I sette fratelli Cervi

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I sette fratelli Cervi
Paese di produzioneItalia
Anno1968
Durata105 min
Generedrammatico, bellico
RegiaGianni Puccini
SoggettoGianni Puccini e Bruno Baratti
SceneggiaturaGianni Puccini, Bruno Baratti e Cesare Zavattini
ProduttoreRoberto Moretti
Casa di produzioneCentro Film
Distribuzione in italianoC.I.D.I.F.
FotografiaMario Montuori
MontaggioAmedeo Giomini e Romano Giomini
MusicheCarlo Rustichelli (dirette da Bruno Nicolai)
CostumiGabriella Pescucci
Interpreti e personaggi

I sette fratelli Cervi è un film del 1968, diretto da Gianni Puccini e ispirato a un fatto realmente accaduto della Resistenza italiana, concernente i fratelli Cervi.

Il regista Gianni Puccini morì pochi mesi dopo la fine delle riprese.

Il film fu a lungo boicottato dalla censura preventiva[1].

L'aiuto regista del film era Gianni Amelio, qui alla terza collaborazione con Gianni Puccini.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Una scena del film

Emilia-Romagna, 1943, durante la seconda guerra mondiale i sette fratelli Cervi, Agostino, Aldo, Antenore, Ettore, Ferdinando, Gelindo e Ovidio, contadini di Campegine, in provincia di Reggio Emilia, di estrazione cattolica e fortemente antifascisti, formarono, insieme al padre Alcide, la cosiddetta "Banda Cervi", che compì azioni di guerriglia contro i fascisti e contro i tedeschi.

Catturati dopo che il loro casale fu circondato da numerose forze nemiche furono imprigionati a Reggio Emilia e, il mattino del 28 dicembre 1943, tutti fucilati al poligono di tiro della città dai fascisti per rappresaglia, insieme ad un compagno di prigionia.

Critica[modifica | modifica wikitesto]

«C'era tutto. C'era un grande tema popolare. C'erano, a farlo, uomini che possedevano spirito per capirlo e bravura per realizzarlo [...]. Allora, cosa manca? [...] Manca l'afflato, quel qualcosa di indefinibile, di inafferrabile che nell'opera di cinema [...] arriva non si sa da dove all'ultimo momento, e per cui tutti i doni dell'intuizione creativa cadono contemporaneamente nell'opera viva [...]. Si direbbe che nel trasferimento in immagine tutto si sia contemporaneamente generalizzato e dissecato. [...] Forse, non so, Puccini ha avuto paura dell'enfasi epica, della retorica.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

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