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Basilica maior: differenze tra le versioni

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==Bibliografia==
==Bibliografia==
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==Voci correlate==
==Voci correlate==

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Basilica Maior
Le rovine dell'abside della Basilica
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneLombardia
LocalitàMilano
Coordinate45°27′51″N 9°11′29″E{{#coordinates:}}: non è possibile avere più di un tag principale per pagina
Religionecattolica
TitolareSanta Tecla di Iconio
DiocesiArcidiocesi di Milano
ConsacrazioneIV secolo
Stile architettonicoArchitettura paleocristiana
Inizio costruzione350
Demolizione1461
Sito webPagina web sul sito del Duomo

Per Basilica Maior o Basilica di Santa Tecla a Milano si intende un'antica basilica paleocristiana, oggi non più esistente se non in minime parti, relative alla zona absidale corrispondenti all'area sotto il sagrato dell'odierno Duomo di Milano. Le porzioni superstiti rinvenute dagli scavi sono visitabili.

Era una basilica a cinque navate. Dai rilievi e dagli studi[1] effettuati pare avesse una lunghezza totale di 67,60 metri e una larghezza di 45,30 metri[2].

Storia

Secondo alcuni studiosi fu costruita per volere dell'imperatore romano Costante I (figlio di Costantino I) nel 345 col nome Basilica Maior o Basilica Nova e la sua fondazione risalirebbe, quindi, al periodo preambrosiano, molto probabilmente intorno al 350, ai tempi dei vescovi Eustorgio e Dionigi. Insieme alla più antica Basilica vetus costruita un trentennio prima rientra nel complesso cattedrale di cui parla S. Ambrogio in una celebre lettera inviata nel 386 alla sorella Marcellina.[3]. Tale lettera, assieme all'indagine archeologica sulle fondazioni(realizzata con la costruzione delle due metropolitane) costituisce una delle più importanti testimonianze e fonti di studio relative a questo edificio e alle sue fasi di sviluppo.

Altri studiosi la riferiscono al periodo ambrosiano o forse più tardi [4].

Alla morte dell'imperatore Costante la basilica si trovò ben presto coinvolta nelle dispute tra gli Ariani, sostenuti dal nuovo imperatore Costanzo II, e i seguaci dell'ortodossia. Nel 355 Costanzo, nel vano tentativo di far accettare le visione cristiana dell'arianesimo da lui tenacemente sostenuta, indisse infatti il Concilio di Milano, convocato presso la Basilica Maior. Vi partecipavano tra gli altri, oltre al vescovo milanese Dionisio, anche Atanasio di Alessandria, campione dell'ortodossia, ed Eusebio di Nicomedia, campione dell'arianesimo. L'Imperatore, come già avvenuto al precedente concilio di Arelate, inviò all'assemblea una lettera contenente le dichiarazioni ariane che si aspettava fossero controfirmata dai vescovi, i quali però ancora una volta le rigettarono[5], spingendo Costanzo ad esiliare, oltre ad Atanasio, anche il milanese Dionisio. L'Imperatore insediò quindi nella Basilica Nova come vescovo l'ariano Aussenzio.
Per tutto questo periodo la basilica fu al centro dei contrasti tra la maggioranza trinitarista della popolazione e l'élite ariana, divenendo luogo di frequenti scontri, tanto da provocare l'intervento delle guardie di corte, incaricate di ristabilire l'ordine. Nel 369 la presa di posizione anti-ariana di papa Damaso I portò alla scomunica di Aussenzio, il quale rimase però saldamente ancorato alla cattedra milanese col sostegno dell'Imperatore. Nel 386 il vescovo, sostenuto dall'imperatrice Giustina, giunse a sfidare il governatore della Regio XI Transpadana Ambrogio di Treviri, sostenitore del trinitarismo, in un pubblico dibattito in cui richiedeva per gli Ariani l'utilizzo della Basilica Portiana. Ambrogio, rifiutando di cederla, pose sotto assedio la chiesa con una gran moltitudine di milanesi tanto che, temendo tumulti, l'imperatrice Giustina riconsegnò la basilica al culto cattolico.

La situazione si risolse alla morte di Aussenzio, quando divenne vescovo Ambrogio. Egli ottenne che la Basilica Maior fosse destinata all'uso della più numerosa popolazione trinitarista, e indusse tutta la nobiltà ariana a sgombrare l'area basilicale, per confluire nella nuova cattedrale dell'imperatore (oggi San Lorenzo).

Delle vicende storiche medievali relative alla basilica abbiamo notizia nelle opere degli storici medioevali Bernardino Corio e Galvano Fiamma[6]. La basilica Maior seguì vicende simili alla “Basilica Vetus”; fu cioè distrutta da Attila nel 452, riparata da Eusebio nel 454, poi ben restaurata dal vescovo Lorenzo I, nel 490-512; quindi distrutta ancora dai Goti nel 539, rimase un rudere nell'età longobarda, fino ad Angilberto II che nell'836 la ricostruì, intitolandola a San Salvatore. Fu poi distrutta dal grande incendio di Milano 1075, e quando fu rifatta sperimentò i primi abbozzi dello stile romanico e prese il nome di Santa Tecla di Iconio. Barbarossa la risparmiò nel 1162 e rimase in uso fino al 1458, quando iniziò la demolizione per la fabbrica del Duomo, iniziato nel 1386.

La parete del fianco nord con una fila di colonne attigue non fu demolita, ma fu trasformata dall'architetto Solari, nel portico dei Figini, noto emporio commerciale, demolito a sua volta nel XIX secolo per aprire Piazza Duomo.

Nel 1461, lo stesso vescovo Carlo Nardini da Forlì si preoccupò della solenne traslazione nella nuova cattedrale della reliquia del Santo Chiodo della crocifissione di Cristo, fino ad allora conservata in Santa Tecla. La Maior, quando divenne Santa Tecla, fu anche detta “aestiva” perché usata solo d'estate, mentre la Vetus prese il termine di “jemale”, perché usata d'inverno. Tra di esse si stagliava il Battistero di San Giovanni alle Fonti.

Archittetura

Struttura architettonica

La basilica Maior era lunga 86 m e larga 45 m. Come la Vetus, ebbe la lunghezza divisa in due parti da un grande arco, la parte verso l'abside si chiamava Tempio (poi mutò in Presbiterio) e la parte verso l'ingresso si chiamava Platea (poi mutò in Navata).

Si contavano 90 colonne monolitiche di marmo, provenienti dalle cave imperiali dell' Africa del Nord, ed erano diverse per forma e passo tra i colonnati della platea, e quelli del tempio.

Quando fu ricostruita nel IX secolo (dedicata al Santo Salvatore), ebbe lo stesso impianto paleocristiano e le stesse dimensioni del IV secolo. Quando però fu ricostruita dopo l'incendio di Milano del 1075 (dedicata a Santa Tecla), lo stile mutò da paleocristiano a primo romanico lombardo; la lunghezza della chiesa fu ridotta, per mancanza di colonne sane, cosicché la facciata fu arretrata di 14 metri rispetto all'originale.

L'abside della basilica Maior aveva pari ampiezza della navata centrale, era interamente decorata da mosaici (gli scavi hanno restituito alcuni resti, visibili nel museo del Duomo); ma quando fu ricostruita come Santa Tecla, fu realizzata un'abside più piccola.

Non è nota la funzione delle due cappelle rettangolari, laterali all'abside (forse accolsero in un primo tempo statue d'imperatore, che tradizionalmente aveva il ruolo di protettore e garante della religione cristiana dopo l'editto di Milano; egli per esempio convocava i concili, ai quali partecipava di persona o, più spesso, con i suoi legati). Nella ricostruzione come Santa Tecla, furono sostituite da piccole absidi, una per ogni navata laterale (dunque 5 absidi in totale).

La sopraelevazione della navata centrale, detta bema, andava dall'arco di inizio Tempio fino a fondo abside (non c’era nelle navate laterali); in seguito quell'area prese nome di Presbiterio, ovvero "area dei presbìteri" (= anziani, sacerdoti). Nella ricostruzione del IX secolo, fu realizzata la Cripta sotto il bema, e questa variante architettonica si protrasse per tutto il Medioevo.

Similmente alla basilica Vetus, davanti alla basilica Maior vi era un Nartece, atrio quadriportico di 45 x 45 metri. Sicché la costruzione occupava in tutto 5900 metri quadri (86+45=131 x 45).

Peculiarità architettoniche

La Maior fu costruita sul modello basilicale pur presentando significative variazioni dai canoni classici paleocristiani. Anzitutto l'orientamento non segue esattamente l'asse est-ovest, come richiesto dall'allora canone religioso, essendo allineato invece all'asse stradale. Inoltre la basilica si articola in cinque navate anziché tre (la chiesa larga fa rivolgere i fedeli in obliquo, mentre il canone prescriveva che fossero tutti rivolti ad est). Poi la navata centrale, non ebbe un unico pavimento in piano, dall'ingresso fino all'abside, ma una sopraelevazione (bema), con funzioni di palco di discussione del Concilio, usato in seguito per le predicazioni.

Con questo, da un lato rimaneva valido il canone architettonico di basilica, derivato dall'edificio civile pubblico della basilica romana: la chiesa è la casa dell'assemblea, non la casa di Dio; perché il Signore si rende presente nel segno dell'assemblea radunata. Dall'altro lato si mutò sensibilmente il significato di chiesa: se in precedenza l'accento era posto sulla funzione spaziale di rappresentare il cammino verso la “fede” (ecco il senso del percorso lineare tra i colonnati, dall'ingresso fino all'altare), ora prevaleva una dimensione più complessa, articolata su diversi piani: vi si entrava per l'adunanza liturgica (l'essere plebs adunata in prospettiva cultuale), ai piedi innanzitutto dell'altare, ma in seconda battuta anche del pulpito, da cui il pastore impartiva l'istruzione e annunciava i misteri della fede (si pensi alle catechesi mistagogiche di Ambrogio, tenute ai neofiti nella settimana dopo Pasqua o alle diffuse predicazioni quaresimali).

Come d'uso, in fondo alla navata centrale, vi era un'abside semicircolare, ma a lato d'essa furono realizzate due cappelle a forma rettangolare, moltiplicando così i poli d'attrazione che tuttavia rimanevano subordinati all'unico catino absidale.

La romanizzazione del cristianesimo primitivo, rappresentato per certi versi in questa chiesa, introdusse con più forza il culto dei santi (con la rappresentazione statuaria). Se può sembrare che questo avvenga in analogia al culto pagano, si deve tuttavia osservare che di fatto il culto dei martiri venne contrapposto intenzionalmente al culto degli antichi eroi pagani. Fin dalle origini neotestamentarie la comunità cristiana, che nel suo culto liturgico si rivolgeva ad un unico Dio in tre persone (pregava il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito), aveva ammesso una speciale venerazione ai martiri, a coloro cioè che avevano "testimoniato" la fede in Cristo anche a costo della propria vita. Come nel mondo pagano, si usava compiere delle libagioni e recitare delle preghiere presso il loro sepolcro (o, se noto, nel luogo del martirio). Di qui, con il tempo, pur mantenendo intatta la centralità di cristologica in prospettiva della salvezza, la chiesa cristiana ammise alla venerazione – quali modelli di sequela Christi degni di imitazione – la Vergine Maria, gli apostoli, gli angeli, i santi e le sante, con le relative immagini di rappresentazione.

Parti visibili

Parte delle fondazioni di questa chiesa, sono visitabili nel sotterraneo del Sagrato del Duomo di Milano. La parte rimasta sotto la piazza Duomo, è campionata con reperti nelle vetrine della metropolitana, e nel museo del duomo. Nella visita sotto il Sagrato, si riconoscono le absidi romana e medioevale e si scorge accanto il battistero ottagonale di San Giovanni, del IV sec.

Questo battistero di S. Giovanni alle Fonti, fu costruito da Sant'Ambrogio nel 386, di fronte alla Basilica Vetus (e perciò lo vediamo accanto all'abside della Maior), per sostituire quello vecchio. In questo nuovo, S.Ambrogio battezzò S.Agostino il giorno di pasqua 387. Nel Museo del duomo, sono presenti pannelli didattici, disegni e reperti archeologici, che danno una dettagliata illustrazione storica, strutturale e delle ornamentazioni.

Lo stesso argomento in dettaglio: Battistero di San Giovanni alle Fonti.

Note

  1. ^ Fiorio
  2. ^ Pagina sul Sito ufficiale del Duomo
  3. ^ Fiorio
  4. ^ Lusuardi, pp.36-37
  5. ^ R.P.C. Hanson, The Search for the Christian Doctrine of God: The Arian Controversy, 318-381, (in inglese) Continuum International Publishing Group, 2005. ISBN 0-567-03092-X
  6. ^ Chiesa, pp. 86ss

Bibliografia

  • Paolo Chiesa, Le cronache medievali di Milano, collana Pubblicazioni dell'Università cattolica del Sacro Cuore, vol. 73, Vita e Pensiero, 2001, p. 202, ISBN 978-88-343-0667-3.
  • Maria Teresa Fiorio, Le chiese di Milano, Milano, 2006.
  • Silvia Siena Lusuardi, Il gruppo Cattedrale, collana La città e la sua memoria. Milano e la tradizione di Sant'Ambrogio, Milano, Electa, 1997.

Voci correlate

Altri progetti

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