Coordinate: 42°32′39″N 12°43′16″E

Cascata delle Marmore

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La cascata delle Marmore vista dal Piazzale Vasi, lungo la statale Valnerina.

La Cascata delle Marmore è una cascata a flusso controllato, tra le più alte d'Europa, potendo contare su un dislivello complessivo di 165 m, suddiviso in tre salti.

Il nome deriva dai sali di calcio presenti sulle rocce che sembrano simili a marmo.

Le acque della cascata sono sfruttate intensamente per la produzione di energia elettrica, nella centrale di Galleto. Questo fa sì che la cascata vera e propria non sia continuamente funzionante, ma per la maggior parte del tempo si riduca alle dimensioni di un torrente. Il bacino del lago di Piediluco funge da serbatoio idrico per la centrale, costruita nel 1929, capace di produrre energia elettrica con una potenza di circa 530 MW. Per regolare il funzionamento della centrale e per permetterne la visione a tutti, in orari e periodi definiti, la cascata viene fatta funzionare alla massima portata: un segnale acustico avvisa dell'apertura delle paratoie di regolazione, e in pochi minuti la portata aumenta fino al valore massimo. Normalmente, la cascata funziona un paio di ore al giorno, con orari di funzionamento prolungati in occasione di giorni festivi. Si accede ai punti di osservazione migliori previo pagamento di un biglietto d'ingresso.

Ambiente

Essa si trova a circa 7,5 km di distanza da Terni, in Umbria, quasi alla fine della Valnerina, la lunga valle scavata dal fiume Nera (42°32′39″N 12°43′16″E). La cascata è formata dal fiume Velino che, in prossimità della frazione di Marmore (376 m s.l.m., 802 abitanti secondo i dati Istat del 2001), defluisce dal lago di Piediluco e si tuffa con fragore nella sottostante gola del Nera. Normalmente solo una parte dell'acqua del fiume Velino (portata media 50 m³/s) viene deviata verso la cascata (circa il 30%, equivalenti a circa 15 m³/s).

Storia

Il fiume Velino percorre gran parte dell'altopiano che circonda, e a valle si trova naturalmente intralciato dalla presenza di massicci calcarei e dall'assenza di un adeguato letto dove scorrere. Questa particolare configurazione geologica ha portato, nel corso delle ere, alla formazione di una palude stagnante, nociva per la salubrità dei luoghi. Nel 271 a.C., il console romano Manio Curio Dentato ordina la costruzione di un canale (il Cavo Curiano) per far defluire le acque stagnanti in direzione del salto naturale di Marmore: da lì, l'acqua precipitava direttamente nel fiume Nera, affluente del Tevere.

Tuttavia, la soluzione di questo problema ne creava un altro: in concomitanza delle piene del Velino, l'enorme quantità d'acqua trasportata dal Nera minacciava direttamente il centro abitato di Terni. Questo fu motivo di contenzioso tra le due città, tanto che nel 54 a.C. si giunse a porre la questione direttamente al Senato Romano: Rieti era rappresentata da Cicerone, Terni da Aulo Pompeo. La causa si risolse con un nulla di fatto, e le cose rimasero così per i secoli successivi.

La mancata manutenzione del canale portò però a una diminuzione del deflusso delle acque e a un principio di impaludamento della piana reatina. Dopo varie peripezie, nel 1422 un nuovo canale venne costruito per ripristinare l'originaria portata del fiume (Cavo Reatino o Cavo Gregoriano, per via dell'intervento di Gregorio XII).

Papa Paolo III, nel 1545, diede mandato ad Antonio da Sangallo il Giovane di aprire un altro canale, la Cava Paolina, che però riuscì ad assolvere il proprio compito solo per 50 anni. Si pensò allora di ampliare la Cava Curiana e di costruire un ponte regolatore, una sorta di valvola che avrebbe permesso di regolare il deflusso delle acque. Quest'opera fu inaugurata nel 1598 da Papa Clemente VIII, che aveva affidato l'incarico progettuale a Giovanni Fontana, fratello di Domenico; ovviamente, il canale prese il nome di Cava Clementina.

Nei due secoli seguenti, l'opera creò non pochi problemi alla piana sottostante, ostacolando il corretto deflusso del Nera e provocando l'allagamento delle campagne circostanti. Per ordine di Papa Pio VI, nel 1787, l'architetto Andrea Vici operò direttamente sui balzi della cascata, dandole l'aspetto attuale e risolvendo finalmente la maggior parte dei problemi.

Nel XIX secolo le acque della cascata cominciarono a essere utilizzate per la loro forza motrice: nel 1896, le neonate Acciaierie di Terni alimentavano i loro meccanismi sfruttando 2 m³ d'acqua del Cavo Curiano. Negli anni successivi, la cascata cominciò a essere sfruttata intensamente per la produzione di energia idroelettrica.[1]

Una vista panoramica della cascata si può ammirare dal borgo medievale di Torreorsina, unico paese della Valnerina che si affaccia direttamente su di essa.

La leggenda

La Cascata.

Sulle origini della cascata c'è una leggenda: una ninfa di nome Nera si innamorò di un bel pastore: Velino. Ma Giunone, gelosa di questo amore, trasformò la ninfa in un fiume, che prese appunto il nome di Nera. Allora Velino, per non perdere la sua amata, si gettò a capofitto dalla rupe di Marmore. Questo salto, destinato a ripetersi per l'eternità, si replica ora nella Cascata delle Marmore.

Visitatori illustri

Le opere ingegneristiche e la natura che la circonda hanno sempre richiamato un gran numero di turisti e visitatori, tanto da spingere alla creazione di luoghi di osservazione sicuri e stabili (la Specola in alto, piazzale Vasi in basso, vari Belvedere). Fra di loro, possiamo citare tante illustri personalità: Plinio, Cicerone, Fazio degli Uberti, un gran numero di papi, Galileo Galilei, Vittorio Alfieri, Ferdinando II delle Due Sicilie, la Regina Madre di Napoli, Salvator Rosa, Corot, Gioacchino Belli, Lord Byron e tanti altri. La cascata, nel XVIII e XIX secolo, rappresentava molto spesso una giornata di visita del Grand Tour verso Roma.

«Rimbombo di acque! Dalla scoscesa altura il Velino fende il baratro consunto dai flutti. Caduta di acque! Veloce come la luce, la lampeggiante massa spumeggia, scuotendo l'abisso. Inferno di acque! là dove queste urlano e sibilano e ribollono nell'eterna tor­tura; mentre il sudore della loro immane agonia, spremuto da questo loro Flegetonte, abbraccia le nere rocce che circondano l'a­bisso, disposte con dispietato orrore,e sale in spuma verso il cielo, per ricaderne in un incessante scroscio, che, con la sua inesausta nube di mite pioggia, reca un eterno aprile al terreno attorno, rendendolo tutto uno smeraldo: - quanto profondo è l'abisso! E come di roccia in roccia il gigantesco Elemento balza con delirante salto, abbat­tendo le rupi che, consunte e squarciate dai suoi feroci passi, concedono in abissi uno spaventoso sfogo alla poderosa colonna d'acqua che continua a fluire e sembra piuttosto la sorgente di un giovane mare, divelto dal grembo di montagne dalle doglie di un nuovo mondo, che non soltanto la fonte di fiumi che scorrono fluenti in numerosi meandri attraverso la valle! Volgiti indietro! Vedi, dove esso si avanza simile ad una Eternità, quasi che dovesse spazzar via tutto ciò che trova sul suo cam­mino, affascinando l'occhio col Terrore - impareggiabile cateratta,orribilmente bella! ma sul margine, da una parte all'altra, sotto lo scintillante mattino, posa un'iride tra gli infernali gorghi, simile alla Speranza presso un letto di morte, e, inconsunta nelle sue fisse tinte, mentre tutto là attorno è dilaniato dalle acque infuriate, innalza serenamente i suoi fulgidi colori con tutti i loro raggi intatti, e sembra, tra l'orrore della scena, l'Amore che sorveglia la Follia con immutabile aspetto.»

Galleria fotografica

Note

  1. ^ In quanto concessa ad un autoproduttore, la derivazione d'acqua e l'annessa centrale idroelettrica sarebbe dovuta rimanere esclusa alla nazionalizzazione, ma fu fatta una eccezione perché indispensabile alla congiunzione tra le reti dell'Italia settentrionale e quelle dell'Italia meridionale. In compenso le aziende di Terni ottennero un prezzo agevolato [1]

Bibliografia

  • T. Moretti Antonucci, La Cascata delle Marmore e i suoi dintorni, Livoni Edizioni Turistiche, Terni.

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