Storia della Sicilia austriaca

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Regno di Sicilia
Regno di Sicilia - Localizzazione
Regno di Sicilia - Localizzazione
Dati amministrativi
Nome ufficialeRegno di Sicilia
Lingue parlatelatino, siciliano, italiano
CapitalePalermo (de iure)
Vienna (de facto)
Politica
Forma di governomonarchia
Re di SiciliaCarlo III
Organi deliberativiParlamento del Regno di Sicilia, Sacro Regio Consiglio, Deputazione del Regno
Nascita1720
CausaTrattato dell'Aia
Fine1734
CausaTrattato di Vienna
Territorio e popolazione
Bacino geograficoSicilia
Economia
Valutatarì, piastra siciliana
Commerci conFrancia, Sacro Romano Impero, Spagna, Stati italiani preunitari.
Religione e società
Religioni preminenticattolicesimo
Religioni minoritarieebraismo
Evoluzione storica
Preceduto da Regno di Sicilia
(sotto Casa Savoia)
Succeduto da Regno di Sicilia
(sotto la dinastia borbonica)

La storia della Sicilia austriaca comprende l'arco temporale in cui la Sicilia fu parte dei domini della Casa d'Asburgo d'Austria. Tale periodo, durato circa quindici anni, ebbe inizio il 20 febbraio 1720, con il Trattato dell'Aia, che sancì il passaggio dell'isola da Vittorio Amedeo II a Carlo VI, e si concluse nel 1734, quando Carlo di Borbone la conquistò, restituendole la condizione di Stato indipendente.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La conquista dell'isola[modifica | modifica wikitesto]

Con il pretesto della ostilità del popolo siciliano ai Savoia, il 3 luglio 1718 era sbarcato in Sicilia, allora appunto da pochi anni appartenente ai duchi di Savoia, un esercito spagnolo che conquistò dapprima Palermo e poi occupò l'intera Sicilia. Fece eccezione la città di Messina, che dovette essere assediata fino a settembre. In agosto intanto l'imperatore Carlo VI d'Asburgo rinunciò in proposito ad eventuali pretese al trono spagnolo, acconsentì ad uno scambio fra la Sicilia (in mano ai Savoia) e la Sardegna, e alla creazione di una dinastia borbonica in Italia meridionale. Il 28 febbraio 1719, le truppe austriache, al comando del generale Claudio Florimondo di Mercy, sbarcarono sull'isola e assediarono Messina.

Il 28 maggio del 1719 sbarcò a Patti un esercito austriaco. Il Conte di Mercy prima di partire da Napoli aveva trasmesso al viceré, conte Annibale Maffei una lettera originale del duca Amedeo di Savoia che conteneva l’ordine di sostituire le truppe austriache alle rimanenti truppe sabaude. Il 20 giugno 1719 nelle vicinanze della città di Francavilla di Sicilia, si disputò la battaglia di Francavilla tra il Regno di Spagna e l'Impero austriaco durante la guerra della Quadruplice Alleanza, per la conquista del Regno di Sicilia. Il comandante delle truppe spagnole, il marchese di Lede, sconfisse gli austriaci ma diede loro l'opportunità di riprendersi. Il 20 febbraio 1720 fu siglato Trattato dell'Aia, il Marchese di Lede continuò a combattere, non avendo ricevuto comunicazioni in merito dalla Spagna[1]. Egli accettò di trattare l'evacuazione delle sue truppe solo nei mesi successivi, firmando i relativi articoli il 6 maggio 1720[2].

Il passaggio dell'isola agli austriaci provocò l'esodo di parte della nobiltà isolana verso il Piemonte e, in maggior numero, verso la Spagna di Filippo V; fin dall'inizio, i rapporti tra il nuovo re di Sicilia e l'aristocrazia locale non furono facili[3], anche perché il sovrano (avendo ottenuto il regno per diritto di conquista) non si riteneva più legato al mantenimento dei numerosi privilegi del regno, rispettati, invece, da tutti i regnanti precedenti a partire da re Pietro III di Aragona a cui l'isola si era volontariamente data[4].

I viceré[modifica | modifica wikitesto]

Ciò fu evidente dall'inizio con il rifiuto da parte del generale Mercy, giunto a Palermo prima del viceré designato Niccolò Pignatelli VIII duca di Monteleone, di ricevere gli ambasciatori del regno[5]. Comportamento ribadito in seguito dal fatto che il viceré accettò il giuramento di fedeltà del Regno di Sicilia, ma, a sua volta, non giurò, come da consuetudine, di rispettare i privilegi del regno. Alla fine, su suggerimento dell'arcivescovo di Valenza (componente del Consiglio di Spagna, che da Vienna amministrava l'isola), si giunse al compromesso per cui i privilegi del regno furono concessi «per nuova grazia» dall'imperatore, ma, comunque, con la condizione che il loro mantenimento fosse subordinato al comportamento che i siciliani avrebbero tenuto nei confronti del loro "nuovo" monarca[6].

Il nuovo viceré, già nominato dal 1718 e appartenente alla nobiltà parlamentare siciliana, era stato scelto con l'intento di attirare la simpatia dei componenti la sua classe sociale verso la Casa asburgica[7]. In breve, comunque, egli attirò su di sé molte critiche, per i favoritismi che faceva nei confronti dei congiunti o delle persone a lui vicine; inoltre, a differenza di quello che pensava la corte viennese, i suoi legami con la classe baronale isolana erano molto tenui. Nel corso del 1721 esplose un aspro conflitto tra il Monteleone e la nobiltà palermitana, cosa che portò, nell'anno successivo, alla rimozione del duca dal suo incarico[8].

Sigillo di Carlo VI del 1725: è presente lo stemma della Sicilia.

Il posteriore viceré, Joaquín Fernández Portocarrero marchese d'Almenara, giunto nello stesso anno, sarebbe rimasto in carica fino al 1728. Egli riuscì a riorganizzare l'apparato amministrativo dell'isola e si occupò dei vari problemi di ordine pubblico che affliggevano il regno (incursioni piratesche, corruzione dei pubblici ufficiali, protezione data dai baroni ad alcuni delinquenti, controllo degli schiavi, eccetera)[8]. Inoltre, dovette continuare l'azione diplomatica verso le élite siciliane volta ad assicurarne la fedeltà all'imperatore e, nello stesso tempo, assicurare protezione alle universitas, sia regie che baronali, verso i soprusi spesso compiuti dai nobili[9]. La sua opera, grazie anche al periodo di pace in cui operò, fu proficua.

Il 20 luglio 1728 giungeva a Messina il terzo viceré austriaco, si trattava di Cristoforo Fernández de Cordova conte di Sastago. Il nuovo viceré si trovò ad operare in un periodo molto travagliato e fu spesso accusato di parzialità; comunque, dopo il primo triennio di viceregno, fu riconfermato. In ogni caso, vi fu un'inchiesta che coinvolse pesantemente un collaboratore del viceré, Marco Quirós, segretario di Stato e Guerra in Sicilia, tramite il quale si voleva colpire, non del tutto a torto, il Sastago. Lo scoppio della guerra di successione polacca, comunque, non permise che l'inchiesta arrivasse ad un verdetto e il Sastago avvertiva, il 28 gennaio 1734, che se come richiesto da Vienna, egli doveva inviare due dei suoi quattro reggimenti a Napoli, la Sicilia sarebbe rimasta praticamente sguarnita ed egli si sarebbe dovuto ritirare da Palermo in una piazzaforte (la cui scelta ricadde su Siracusa), anche perché i siciliani avevano «un grande amore per i sovrani spagnoli», per via del lungo periodo in cui erano stati sottoposti al loro dominio[10]. In effetti, furono trovate varie prove di intrighi orditi dai baroni in favore dell'allora re di Spagna.

Il ritorno dei Borbone[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Sicilia borbonica.

Nel 1734 Carlo di Borbone, infante di Spagna, mosse alla conquista del Regno di Sicilia. Nell'isola, si combatté pochissimo e, visto che il mandato del Sastago era scaduto, si nominò un nuovo viceré nella persona del marchese José Rubí che, in conseguenza del fatto che i nemici dell'Austria controllavano completamente il mare intorno alla Sicilia, non riuscì a porre mai piede sull'isola. Il 25 settembre 1734, la guerra poteva dirsi conclusa e nello stesso giorno venivano scelti dalla Deputazione del regno gli uomini «da inviare a Napoli per presentare gli omaggi del regno al nuovo re Carlo III»[11].

Nel 1735, Carlo divenne sovrano di Sicilia e l'isola ritornò ad essere uno stato indipendente, ovvero, dopo molti secoli il Regno di Sicilia non era più alle dipendenze di nessun altro regno o impero (risaliva allo storico e quattrocentesco Compromesso di Caspe la fine dell'indipendenza siciliana). Sorte diversa tuttavia ebbe la sua corona: difatti, il nuovo re di Sicilia, nella persona del primo Borbone risiedente alla corte della città di Napoli, capitale dell'omonimo regno continentale, riceveva questo antico titolo alla condizione di mantenere in sua unione personale la corona del Regno di Sicilia insieme alla corona del Regno di Napoli; la presenza quindi dell'ennesimo viceré per i siciliani (poiché il Borbone fu fatto fin da subito risiedere fuori dall'isola) non intaccava comunque la riacquistata, se pur breve, indipendenza isolana.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Gallo, 1996, p. 33.
  2. ^ Gallo, 1996, p. 34.
  3. ^ Gallo, 1996, pp. 34-35.
  4. ^ Gallo, 1996, p. 35.
  5. ^ Gallo, 1996, p. 36.
  6. ^ Gallo, 1996, p. 38.
  7. ^ Gallo, 1996, p. 41.
  8. ^ a b Gallo, 1996, p. 45.
  9. ^ Gallo, 1996, pp. 53-54.
  10. ^ Gallo, 1996, p. 66.
  11. ^ Gallo, 1996, p. 70.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Paola Datodi, Nuove note sul Viceregno austriaco in Sicilia, in Studi meridionali, anno XII, n. 4, ottobre-dicembre 1979, pp. 311-333.
  • Francesca Gallo, L'alba dei gattopardi. La formazione della classe dirigente nella Sicilia austriaca (1719-1734), Catanzaro, Meridiana Libri, 1996, ISBN 88-86175-19-1.
  • Francesca Gallo, Sicilia austriaca. Le istruzioni ai viceré, 1719-1734, Napoli, Jovene, 1994, ISBN 88-243-1108-3.
  • Giovanni Gibilaro, Sicilia austriaca. 1720-1735, 1996.
  • Matteo Marino, La cacciata degli austriaci dalla Sicilia (1734-1735). Da documenti inediti, Palermo, Tip. Coop. Ed. Siciliana, 1920.
  • Raffaele Martini, La Sicilia sotto gli austriaci (1719-1734). Da documenti inediti, Palermo, Alberto Reber, 1907.
  • Vincenza Garofalo, Marco Rosario Nobile e Federica Scibilia (a cura di), Sicilia austriaca 1720-1734 (PDF), Palermo University Press, 2021, ISBN 978-88-5509-330-9.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]