Giacinto Albini

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Versione del 28 gen 2011 alle 23:40 di No2 (discussione | contributi) (Fix link)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Giacinto Albini

Giacinto Albini (Napoli, 24 marzo 1821Potenza, 11 marzo 1884) è stato un patriota e politico italiano. Figura rilevante del Risorgimento, visse tanti anni in clandestinità per la sua opposizione al regno borbonico, divulgando in diverse aree del meridione ideali mazziniani e fu l'artefice della cosiddetta Insurrezione Lucana del 1860, che permise a Garibaldi e i suoi Mille di giungere in Campania senza grandi difficoltà. È altresì noto come il Mazzini lucano, appellativo datogli da Francesco Crispi.[1] Lo stesso Mazzini lo chiamava fratello nella Patria.[2]

Biografia

Giovinezza

Primogenito di Don Gaetano Albini, dottore fisico e cerusico di Montemurro, e Elisabetta Mirgigno di Napoli, l'Albini discendeva da una famiglia sarconese, trasferitasi a Montemurro nel 1521 a seguito del matrimonio di Nicola Albini con Aurelia D'Elia, appartenente alla nobiltà baronale montemurrese; nacque a Napoli, ove la madre si era recata a partorire. Dopo essersi laureato in legge nel 1843 all'Università di Napoli, nel 1845 conseguì una seconda laurea in lettere. Indeciso sul proprio futuro (non esercitò mai la professione di avvocato), alternò i suoi interessi tra la poesia e l'insegnamento, pubblicando un libro di versi dal titolo Ore poetiche e una grammatica latina.

Adesione ai moti mazziniani

Tornato in Basilicata, nel 1848 si fece promotore e fondatore di un Circolo Costituzionale a Montemurro, che si prefiggeva, come gli altri circoli sparsi nel regno, la concessione di una costituzione al Regno delle Due Sicilie. A seguito della concessione della stessa e dell'altrettanto celere abrogazione, decise di contrapporsi ai monarchi Borboni, e, appassionatosi alle idee di Giuseppe Mazzini e al sogno dell'Unità d'Italia, nel 1850 fondò, sempre a Montemurro, un comitato antiborbonico di stampo repubblicano. Per diffondere le idee liberali, il comitato di Albini si servì dei commercianti montemurresi i quali, commerciando in tutto il Regno di Napoli, poterono annoverare tra le proprie esportazioni anche le idee mazziniane.

L'insurrezione lucana

Lo stesso argomento in dettaglio: Insurrezione lucana (1860).

Dopo aver passato l'anno 1856 in giro per la Basilicata, Puglia, la Calabria, il Salernitano e il Cilento a ordinare le fila dell'Associazione Unità d'Italia, Albini fu perseguitato dalla polizia borbonica come pericoloso rivoluzionario. Sebbene condannato per ben tre volte, rispettivamente dalle corti criminali di Napoli, Potenza e Catanzaro, il montemurrese riuscì sempre a evitare la cattura, rimanendo nascosto in Basilicata. Dopo aver disapprovato e sconsigliato la spedizione di Sapri, nel 1857 Montemurro fu poi individuata quale centro d'azione della Basilicata dalle guardie borboniche, e l'Albini dovette trasferire la sede del comitato nella masseria "dei Marra" in località Morroni, sempre nel territorio di Montemurro, poiché il paese fu completamente raso al suolo dal terremoto del 1857. Lo stesso Giacinto Albini miracolosamente sopravvisse, dopo essere rimasto sepolto dalle macerie di una casa per oltre 24 ore.

La caccia senza quartiere dei Borboni contro i rivoluzionari costrinse Albini a trasferirsi ancora, questa volta a Corleto Perticara. Ma nel 1860, dopo dodici anni di aspirazioni e cospirazioni, prima nella stessa Corleto (il 16 agosto), poi a Potenza (il 18 agosto), i rivoluzionari lucani con Giacinto Albini furono fautori della insurrezione della Basilicata contro i Borbone, e questa fu la prima regione meridionale continentale a proclamare l'Unità d'Italia. Giuseppe Garibaldi nominò pertanto il patriota montemurrese "Prodittatore e Governatore della provincia di Basilicata" con poteri illimitati nel loro incontro ad Auletta, avvenuto il 5 settembre 1860.

Il periodo post-unitario e la morte

Cessate le funzioni di Governatore ebbe un incarico secondario, alla fine del quale si ritirò a vita privata, dimenticato dal governo del neonato Regno d'Italia. Solo in seguito a vive pressioni il governo si decise a concedergli incarichi di prestigio, nominandolo Tesoriere generale della provincia di Benevento e successivamente Conservatore delle Ipoteche di Basilicata. Eletto deputato nel 1861 alle prime elezioni del Parlamento Italiano (elezione annullata in considerazione del suo ufficio retribuito), vice sindaco di Napoli nel 1867, fu consigliere comunale di Benevento nel 1868 e infine, dal 1876 al 1878, sindaco di Montemurro.

Morì a Potenza l'11 marzo 1884. Dopo la sua morte, Roma volle ricordarlo con un busto al Pincio, ponendo un suo busto di marmo vicino a quello di altri patrioti, che come lui dedicarono la loro vita all'Italia.

Note

  1. ^ Gino Doria, Le strade di Napoli: saggio di toponomastica storica, Ricciardi, Napoli, 1979, p. 213.
  2. ^ Saverio Cilibrizzi, Il pensiero, l'azione e il martirio della città di Napoli nel Risorgimento italiano e nelle due guerre mondiali, Conte Editore, Napoli, 1961, p. 76.

Bibliografia

  • Tommaso Pedio, Dizionario dei patrioti lucani: artefici e oppositori (1700-1870), Bari, Grafica Bigiemme, 1969-1990.
  • Lorenzo Predome, La Basilicata (Lucania), Bari, Dedalo Litostampa, 1964.
  • Enrico Schiavone, Montemurro, notizie storiche, Società di Cultura per la Lucania, Napoli, 1966.
  • Enrico Schiavone, Montemurro perla dell'Alta Val d'Agri, Comune di Montemurro, 1990.
  • Antonio Sanchirico, Pasquale Lotito, Montemurro, il tempo e la memoria, Rocco Curto editore, 1994.
  • Giacomo Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma, Loescher, 1889.
  • Giacomo Racioppi, Storia dei moti di Basilicata e delle provincie contermini nel 1860, Napoli, 1867.

Voci correlate

Collegamenti esterni