot e Anthony Cutler, Stoudios Monastery, in Alexander P. Kazhdan (a cura di), The Oxford Dictionary of Byzantium, Oxford, Oxford University Press, 1991, ISBN 9780195046526.
- (EN) John Philip Thomas, Angela Constantinides Hero e Giles Constable, Byzantine Monastic Foundation Documents, vol. 1, Dumbarton Oaks, 2000, ISBN 9780884022329.
- (EN) Hilarion Alfeyev, St. Symeon the New Theologian and Orthodox Tradition, Oxford, Oxford University Press, 2000, ISBN 9780198270096.
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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
- (EN) Monastero di Studion / Monastero di Studion (altra versione), su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) Monastero di Studion, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 158300933 · LCCN (EN) n82116489 · GND (DE) 4598871-7 · J9U (EN, HE) 987007462545605171 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82116489 |
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