Lobby israeliana negli Stati Uniti

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Con lobby israeliana negli Stati Uniti (talora definita lobby sionista negli USA) s'intende l'insieme dei gruppi di pressione politica, economica e persino d'impronta religiosa, di quanti, come individui o gruppi organizzati legalmente, mirano a influenzare la politica estera statunitense in palese sostegno d'Israele e del sionismo che la pervade, effettuando pressioni (previste come legittime dal sistema statunitense, purché esplicitamente portate a conoscenza della pubblica opinione americana) per favorire Israele e la politica del suo governo.[1]

La lobby consiste di gruppi secolari e religiosi ebraico-americani. Il più noto e visibile di essi è l'American Israel Public Affairs Committee (AIPAC). L'AIPAC e altri gruppi facenti parte della lobby israeliana influenzano la politica pubblica statunitense in vari modi, sfruttando il tema dell'istruzione, rispondendo alle critiche verso Israele e portando argomentazioni in sostegno d'Israele, oltre a battersi per l'approvazione di leggi che favoriscano lo Stato d'Israele e la sua politica estera.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il sionista cristiano William Eugene Blackstone.
Il giudice della Corte Suprema statunitense, Louis Brandeis.

Una credenza cristiana riguardante il ritorno degli ebrei in Terra santa (Sionismo cristiano) ha forti radici negli Stati Uniti, che precedono sia la nascita del movimento sionista (Primo Congresso Sionista) sia quella d'Israele stesso. L'azione lobbistica di simili gruppi per influenzare la politica del governo statunitense, in modo assolutamente congruo con l'ideologia sionista, data almeno al XIX secolo.

Nel 1844, il sionista cristiano George Bush, un professore di Lingua ebraica nella New York University, lontanamente imparentato con la famiglia Bush che ha dato due Presidenti agli USA, pubblicò un libro intitolato The Valley of Vision; or, The Dry Bones of Israel Revived.[2] In esso egli denunciava “la schiavitù e l'oppressione, che ha così a lungo schiacciato nella polvere (gli ebrei)”, e invocava un “innalzamento” degli ebrei “a un rango di dignitosa reputazione tra le nazioni della Terra”, riportando gli ebrei nella terra d'Israele in cui la maggior parte di essi si sarebbe convertita al Cristianesimo.[3] Ciò, secondo Bush, avrebbe arrecato benefici non solo agli ebrei, ma a tutto il genere umano, creando un “collegamento comunicativo” tra l'umanità e Dio. “It will blaze in notoriety...". “It will flash a splendid demonstration upon all kindreds and tongues of the truth.”[4] Il libro vendette circa 1 milione di copie nel periodo anteguerra.[5] Il Blackstone Memorial del 1891 è stata del pari una significativa petizione sionista cristiana (in inglese Christian Restorationist) presentata da William Eugene Blackstone, per convincere il Presidente Benjamin Harrison a compiere pressioni sul Sultano dell'Impero ottomano affinché concedesse la Palestina agli ebrei.[6][7]

Il Pastore protestante John Hagee, fondatore e presidente dei Christians United for Israel, sul podio durante la convenzione nazionale del gruppo nel 2007.

A partire dal 1914, il coinvolgimento di Louis Brandeis e del suo gruppo di Sionisti Americani, rese per la prima volta il Sionismo ebraico una forte realtà sulla scena statunitense. Sotto la sua guida gli aderenti si decuplicarono, raggiungendo la cifra di circa 200 000 persone.[8] Come presidente dell'American Provisional Executive Committee for General Zionist Affairs, Brandeis riuscì a ottenere milioni di dollari dell'epoca per alleviare le sofferenze ebraiche nell'Europa devastata dalla guerra, e da quel momento “il Committee divenne il centro finanziario del movimento sionista nel mondo”.[9] La Dichiarazione britannica del 1917 firmata da Balfour fece progredire ulteriormente il movimento sionista e gli dette legittimazione ufficiale. Il Congresso statunitense approvò il 21 settembre 1922 la prima risoluzione congiunta che stabiliva il sostegno USA per un "focolare" (homeland) in Palestina per il popolo ebraico.[10] Lo stesso giorno fu approvato dal Consiglio della Lega delle Nazioni il Mandato britannico della Palestina.

Il lobbismo sionista negli USA ha contribuito alla creazione dello Stato d'Israele nel 1947-48. La preparazione e la votazione del Piano di partizione della Palestina, che precedette la Dichiarazione d'indipendenza israeliana, furono accolte da un entusiastico sostegno degli ebrei statunitensi e patrocinata a Washington.[11] Il Presidente Truman più tardi osservò:

«"The facts were that not only were there pressure movements around the United Nations unlike anything that had been seen there before, but that the White House, too, was subjected to a constant barrage. I do not think I ever had as much pressure and propaganda aimed at the White House as I had in this instance. The persistence of a few of the extreme Zionist leaders—actuated by political motives and engaging in political threats—disturbed and annoyed me".»

Negli anni cinquanta, l'American Zionist Committee for Public Affairs (AZCPA) fu creata da Isaiah L. "Si" Kenen. Nel corso dell'amministrazione Eisenhower, le preoccupazioni per Israele non furono in prima linea. Altri problemi in Vicino Oriente e l'URSS erano di primaria importanza, e i sostenitori statunitensi di Israele non furono attivi come lo erano stati in precedenza. L'AZCPA formò un comitato lobbistico pro-Israele per contrastare le voci che dicevano che l'amministrazione Eisenhower si accingeva a investigare circa l'American Zionist Council.[13] Il Comitato Esecutivo dell'AZCPA decise di cambiare il proprio nome di "American Zionist Committee for Public Affairs" in quello di American Israel Public Affairs Committee.[14]

Le relazioni tra Israele e il governo USA cominciarono con un forte sostegno popolare a favore di Israele e con le riserve governative circa la saggezza della creazione di uno Stato ebraico; Le relazioni inter-governative rimasero tra i due Paesi fredde fino al 1967.[15] Prima del 1967, il governo degli Stati Uniti rimase "attivamente ostile a Israele" (actively hostile to Israel.[16] Fino al 1979, Israele ricevette la stragrande parte degli aiuti dall'estero. I circa $3 miliardi di aiuti a Israele comprendevano una minuscola parte percentuale dei quasi 3 trilioni di dollari del bilancio statunitense.[17] L'AIPAC "crebbe fino a 100.000 aderenti..." e rivendicava a sé il merito di costituire la più importante lobby filo-israeliana in USA.[18]

Struttura[modifica | modifica wikitesto]

La lobby filo-israeliana negli Stati Uniti è composta da componenti formali e informali.

Lobby informale[modifica | modifica wikitesto]

Il sostegno a Israele è forte tra gli statunitensi cristiani di tutte le denominazioni.[19] Il sostegno cristiano informale per Israele comprende un'ampia gamma di temi, espressi a livello di stampa e di media, espressi dal Christian Broadcasting Network e dal Christian Television Network, fino all'annuale Day of Prayer for the Peace of Jerusalem.[20]

Il lobbismo informale include anche le attività dei gruppi ebraici. Alcuni studiosi giudicano il lobbismo ebraico a favore d'Israele come uno dei tanti esempi del lobbismo statunitense in favore di gruppi etnici, al fine di agevolare la costituzione di una loro patria etnica e favorire la politica estera USA,[21] che ha incontrato ampio consenso in quanto Israele è fortemente sostenuto da un numero assai consistente e influente di movimenti cristiani che condividono gli obiettivi di quei gruppi ebraici.[22] In un articolo del 2006 sulla London Review of Books, i professori John Mearsheimer e Stephen Walt hanno scritto:

Nelle sue operazioni basilari, la lobby israeliana non è differente rispetto a una lobby farmaceutica, siderurgica o ai sindacati dei lavoratori del comparto tessile, o ad altre lobbies etniche. Non v'è nulla d'improprio circa gli ebrei statunitensi e ai loro alleati cristiani che tentano di influenzare la politica degli USA: le attività delle lobbies non sono un complotto del tipo mostrato dai libelli quali i Protocolli dei Savi di Sion. Per la maggior parte, le persone e i gruppi che li compongono stanno solo facendo ciò che gli altri gruppi che perseguono interessi particolari fanno, ma lo fanno molto meglio. Per contro, i gruppi d'interesse filo-arabo, esistenti anch'essi, sono deboli: cosa che rende il compito della Lobby israeliana assai più facile.[23]

Lobby formale[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ John Mearsheimer e Stephen Walt, "The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy", London Review of Books, Volume 28 Number 6, March 22, 2006. Retrieved March 24, 2006.
  2. ^ Michael Medved. "What the Evangelicals Give the Jews." Commentary. May 2012. 2 October 2012.
  3. ^ Valley of vision: or, The dry bones of Israel revived : an attempted proof, from Ezekiel, chap. xxxvii, 1-14, of the restoration and conversion of the Jews, George Bush, 1844 "When the Most High accordingly declares that he will bring the house of Israel into their own land, it does not follow that this will be effected by any miraculous interposition which will be recognized as such....The great work of Christians, in the mean time, is to labor for their conversion. In this they are undoubtedly authorized to look for a considerable measure of success, though it be admitted that the bulk of the nation is not to be converted till after their restoration ; for it is only upon the coming together of bone to his bone that the Spirit of life comes into them, and they stand up an exceeding great army".
  4. ^ Michael B. Oren. Power, Faith, and Fantasy, rivisto da Hillel Halkin, Commentary, gennaio 2007 https://www.commentarymagazine.com/viewarticle.cfm/power--faith--and-fantasy-by-michael-b--oren-10818
  5. ^ Dr. Michael Oren, discorso tenuto davanti all'American Israel Public Affairs Committee nel 2007, citato in Foxman, The Deadliest Lies, pp. 17-18.
  6. ^ Blackstone Memorial
  7. ^ Paul Charles Merkley, The Politics of Christian Zionism, 1891–1948, 1998, p. 68 e segg.
  8. ^ Donald Neff, Fallen Pillars U.S. Policy towards Palestine and Israel since 1945Chapter One: Zionism: Jewish Americans and the State Department, 1897-1945
  9. ^ Academic Awards, su American Jewish Historical Society. URL consultato il 20 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 26 febbraio 2011).
  10. ^ Cheryl Rubenberg, Israel and the American National Interest: A Critical Examination, University of Illinois Press, 1986, p. 27, ISBN 978-0-252-06074-8.
  11. ^ Larry Collins e Dominique Lapierre. O Jerusalem!, New York, Simon and Schuster, 1988. p. 27.
  12. ^ George Lenczowski, American Presidents and the Middle East, (1990) p. 28, che cita quanto scritto da Harry S. Truman sulle sue Memoirs 2, p. 158.
  13. ^ Steven Spiegel, The Other Arab-Israeli Conflict: Making America's Middle East Policy, from Truman to Reagan, University Of Chicago Press, 15 ottobre 1986, p. 52, ISBN 978-0-226-76962-2.
  14. ^ Isaiah Kenen, Israel's Defense Line: Her Friends and Foes in Washington, Prometheus Books, 1981, p. 110, ISBN 978-0-87975-159-3.
  15. ^ Abraham Ben-Zvi, Decade of Transition: Eisenhower, Kennedy, and the Origins of the American-Israel Alliance, Columbia University Press, 1998.
  16. ^ George Friedman, The Israel Lobby in U.S. Strategy, September 4, 2007 The Israel Lobby in U.S. Strategy | STRATFOR.
  17. ^ Benhorin, Yitzhak. "Israel still top recipient of US foreign aid." Ynetnews. 2 August 2007. 13 December 2012.
  18. ^ AIPAC Web Site AIPAC - Learn About AIPAC. Retrieved April 18, 2007.
  19. ^ James L. Guth; John C. Green; Lyman A. Kellstedt; Corwin E. Smidt,, "Faith and Foreign Polich: A View from the Pews", in: The Brandywine Review of Faith & International Affairs, 1543-5725, Volume 3, Issue 2, 2005, pp. 3–10.
  20. ^ Gerhard Falk, The Restoration of Israel: Christian Zionism in Religion, Literature, and Politics, 2006.
  21. ^ Ambrosio, Thomas, Ethnic identity groups and U.S. foreign policy, Praeger Publishers, 2002.
  22. ^ Gertrude Himmelfarb, "American Jewry, Pre=- and Post-9/11", p. 118. In: Religion as a public good: Jews and other Americans on religion in the public square, Alan Mittleman (ed.), Rowman & Littlefield, 2003
  23. ^ John Mearsheimer and Stephen Walt, The Israel Lobby, su lrb.co.uk. URL consultato il 20 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 15 agosto 2009).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Nasser Aruri. Dishonest Broker: The Role of the United States in Palestine and Israel. South End Press, 2003. ISBN 978-0-89608-687-6.
  • Zev Chafets. A Match Made in Heaven: American Jews, Christian Zionists, and One Man's Exploration of the Weird and Wonderful Judeo-Evangelical Alliance. HarperCollins, 2007. ISBN 978-0-06-089058-2.
  • Paul Findley. They Dare to Speak Out: People and Institutions Confront Israel's Lobby. Lawrence Hill, 2003. ISBN 978-1-55652-482-0.
  • Paul Findley. Deliberate Deceptions: Facing the Facts About the U.S.-Israeli Relationship. Lawrence Hill, 1995. ISBN 978-1-55652-239-0.
  • Abraham H. Foxman. The Deadliest Lies: The Israel Lobby and the Myth of Jewish Control. Palgrave MacMillan, 2007.
  • Glenn Frankel. A Beautiful Friendship. The Washington Post. July 16, 2006.
  • Murray Friedman. The Neoconservative Revolution: Jewish Intellectuals and the Shaping of Public Policy. Cambridge University Press, 2006. ISBN 978-0-521-54501-3.
  • Benjamin Ginsberg. The Fatal Embrace: Jews and the State. University of Chicago Press, 1999. ISBN 978-0-226-29666-1.
  • J.J. Goldberg. Jewish Power: Inside the American Jewish Establishment. Basic Books, 1997. ISBN 978-0-201-32798-4.
  • D.H. Goldberg. Foreign Policy and Ethnic Interest Groups: American and Canadian Jews Lobby for Israel. Greenwood Press, 1990. ISBN 978-0-313-26850-2.
  • Stephen J. Green. Taking Sides: America's Secret Relations With Militant Israel. William Morrow & Co., 1984. ISBN 978-0-688-02643-1.
  • Matthew Coen Leep. "The Affective Production of Others: United States Policy towards the Israeli-Palestinian Conflict,” Cooperation and Conflict 45(3): 331-352 (2010).
  • Douglas Little. American Orientalism: The United States and the Middle East since 1945. University of North Carolina Press, 2004. ISBN 978-0-8078-5539-3.
  • John J. Mearsheimer and Stephen Walt. The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy
  • James Petras. The Power of Israel in the United States. Clarity Press, 2006. ISBN 978-0-932863-51-5.
  • Ariel Ilan Roth. "Reassurance: A Strategic Basis of U.S. Support for Israel," International Studies Perspectives 10:4 (2009): 378-394
  • Cheryl Rubenberg. Israel and the American National Interest: A Critical Examination. University of Illinois Press, 1989. ISBN 978-0-252-06074-8.
  • Stephen Schwartz. Is It Good for the Jews?: The Crisis of America's Israel Lobby. Doubleday, 2006. ISBN 978-0-385-51025-7.
  • Jerome Slater. "The Two Books of Mearsheimer and Walt", Security Studies 18:1 (2009): 4-57.
  • Janice Terry. U.S. Foreign Policy in the Middle East: The Role of Lobbies and Special Interest Groups. Pluto Press, 2005. ISBN 978-0-7453-2258-2.
  • Edward Tivnan. The Lobby: Jewish Political Power and American Foreign Policy. Touchstone Books, 1988. ISBN 978-0-671-66828-0.
  • David Verbeeten, How Important Is the Israel Lobby?, Middle East Quarterly, Fall 2006, pp. 37–44
  • Timothy P. Weber. On the Road to Armageddon: How Evangelicals Became Israel's Best Friend. Baker Academic, 2005. ISBN 978-0-8010-3142-7.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]