Giusto (arcivescovo)

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Giusto
arcivescovo della Chiesa cattolica
 
Incarichi ricopertiArcivescovo metropolita dell'Arborea (1192-1198)
 
Natoa Genova
Deceduto1198 circa nel Lazio
 

Giusto (Genova, ... – Lazio, 1198 circa) è stato un arcivescovo cattolico e chierico italiano, arcivescovo metropolita dell'Arborea dal 1192[1] fino al 1198, ultima data in cui risulta ancora in vita[2].

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nato a Genova[2], è indicato come arcivescovo d'Arborea a partire dal 1192, quando, il 20 febbraio, compare in un accordo diplomatico tra Ugone I di Bas a Pietro I di Lacon-Serra[2], entrambi in lotta per il trono d'Oristano[2].

Testimone di un atto di obbligazione di Pietro I alla Repubblica di Genova[2], fu accusato da Pietro di Staura, presbitero e delegato del Capitolo d'Oristano, di «omicidio, spergiuro, scomunica, incendio, sortilegio e tortura»[2], nonché di aver permesso ad un anonimo nipote di vendere un cristiano come schiavo ai musulmani di Sicilia[2].

Difendendosi, l'arcivescovo implicò i suoi accusatori di complicità con Guglielmo I Salusio IV[2]. Il giudice di Cagliari aveva infatti invaso l'Arborea, costringendo alla fuga Ugone, imprigionando Pietro I e suo figlio, Barisone, e proclamandosi poi nuovo sovrano della valle del fiume Tirso[2]. Temendo rappresaglie da parte di Guglielmo, Giusto lasciò Oristano[2], tornandovi poco dopo[2].

Attaccò aspramente i canonici cittadini, accusandoli di non aver obbedito al pontefice, che considerava Salusio IV un usurpatore, rifiutandosi di riconoscere quest'ultimo[2].

Non volendo sottostare al giudizio di Ubaldo Lanfranchi, arcivescovo di Pisa, recatosi nell'isola per giudicare la situazione, tentò di recarsi personalmente presso il papa, venendo però imprigionato da Comita I di Torres[2]. Tornato in libertà, raggiunse Roma, dove convinse papa Innocenzo III ad incaricare gli arcivescovi di Cagliari e Torres nonché il vescovo di Sorres di intervenire, condannando Guglielmo in caso di colpevolezza[2].

Dopo questo documento dell'arcivescovo si perdono le tracce[2].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Casula, p. 1106.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o Casula, p. 712.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]