Varianti regionali della lingua italiana

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Template:Avvisounicode La lingua italiana, come ogni lingua, non è un sistema unico ma è caratterizzato da una quantità di varianti temporali, spaziali o individuali. Qui si analizzano le varianti regionali dell'italiano, ossia la sua geografia linguistica nella Penisola. Esse sono presenti a tutti livelli: fonetico, sintattico, lessicale.

Italiano standard e italiano regionale

La linguistica della variazione studia una lingua in funzione delle differenze che intercorrono al suo interno. Si dice italiano standard l'italiano non marcato da alcuna varietà individuale: si tratta di un concetto astratto; in realtà una lingua può variare a seconda di cinque parametri: nel tempo (diacronia), nello spazio (diatopia), a seconda dello status sociale (diastratia), della situazione in cui ha luogo la comunicazione (diafasia) o del mezzo usato per trasmettere il messaggio (diamesia).

Diatopia è un termine che deriva dal greco dia "attraverso" e topos "spazio", e indica il modo in cui le lingue variano nello spazio. Già Dante Alighieri, nel De vulgari eloquentia, osservava come anche coloro che vivono nella stessa città si differenziassero nel modo di parlare la loro lingua, e faceva l'esempio di Bologna. Non esiste quindi un unico italiano, ma esistono tanti italiani, anzi si potrebbe dire che esistono tanti italiani quante sono le situazioni comunicative.

Italiano regionale e dialetto

Non si devono confondere le variazioni dell'italiano che intercorrono tra le varie città e regioni dai diversi dialetti parlati in Italia: qui la base linguistica è la stessa, la lingua italiana. «L'italiano regionale è una varietà di italiano che possiede delle particolarità regionali, avvertibili soprattutto nella pronuncia e, parzialmente, nelle scelte lessicali»[1].

Schematizzando, si possono stabilire quattro livelli nelle parlate regionali italiane, che vanno dalla lingua al dialetto. Le esemplifichiamo mediante la prima frase della parabola del figliol prodigo, pronunciata da un ipotetico abitante del Veneto (precisamente di Belluno)[2]:

Gli italiani regionali

Stabilire confini precisi è molto difficile in sede di linguistica, e quest'operazione al limite può essere compiuta per singoli fenomeni (ad esempio la diversa realizzazione di un suono), ma non per l'insieme di essi: si dovrà quindi procedere in parte per astrazioni. In generale si chiama isoglossa una linea immaginaria che segna il confine di un fenomeno linguistico. La linea detta tradizionalmente La Spezia-Rimini (anche se attualmente sarebbe spostata verso Massa-Senigallia) è un'isoglossa che isola un insieme di italiani regionali caratterizzati da fenomeni simili e che si differenziano da altri per questi stessi fenomeni: più precisamente essa delimita il confine tra gli italiani settentrionali e gli italiani centrali. Meno netta, ma comunque precisamente individuata, è un'altra linea che divide gli italiani centrali da quelli meridionali, e che va da Ancona a Roma. Altre due zone abbastanza ben definite sono quella toscana e quella meridionale estrema (parte peninsulare della Calabria e isole).

Settentrionale

L'Italia settentrionale è caratterizzata da una diversa distribuzione delle e e delle o aperte e chiuse ([e, ɛ, o, ɔ]) rispetto al modello fiorentino, particolarmente evidente a Milano, dove si sente la e aperta in posizione tonica in fine di parola (perché [per.ˈkɛ]) o in corpo di parola in sillaba chiusa (cioè seguita da consonante: stesso [ˈstɛs.so]) e la e chiusa invece in corpo di parola in sillaba aperta (cioè non seguita da consonante: bene ˈbeː.ne]). Caratteristica del nord in opposizione al sud è la s sempre sonora ([z]) in posizione intervocalica, laddove al sud essa è sempre sorda: [ˈkɔː.za] vs. [ˈkɔː.sa]. Sempre in opposizione al sud il nord si caratterizza per la riduzione del raddoppiamento fonosintattico in inizio di parola, dopo vocale, e l'uso del passato prossimo nei verbi (invece del passato remoto diffuso al sud). Notiamo poi l'uso dell'articolo determinativo abbinato ai nomi propri ("la Giulia", "il Carlo"), e il rafforzamento delle espressioni con l'uso del pronome relativo "che". Nel lessico sono in uso parole come "anguria" (comune anche a Sardegna e Sicilia) invece di "cocomero", "bologna" per "mortadella", "piuttosto" nel senso di "anche" e non di "invece", ecc.

Centrale

L'Italia centrale, in particolare Roma, è caratterizzata dall'affricazione della s davanti a consonante nasale (insomma [ĩn.ˈʦõm.ma]), e dal raddoppiamento della b e della g (abile [ˈab.bi.le], regina [reʤ.ˈʤiː.na]). Diffusissima è l'apocope della sillabe finale della parola (ma' per "mamma", anda' per "andare" ecc.). Nella sintassi si registra l'uso dell'indicativo in dipendenza dei verba putandi ("credo che torna"), nel lessico parole come "pupo", "caciara", "pedalini" ecc.

Toscana

In Toscana e soprattutto a Firenze è molto nota la cosiddetta gorgia, vale a dire l'aspirazione delle consonanti occlusive in posizione intervocalica, anche in inizio di parola se la parola precedente finisce per vocale: la casa [la.ˈxaː.sa], fino anche al suo totale dileguo. Sempre in fonetica si registra la riduzione del dittongo uo (ova, scola, bona...), mentre nella sintassi è in uso un sistema tripartito degli aggettivi dimostrativi: questo - codesto - quello, per indicare l'oggetto vicino rispettivamente al parlante (prima persona), all'interlocutore (seconda persona), o a nessuno dei due (terza persona). Notiamo anche l'uso della formula impersonale alla prima persona plurale: noi si va. Nel lessico si registra l'uso di spenge invece di "spegne", oppure parole come "balocco", "busse" (percosse), "rena" (sabbia), "cencio" (panno), "cocomero" e non "anguria", etc.

Meridionale

Anche nell'Italia meridionale si registra una diversa distribuzione delle e e o chiuse e aperte, diversa però da quella settentrionale: si hanno infatti solo i timbri aperti ([ɛ, ɔ]) in Calabria e Sicilia. Come già detto qui la s intervocalica è sempre sorda, ed è frequente l'uso del passato remoto anche per tempi prossimi (specialmente in Campania). Come già notato per l'Italia centrale, sono molto comuni l'affricazione della s in parole come "insomma", "falso", ecc. e il raddoppiamento delle b e delle g. Prevalente è poi (anche questo come in Italia centrale) la posposizione del pronome possessivo, che viene messo dopo il sostantivo (il libro mio), fino alla fusione con esso nel dialetto. Vi è anche posposizione, ma solo nelle isole, della copula dopo il predicato (in ritardo è), e si usa il complemento oggetto preceduto da una a (saluta a Mario). Specialmente in Sicilia si usa posizionare il verbo in fine di frase. Nel lessico si registra l'uso di "tenere" per avere, "mannaggia" (< male ne abbia), "sfizio", "pittare" (pitturare), "imparare" per insegnare.

Sardegna

Lo stesso argomento in dettaglio: Italiano regionale della Sardegna.

La notevole distanza linguistica tra sardo e italiano fa sì che l'italiano regionale della Sardegna sia influenzato più sotto l'aspetto strutturale ("già" riferito al futuro: già lo farò, già andrò, o al presente: già mi piace), sintattico (verbo alla fine, frasi retoriche e frasi ironiche: già è poco bello = è molto bello), grammaticale (riflessivi e pronominali con l'ausiliare avere: me l'ho comprato, te l'hai preso?), e fonetico, che sotto quello lessicale, che comunque presenta ugualmente numerosi termini sconosciuti fuori dall'isola, soprattutto per influenza diretta del sardo e in particolar modo nelle zone dove il sardo è prima lingua, ma non solo. Sono dovute a calchi dal sardo forme come cassare per dire "prendere, acchiappare" e di furare, come sinonimo più caratteristico dell'italiano standard "rubare" (cft: "furto" in italiano): l'hanno cassato mentre furava nel market (calco sintattico del sardo: "d'anti cassau mentras furàat in sa butega"). Altri termini non hanno un'origine diretta nel sardo, come canadese ("tuta da ginnastica") o scacciacqua ("impermeabile"). Foneticamente, rispetto alla distribuzione delle e e o si hanno solo i timbri chiusi ([e, o]). È inoltre tipicamente diffuso il rafforzamento delle consonanti, per esempio la v.

Geosinonimi

Abbiamo elencato alcune parole diffuse in particolare regioni: alcune di esse derivano direttamente dal dialetto, oppure dall'influenza di lingue vicine; altre si sono diffuse in tutta la penisola. In generale si chiamano geosinonimi voci che sono sinonimi usate a seconda della geografia, come l'esempio fatto di "anguria" e "cocomero". I geosinonimi possono essere anche solo suffissi maggiormente usati in determinate aree invece di altri, come -ino in Lombardia, -etto in Veneto, -uccio in Italia centrale, -iddu in Sicilia; netta è la distinzione tra -aio al nord e -aro al sud, entrambi derivati dal latino -arium.

Note

  1. ^ M. Dardano, op. cit., p. 102.
  2. ^ Per la trascrizione si veda la voce Italiano in IPA.

Bibliografia

  • Maurizio Dardano, Manualetto di linguistica italiana, Zanichelli, Firenze 1991.
  • AA.VV., Elementi di linguistica italiana, Carocci, Roma 2003.

Voci correlate

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