Basilica della Santissima Annunziata del Vastato

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File:DSCF8156.JPG
La basilica della Santissima Annunziata del Vastato

La basilica della Santissima Annunziata del Vastato è una delle chiese più rappresentative dell'arte genovese del tardo manierismo e, soprattutto, del barocco di primo Seicento.

Storia

Dai frati Umiliati ai frati Francescani

Il luogo in cui si trova la chiesa era già stato occupato da una comunità di Frati Umiliati provenienti dalla Lombardia, che nel 1228 avevano edificato un convento e la piccola chiesa di Santa Marta del Prato. Questa chiesa era esigua nelle proporzioni, ed occupava approssimativamente soltanto lo spazio su cui si erge il campanile di destra della facciata.
La scelta del sito era stata condizionata dalla presenza di due rivi, il Rio Carbonara (che passa tuttora, ma in galleria, sotto l'asse centrale dell'Albergo dei Poveri) e il Rio di Vallechiara (in gallerie sotterranee scorre ora sotto la strada centrale del borgo del Carmine), convogliati a modo di fossato sotto il perimetro delle mura del XII secolo, dette Mura del Barbarossa. A monte di queste la comunità religiosa aveva bisogno di queste acque perché si occupava della lavorazione della lana.

La cupola della basilica dell'Annunziata

Inoltre in quella zona molti spazi erano divenuti utilizzabili, perché l'area, che dopo i lavori di costruzione delle mura del Barbarossa del 1155 risultava essere esterna al centro abitato, era stata spianata per ragioni di sicurezza. Da cui il toponimo di Vastato (da guastum o vastinium, cioè demolizione), col quale si chiamavano i guasti o tagliate esterne alle mura, privi di alberi od altro che potesse fornire riparo ad eventuali attaccanti. Su questo guasto venivano ad esercitarsi i balestrieri genovesi. Nel 1508 le costruzioni ancora presenti vennero assegnate ai Frati Francescani Conventuali provenienti dalla chiesa di San Francesco di Castelletto, abbandonata a causa di lavori alle mura cittadine. Furono i francescani ad avviare la nuova costruzione, meglio rispondente alle loro necessità liturgiche e alla loro pastorale predicatoria diretta al popolo.

I lavori iniziarono il 20 luglio 1520, quando venne posta la prima pietra fra solenni cerimonie. La chiesa venne edificata con forme tardo-gotiche per rispettare lo stile artistico della chiesa madre dell'ordine francescano, cioè la Basilica di San Francesco d'Assisi, e venne da subito dedicata al santo patrono: San Francesco del Vastato. Si trattava di una costruzione anacronistica e sproporzionata; infatti si realizzarono delle colonne a strisce bianche e nere, emblema del gotico locale (presenti tuttora sotto le stuccature seicentesche; la devastazione dei bombardamenti del secondo conflitto Mondiale, dove aveva fatto crollare le lastre marmoree e gli stucchi di rivestimento, aveva riportato alla luce tali colonne tonde a rocchi bianchi e neri), in pieno rinascimento, ed in una dimensione esagerata per quello stile adatto a rapporti più contenuti.

La chiesa non venne però completata: i lavori si fermarono dopo l'erezione delle mura portanti e la chiusura del tetto; le decorazioni interne erano poche e semplici, anche per una logica di povertà francescana. Anche la facciata non venne realizzata, perché lo spazio verso piazza della Nunziata, che non era proprietà dei Frati, era occupato da altri edifici.

Nonostante tutto, la chiesa aveva proporzioni monumentali: un'ampia navata centrale e due navate laterali affiancate, ognuna, da una fila di cappelle; un transetto e un presbiterio a base quadrata. All'incrocio fra transetto e navata centrale era stato sovrapposto un tiburio. (Le dimensioni complessive dell'edificio appena descritto sono stimabili intorno a 33x54 metri.)

Nel 1537 i Conventuali lasciarono il Vastato per tornare alla chiesa e al convento di San Francesco di Castelletto, resi di nuovo agibili dopo le risistemazioni della cinta muraria. La chiesa di San Francesco del Vastato venne quindi destinata ai Frati Francescani Osservanti, costretti a lasciare il convento della Santissima Annunziata di Portoria per nuovi lavori alle mura della città. Questi portarono con sé nella nuova sede l'intitolazione della chiesa precedente: nacque così la Santissima Annunziata del Vastato.

La grande trasformazione postridentina

Le vicissitudini cinquecentesche della chiesa cattolica, con la Riforma protestante e, quindi, il Concilio di Trento, furono causa indiretta di una radicale trasformazione della basilica. Nel 1582 arrivò, infatti, a Genova Monsignor Francesco Bossi, vescovo di Novara, per verificare la conformità della diocesi genovese ai dettami del Tridentino.

Via delle Fontane
(sullo sfondo la basilica)

Questi, probabilmente interessato dalle possibilità che le grandiose dimensioni della chiesa non finita potevano presentare, dedicò tre pagine del suo dettagliatissimo rapporto[1] alla chiesa dell'Annunziata, nel quale indicò tutte le opere da eseguire.

I frati furono obbligati a studiare un rinnovo pressoché totale dell'edificio e, soprattutto, a trovare qualcuno che finanziasse un simile cantiere. Fu così che nel 1591 vendettero il giuspatronato della cappella maggiore alla ricchissima famiglia dei Lomellini, padrona di Tabarca in grazia della concessione ricevuta nel 1544 ai tempi di Andrea Doria, in grazia della quale disponeva del floridissimo commercio del corallo. I Lomellini si impegnarono a pagare e dirigere tutti i lavori, in cambio dell'uso della chiesa come cappella di famiglia. Sotto il loro patrocinio si realizzò la maggiore impresa artistico-architettonico-pittorica del Seicento genovese, strutturalmente risolta nel rivestimento di uno scheletro falso medioevale.

I Lomellini incaricarono Taddeo Carlone di realizzare i primi adeguamenti architettonici, cioè l'allungamento del presbiterio con la costruzione dell'abside, così da trovare spazio per il coro, e la sostituzione del tiburio con una cupola ad alto tamburo.

A partire dal 1615 il cantiere venne diretto da Giovanni Domenico Casella detto Scorticone e Giacomo Porta. Questi curarono l'allungamento dell'edificio verso piazza della Nunziata di una campata e mezza, dopo che i frati ebbero acquistato le costruzioni che impedivano l'opera (il fienile della famiglia Balbi, l'Oratorio di San Tommaso e l'Osteria di Santa Marta), preoccupandosi di dare una prima forma non definitiva alla facciata. Ma soprattutto realizzarono la decorazione scultorea della chiesa con marmo, pietre, stucco e oro, accordandosi con i due pittori che avrebbero poi dipinto i riquadri rimasti libero: Giovanni e Giovanni Battista Carlone.

Giovanni Carlone mise mano alla decorazione a fresco nella seconda metà degli anni '20, cominciando a dipingere gli episodi previsti per il transetto: Pentecoste, Incredulità di san Tommaso, Trasfigurazione e Discepoli di Emmaus. Continuò quindi con le prime tre campate della navata centrale, in cui dipinse L'adorazione dei Magi, L'entrata in Gerusalemme e La preghiera nell'orto degli ulivi (con buona probabilità dipinse anche alcuni degli affreschi delle navate laterali). Arrivato a questo punto si interruppe per andare a lavorare alla decorazione della chiesa di Sant'Antonio Abate dei Padri Teatini a Milano, ma nel 1631, poco dopo aver iniziato a dipingere per quest'ultima commessa, morì improvvisamente.

Fu il fratello Giovanni Battista a completare le opere rimaste incompiute a Milano e a Genova. All'Annunziata dipinse le campate rimanenti della navata centrale (La Resurrezione, Gesù risorto saluta Maria prima di salire al cielo e Maria incoronata) e le campate delle navate laterali che ancora dovevano essere finite. Nel frattempo, in un periodo che non è stato ancora possibile comprendere, lavorò ad alcuni affreschi anche Gioacchino Assereto, che dipinse le prime volte delle navate laterali (Eleazaro e Rebecca al pozzo e Pietro e Giovanni risanano lo storpio davanti alla porta Bella).

Arrivato il momento di decorare i luoghi più importanti dell'edificio, i Lomellini si rivolsero ad Andrea Ansaldo, cui chiesero di mettere mano innanzi tutto alla cupola.

Soppressioni, confische e restauri ottocenteschi

La facciata neoclassica è il risultato di progettazioni redatte da Carlo Barabino negli anni venti e trenta del XIX secolo e messe in opera (solo in parte) da Giovanni Battista Resasco negli anni quaranta dello stesso secolo.


I danni della Seconda Guerra Mondiale - Sotto i bombardamenti che devastarono la città nel 1940-45, soprattutto quelli del 1943, la chiesa venne gravemente danneggiata. Molti affreschi delle cappelle laterali sul fianco verso via Polleri (lato Sud-Est) andarono distrutti, tra i quali diversi del Fiasella; queste parti perdute si individuano dai tratti di intonaco grezzo lasciato tale nella ricostruzione. Sotto le bombe però nel complesso la struttura portante resse, i pilastri rimasero, e a crollare furono alcuni muri di riempimento e alcune voltine. La documentazione fotografica riportata nella Rivista Municipale "Genova" dell'anno 1942-42 mostra la struttura a sezione quadrata di stccature dorate che riveste i pilastri completamente squarciata, ed al suo interno emergono le colonne medioevaleggianti in rocchi bianche e neri.

Altri artisti rappresentati (secolo XVII-XVIII)

Giovanni Andrea Ansaldo - Gioacchino Assereto - Giulio Benso - Luca Cambiaso - Giovanni Battista Paggi - Domenico Piola - Scorticone (per i marmi policromi e intagliati) - Porta (per i marmi policromi e intagliati) - Giovanni Battista Carlone e il fratello Giovanni Carlone - Gregorio De Ferrari - Andrea Semino - Gio Andrea De Ferrari - il Guercino - Raggi - Luciano Borzone - Aurelio Lomi - G. B. Vicino - Nicolò Carlone - Fiasella - Vittorio Gatto - O. Pellè (francese) - Bernardo Carbone - Sebastiano Galeotti - Giulio Cesare Procaccini - Anton Maria Piola - Bernardo Strozzi - Calvi - Gio Andrea Carlone - Tommaso Clerici - Orsolino (scultore)- Leonardo Ferrandino (scultore) - Simon Barabino -

Note

  1. ^ Il rapporto steso da Francesco Bossi è attualmente conservato presso l'Archivio di Stato di Genova

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Bibliografia

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