Chāndogya Upaniṣad

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Veda

La Chāndogya Upaniṣad è una delle Upaniṣad più antiche e ampie del corpus delle Upaniṣad vediche. Si tratta probabilmente, assieme alla Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad, dell'unica Upaniṣad pre-buddhista esistente.

La Chāndogya Upaniṣad afferisce a quella parte della Śruti (lett. "cose udite") riguardante il Sāmaveda, ovvero a quel libro del Veda contenente informazioni pertinenti all'immusicazione degli inni del Ṛgveda. I sacerdoti delle scuole del Sāmaveda, (la leggenda vuole che ne esistessero mille), erano chiamati udgātṛ. Il termine chāndoga (s.m. sanscrito, "cantore in metri"), veniva utilizzato per indicare questi particolari sacerdoti, il che spiegherebbe dunque il nome di questa Upaniṣad, il cui significato letterale è: "Upaniṣad dei chāndoga".

Suddivisione e contenuti[modifica | modifica wikitesto]

La Chāndogya Upaniṣad è inserita nel Chāndogya Brāhmaṇa, (I Brāhmaṇa sono un vasto corpus di testi ancillari ai Veda, di carattere spesso esegetico), di cui costituisce gli ultimi otto capitoli(prapāṭaka, s.m., lett. "letture"). Il Chāndogya Brāhmaṇa è il manuale rituale del chāndoga, (l'udgātṛ), ovvero colui che, durante i sacrifici (yajña), era designato ad intonare le melodie del Sāmaveda. Seguendo questo concetto, è possibile un'interpretazione filosofico-religiosa in cui il testo (si intende sempre testo orale!) è suddiviso in maniera simile ai sāman (canti) intonati dall'udgātṛ:

  1. hiṅkāra, canto della sillaba hum intonata dallo stesso udgātṛ;
  2. prastāva, il preludio cantato dal primo assistente dello udgātṛ indicato come prastoṭr;
  3. udgītha, il sāman vero e proprio cantato dallo stesso udgātṛ;
  4. pratihāra, l'antistrofe cantata dal secondo assistente dello udgātṛ indicato come pratihartṛ;
  5. nidhana, il coro finale cantato insieme dai tre chāndoga.

La Chāndogya Upaniṣad è suddivisa in otto capitoli detti prapāṭaka a loro volta suddivisi in paragrafi detti kaṇḍa (s.m.) questi a loro volta suddivisi in versi. Questa Upaniṣad non possiede un percorso consequenziale quanto piuttosto corrisponde a delle riflessioni meditative, filosofiche e religiose sulle pratiche cultuali dei sacerdoti udgātṛ a cui veniva affidato il canto del Sāmaveda.

(SA)

«sad eva somyedam agra āsīd ekam evādvitīyam tad dhaika āhur asad evedam agra āsīd ekam evādvitīyam tasmād asataḥ saj jāyata kutas tu khalu somyaivaṃ syād iti hovāca katham asataḥ saj jāyeta sat tv eva somyedam agra āsīd ekam evādvitīyam tad aikṣata bahu syāṃ prajāyeyeti tat tejo 'sṛjata tat teja aikṣata bahu syāṃ prajāyeyeti tad apo 'sṛjata tasmād yatra kva ca śocati svedate vā puruṣas tejasa eva tad adhy āpo jāyante»

(IT)

«Caro, al principio questo [universo] era soltanto l'Essere (Sat) uno, senza secondo. A questo proposito alcuni dicono: Al principio questo [universo] era soltanto Non essere (Asat) unico, senza secondo. Di poi dal Non essere nacque l'Essere. Ma, come, o caro, potrebbe essere così? -soggiunse egli-. Come dal Non essere potrebbe essere sorto l'Essere? Essere soltanto questo [universo] era al principio, o caro, uno, senza secondo. Esso pensò: "Vorrei moltiplicarmi, vorrei riprodurmi!". E produsse il tejas. Il tejas pensò: "Vorrei moltiplicarmi vorrei riprodurmi!". E produsse l'acqua. Perciò sempre quando arde [per il caldo o per le pene fisiche e morali] l'uomo emette sudore: è perché l'acqua si è prodotta dal tejas

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