Seconda battaglia di Taraori

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Seconda battaglia di Taraori
parte della Conquista mussulmana dell'India
L'ultima resistenza dei Rajput contro i mussulmani
Data1192
LuogoTaraori
EsitoVittoria ghuride
Modifiche territorialiAnnessione di Ajmir, Hansi e Sirsuti
Schieramenti
Effettivi
120.000 uomini, soprattutto cavalleriasconosciuti, ma meno dei Ghuridi
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La seconda battaglia di Taraori venne combattuta nel 1192 dai Ghuridi contro i Chahamana (Rajput) ed i loro alleati, vicino a Taraori, in India. Il sultano Ghurid Mu'izz al-Din Muhammad Ghori sconfisse il re Chahamana Prithiviraj Chauhan vendicando così la sua precedente sconfitta nella prima battaglia di Taraori.[1]

La battaglia riveste una particolare importanza poiché anche se l'Islam era stato introdotto in India già da diversi secoli, dopo questo scontro il subcontinente venne governato quasi esclusivamente dai mussulmani fino alla caduta della dinastia Moghul nel 1857.[1]

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Il primo contatto con l'Islam[modifica | modifica wikitesto]

L'India conobbe l'Islam già dai suoi albori, quando i primi commercianti mussulmani vi mettevano piede per accedere ai ricchi mercati di spezie. A partire dal 637, durante il califfato di Omar, vennero organizzate le prime spedizioni, di cui i fini erano perlopiù di razzia.[1]

Le prime conquiste[modifica | modifica wikitesto]

La prima vera e propria conquista mussulmana avvenne nel 712, ad opera di un esercito che, per ordine del governatore caldeo Al-Hajjaj e sotto la guida del suo cugino diciassettenne Mohammad ibn Kasim, conquistò la regione di Sind, sottomettendola. La colonia però, poco produttiva, venne presto dimenticata dai mussulmani, e restò isolata dal governo centrale.[2] Riscoperta alcuni secoli dopo, risultava ancora governata dalle gerarchie mussulmane, che però si erano completamente indianizzate, senza aver intrapreso alcun processo di conversione nel paese.[2]

Fu solo nel 1000 che nel subcontinente venne per la prima volta affermato un vero e proprio potere mussulmano, grazie all'opera del turco Mahmud di Ghazni detto lo "Sterminatore di idoli", per l'estrema crudeltà con cui distrusse ogni tempio indiano presentatosi sul suo cammino.[2] Questi, lanciò sedici invasioni, che nel corso di 26 anni lo portarono alla conquista di buona parte del nord-ovest dell'India. Le cronache di lui riferiscono:

«Grande soldato, uomo di immenso coraggio ed inesauribile energia mentale, Mahmud non fu uno statista costruttivo o lungimirante. Non sappiamo di leggi, istituzioni o metodi di governo scaturiti dalla sua iniziativa.»

I discendenti del grande conquistatore Mahmud di Ghazni spesero buona parte delle sue ricchezze in studi, cultura ed agiatezza, trascurando la preparazione militare.[2] Nel 1174, la fortezza di Ghor prese ad essere governata da due fratelli, Ghiyas-ad Din e Mu'izz-ad Din.[2] Quest'ultimo, nello stesso anno, conquistò anche la capitale di Mahmud, Ghazni, che all'epoca era una delle città più ricche della Terra, e prese ad essere chiamato Mohamad di Ghor.[2]

Mohamad di Ghor si distinse da subito per i suoi successi militari.[2] Nel 1182, riconquistò la regione di Sind, mentre nel 1185 catturò l'ultimo discendente di Mahmud, affidandogli il governo del Punjab.[2]

Antefatti[modifica | modifica wikitesto]

Prima battaglia di Taraori[modifica | modifica wikitesto]

Nell'inverno del 1190-1191 Mohamad di Ghor scese in India con l'intenzione di conquistare il maggior territorio possibile, iniziando dalla cittadella di Bhatinda, che capitolò lo stesso anno.[4] Mohamad vi stanziò come guarnigione 1200 cavalieri agli ordini di uno dei suoi migliori generali, Qazi Ziya-ud Din.[4]

Bhatinda era però entro i confini del Rajputana, cosa che indusse il suo re, Prithvaraja, a reagire immediatamente.[4] Nei pressi di Panipat, luogo che già vide molte importanti battaglie indiane, i due eserciti si scontrarono per la prima volta.[4] Non si conoscono gli effettivi di entrambi gli eserciti, ma si presuppone che i Ghuridi avessero meno truppe, forse peccando di presunzione.[4] Infatti, l'esercito dei Rajput si dimostrò estremamente preparato, molto più di ogni nemico prima affrontato da Mohamad. La battaglia si risolse in una disfatta, il fratello del re Prithvaraja, Govind Rai, colpito a morte, riuscì comunque a ferire gravemente Mohamad, causando la ritirata del suo esercito, che già aveva incominciato a sfaldarsi grazie alla tecnica d'accerchiamento messa a punto dagli indiani, che mise a dura prova gli arcieri a cavallo, grossa parte dell'esercito ghuride.[4] Gli indiani procedettero poi a riconquistare la cittadella di Bhatinda, che cadde dopo 13 mesi d'assedio.[4]

Forze in campo[modifica | modifica wikitesto]

Ghuridi[modifica | modifica wikitesto]

Mentre i discendenti di Mahmud per i loro eserciti fecero per lo più affidamento ai locali indù, Mohamad decise di affidarsi unicamente a truppe afghane e turche, per via del loro fervore religioso, necessario per combattere una Jihad.[2] Secondo alcune fonti, queste erano circa 12.000, ma ben più realisticamente si trattò di almeno 120.000 uomini.[1][4]

Rajput[modifica | modifica wikitesto]

I Rajput avevano sviluppato un sistema feudale simile a quello dell'Europa occidentale, che gli permise di organizzare eserciti formati da servi della terra e nobili ben armati, combattenti leali e ben disciplinati.[4] Il re Prithvaraja era inoltre un abile comandante.[4] Non si conoscono gli effettivi presenti allo scontro, ma le fonti sono concordi nello stabilire che si trovassero in inferiorità numerica.[1]

Battaglia[modifica | modifica wikitesto]

Lo scontro avvenne un anno dopo, nel 1192, nello stesso luogo che vide la prima battaglia, Panipat.[4] Mohamad fu attento a non permettere alle sue truppe di entrare in contatto con i Rajput, distribuendo le sue forze in cinque divisioni, di cui quattro attaccarono i fianchi del nemico e la sua retroguardia.[4] Gli venne inoltre ordinato che, in caso di contrattacco indiano, dovessero fingersi spaventati e battere in ritirata, in modo tale da incalzarli a lasciare le proprie posizioni.[5] Buona parte del giorno passò tuttavia senza che i Ghuridi fossero riusciti a rompere i ranghi Rajput.[5] Fu solo in serata che quest'ultimi caddero nella trappola di Mohamad, che, visto lo sfaldamento delle posizioni di Prithvaraja, diede l'ordine alla quinta divisione, composta da 12.000 arcieri a cavallo, che non aveva ancora partecipato allo scontro, di travolgere il nemico.[5] L'esercito indiano, colto di sorpresa, si sfaldò completamente.[5] Il re Prithvaraja abbandonò il suo elefante da guerra e scappò a cavallo, ma venne catturato a qualche chilometro dal luogo dello scontro, dove venne giustiziato.[5] Buona parte della classe dominante venne anch'essa trucidata nella battaglia, o subito dopo.[5]

Conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

«Questa vittoria portò all'annessione di Ajmir, Hansi e Sirsuti, a un massacro senza precedenti, alla totale distruzione di templi e idoli, e alla costruzione di moschee»

Gli effetti a lungo termine della battaglia sono visibili ancora oggi.[5] Negli anni successivi, gli eserciti di Mohamad di Ghor continuarono la conquista verso Oriente, dove si distinse l'ex-schiavo e generale Kutab-ad Din, che più tardi divenne il principale responsabile dell'espansione mussulmana in India, essendo nominato da Mohamad sultano di Delhi.[5] Fu però un altro generale, Mohammad Bakhtiyar, ad espandere i confini del sultanato fino al Bengala (nel 1202) completando la conquista dell'Indostan.[5] Nel 1193 i suoi eserciti occuparono il Bihar, centro del buddhismo in India, causando l'esodo dei buddhisti in Tibet e Nepal, da dove poi la religione si espanse in Asia centrale, Cina e Giappone.[5]

Dopo questa sconfitta in tutto il subcontinente indiano non ci furono più eserciti in grado di opporsi alle conquiste islamiche, i Rajput caddero nominalmente sotto il controllo mussulmano, anche se non si convertiranno mai all'Islam, costituendo sempre una spina nel fianco alla nuova classe dominante.[5]

Mohamad di Ghor non si accontentò delle conquiste conseguite, e, direttosi in Persia, tentò di sottometterla, risultando però sconfitto nel 1203, durante l'invasione del Khwarizm (l'attuale Khiva).[7] Ciò mise fine al potere della sua famiglia in Afghanistan, lasciando mano libera al sultano di Delhi Kutab-ad Din, che, nel 1206, proclamò la nascita della dinastia degli schiavi di Delhi, che governò fino al 1290, anno in cui le orde mongole si sostituirono al potere, dando vita alla dinastia Moghul, che governò fino al 1857, quando venne destituita dagli inglesi.[7]

Il lungo governo mussulmano, inaugurato con questa battaglia, e durato ben otto secoli, ha lasciato il paese diviso sotto il punto di vista religioso, trovatosi sotto un governo mussulmano, ma con buona parte dei burocrati e dei proprietari terrieri di fede indù. Con l'indipendenza indiana del 1948, l'antica ostilità costrinse la creazione di due entità indiane separate, l'India e il Pakistan.[7]

Analisi[modifica | modifica wikitesto]

Dei due invasori dell'India, Mahmud di Ghazni rimase il più famoso, data la creazione di una capitale tanto grandiosa, grazie al frutto delle numerose razzie, e insieme ai suoi eredi, divenne un grande protettore delle arti.[5] Fu tuttavia Mohamed di Ghor che pose delle reali basi per la conquista mussulmana dell'India, difatti, dopo il suo intervento, nessuno fu più in grado di opporsi alle conquiste delle armate islamiche.[5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e Paul K. Davis, Seconda battaglia di Taraori, in Le cento battaglie che hanno cambiato la storia, collana I volti della storia, Newton Compton Editori, maggio 2017, p. 178, ISBN 978-88-227-0456-6.
  2. ^ a b c d e f g h i Paul K. Davis, Seconda battaglia di Taraori, in Le cento battaglie che hanno cambiato la storia, collana I volti della storia, Newton Compton Editori, maggio 2017, p. 179, ISBN 978-88-227-0456-6.
  3. ^ (EN) Stanley Lane-Poole, Medieval India under Mohammad rule, Sagwan Press, 22 agosto 2015, p. 23, ISBN 1296996948.
  4. ^ a b c d e f g h i j k l Paul K. Davis, Seconda battaglia di Taraori, in Le cento battaglie che hanno cambiato la storia, collana I volti della storia, Newton Compton Editori, maggio 2017, p. 180, ISBN 978-88-227-0456-6.
  5. ^ a b c d e f g h i j k l m Paul K. Davis, Seconda battaglia di Taraori, in Le cento battaglie che hanno cambiato la storia, collana I volti della storia, Newton Compton Editori, maggio 2017, p. 181, ISBN 978-88-227-0456-6.
  6. ^ (EN) Stanley Lane-Poole, Medieval India under Mohammad rule, Sagwan Press, 22 agosto 2015, p. 37-38, ISBN 1296996948.
  7. ^ a b c Paul K. Davis, Seconda battaglia di Taraori, in Le cento battaglie che hanno cambiato la storia, collana I volti della storia, Newton Compton Editori, maggio 2017, p. 182, ISBN 978-88-227-0456-6.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) George Dunbar, A History of India from the Earliest Times to the Present Day, vol. 1, Nicholson & Watson, 1943.
  • (EN) Wolseley Heig (a cura di), The Cambridge History of India, vol. 3, S. Chand & Co, 1965.
  • (EN) H.C. Kar, Military History of India, Firma KLM, 1980.
  • (EN) M.S. Narvane, Battles of Medieval india, APH Publishing, 1996.
  • Paul K. Davis, Seconda battaglia di Taraori, in Le cento battaglie che hanno cambiato la storia, collana I volti della storia, Newton Compton Editori, maggio 2017, ISBN 978-88-227-0456-6.
  • (EN) Stanley Lane-Poole, Medieval India under Mohammad rule, Sagwan Press, 22 agosto 2015, ISBN 1296996948.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]