Lingue sinitiche

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Lingue sinitiche
Parlato inAsia , in particolare Cina continentale
Tassonomia
FilogenesiLingue sinotibetane
 lingue sinitiche
Codici di classificazione
ISO 639-5zhx
Glottologsini1245 (EN)
Linguasphere79-AAA
Le lingue sinitiche in Cina

Le lingue sinitiche o lingue siniche (汉语族)[1] sono una famiglia linguistica appartenente al più esteso gruppo delle lingue sinotibetane[2][3]. Essa comprende tutte le varietà linguistiche del cinese, motivo per cui l'espressione è spesso sinonimo di lingue cinesi.

L'utilizzo di questa espressione esprime con maggior precisione il fatto che, dal punto di vista dell'analisi linguistica, le diverse varietà del cinese possono legittimamente essere intese come una famiglia di lingue a sé stanti, dotate di specifiche caratteristiche comuni che giustificano la loro appartenenza a un comune denominatore chiamato "lingua cinese"[4][5]. Si tratta di una interpretazione che si affianca alla concezione tradizionale (affermatasi per ragioni storiche, culturali e politiche) secondo cui le diverse parlate della Cina continentale sarebbero invece delle varianti dialettali di un'unica lingua cinese.

La lingua cinese come gruppo unico secondo Ethnologue 2020 conta 1,3 miliardi di parlanti, di cui 1,12 parla il cinese mandarino (cioè le varietà settentrionali).

Classificazione[modifica | modifica wikitesto]

Nella prima metà del novecento era comunemente accettata l'ipotesi che le lingue sinitiche costituissero una delle due branche primarie della famiglia delle lingue sinotibetane (l'altra branca essendo costituita dalle lingue tibeto-birmane), ma con il passare degli anni questa interpretazione è stata più volte messa in discussione. Differenti teorie collocano la famiglia delle lingue sinitiche in diverse posizioni nel diagramma filogenetico della famiglia sinotibetana.

Una questione tuttora aperta e controversa è se la lingua Bai faccia parte o meno del gruppo delle lingue sinitiche[6]. Con l'eccezione della lingua Bai pertanto, l'uso del termine "sinitico" è da considerarsi equivalente a quello di "cinese".

Schema delle lingue sinitiche[modifica | modifica wikitesto]

Assumendo che il bai sia sinitico, esso si discostò approssimativamente al tempo del cinese antico, forse prima. Al tempo del cinese medio, anche le lingue min (cioè il gruppo dell'hokkien) si erano divise.[7] Le lingue riconducibili al cinese medio includono il mandarino, il wu, l'hakka e lo yue (cioè il cantonese). Via via che si fanno altre ricerche comparative, si trova che ulteriori "dialetti" sono mutuamente inintelligibili rispetto alla loro lingua madre; gli ultimi ad essere distinti come lingue furono lo huizhou, il jin, il pinghua e il qiongwen, anche se le rimanenti varietà wu e yue non sono tutte mutuamente intelligibili, o hanno un'intelligibilità molto limitata. Alcune varietà all'interno del cinese rimangono non classificate.

Sinitico 
Cinese antico
 Min 

Lingue minbei

Mindong

Minzhong

Puxian

Lingue minnan

Cinese medio

Lingue guan

Lingue wu

Lingue gan

Xiang

Lingue yue

? Lingua bai

Cinese non classificato
Escludendo quelle esclusive di minoranze etniche, le principali varietà non classificate del cinese sono:

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ "Sinitico" o "sinico" significa "relativo alla Cina" o ai Cinesi. Deriva dalla parola greco-latina Sīnai, "i Cinesi", probabilmente dall'arabo Sīn, "Cina". (Oxfor English Dictionary)
  2. ^ Anatole Lyovin (1997), An Introduction to the Languages of the World, Oxford University Press
  3. ^ George van Driem (2001), Languages of the Himalayas: An Ethnolinguistic Handbook of the Greater Himalayan Region. Brill. pp. 329 ff.
  4. ^ N. J. Enfield (2003), p. 69, Linguistics Epidemiology, Routledge.
  5. ^ Vedi anche, ad esempio, W. Hannas (1997), Asia's Orthographic Dilemma, University of Hawaii Press.
  6. ^ Van Driem (2001), p. 380: "Il ba'i ... potrebbe formare un costituente del sinitico, benché uno pesantemente influenzato dal lolo-burmese."
  7. ^ Mei Tsu-lin (1970), "Tones and Prosody in Middle Chinese and The Origin of The Rising Tone", Harvard Journal of Asiatic Studies n. 30, pp. 86–110