Esagila

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Esagila
Planimetria dell'area sacra di Babilonia: ziqqurat Etemenanki in alto; tempio Esagila in basso
StatoBandiera dell'Iraq Iraq
GovernatoratoAntica Mesopotamia
LocalitàBabilonia
Coordinate32°32′02″N 44°25′16.99″E / 32.533889°N 44.421386°E32.533889; 44.421386
ReligioneReligione babilonese
TitolareMarduk
ConsacrazioneXVIII secolo a.C.
SconsacrazioneIII secolo d.C.
Stile architettonicoBabilonese

L'Esagila (lingua sumerica 𒂍𒊕𒅍𒆷, é-sag-gil-la; lett. "casa", é, nel significato di 'casa' del dio, quindi di 'tempio'; "la cui testa", sag, 'testa', qui inteso come 'pinnacolo'; "è posta in alto", il-la, 'elevata') è il nome sumerico del tempio del dio Marduk, poliade di Babilonia (in accadico Bābilāni, da Bāb-ili; che rende il sumerico KA.DIN.GIR.RA, col significato di "Porta del Dio"[1], la città amorrea fondata nel XIX secolo a.C.) e re degli dèi nella religione babilonese. Presso l'Esagila era collocata la statua di Marduk, il più importante simulacro cittadino del dio.

Insieme alla vicina Etemenanki, lo ziqqurat cittadino ubicato poco più a nord del tempio, costituiva il centro religioso principale della città e di tutta l'area circostante.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Non si conoscono esattamente le origini di quest'importante tempio babilonese, dedicato alla divinità poliade di Babilonia, Marduk, e sede del suo più importante simulacro, la c.d. "statua di Marduk". Fu probabilmente eretto durante il regno paleo-babilonese di Hammurapi (1792-1750) anche se la sua esistenza può forse essere retrocessa al regno del suo predecessore Sabium (1844-1831 a.C.) Già il Cassita Agum II (regno 1592-1565 a.C.) ne operò un restauro all'atto di ricollocarvi la statua di Marduk, recuperata dai razziatori ittiti che l'avevano rubata durante il loro sacco di Babilonia. Un altro restauro è attestato al re assiro Salmanassar II (regno 1031-1019 a.C.) che aveva conquistato la città.

I dati cronologici relativi all'Esagila s'infittiscono durante il periodo c.d. "Neo-assiro". Il tempio viene prima ristrutturato dal Caldeo Marduk-apla-iddina II (regno 722-710 a.C.), rivale dei Sargonidi d'Assiria, e poi raso al suolo dall'assiro Sennacherib (regno 705-681 a.C.) quando conquistò Babilonia nel 689 a.C.[2]. Il tempio fu poi ricostruito dal figlio di Sennacherib, Esarhaddon (regno 680-669 a.C.) ed abbellito dal nipote Assurbanipal (regno 669-631 a.C.). Lo zenit strutturale della Esagila fu opera degli sovrani dell'Impero neo-babilonese che stroncò la potenza assira: Nabopolassar (regno 625-604) e, soprattutto, suo figlio Nabucodonosor II (regno 604-562 a.C.) che ampliò e ristrutturò sia l'Esagila sia la Etemenanki come testimoniato dai numerosi mattoni votivi a lui dedicati trovati presso entrambi gli edifici.

Secondo Erodoto, il re persiano Serse lo sconsacrò dopo aver messo a sacco la città nel 482 a.C. Alessandro Magno ne ordinò la ricostruzione e l'Esagila continuò a essere mantenuto per tutto il periodo ellenestico. Cadde in rovina con l'abbandono graduale di Babilonia sotto l'impero dei Parti nel I secolo a.C. e smise la sua funzione nel III secolo d.C.

L'Esagila fu riscoperta da Robert Koldewey nel 1900 insieme al resto dell'antica Babilonia ma non fu oggetto di studi analitici prima del 1910.

Il mito[modifica | modifica wikitesto]

La costruzione della Esaglia è oggetto di specifici riferimenti all'interno della mitologia babilonese. Nella fattispecie, il mito babilonese della creazione, la Enūma eliš, ricorda che fu Marduk stesso a costruire prima Babilonia e poi la Esaglia[3]. Il tempio, posto al centro della città che a sua volta era concepita come centro del mondo, era quindi il punto cardine del creato secondo i babilonesi.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Pianta del tempio babilonese dell'Esagila:
1. Avancorte.
2. Le quattro porte, quella posta a Nord, in alto, apriva sulla Etemenanki (la ziqqurat di Babilonia) e veniva probabilmente utilizzata per la processione dell'Akitū, la festa religiosa del Capodanno babilonese.
3. Cella del dio Marduk (indicata come Etuša, "Casa dell'abitazione", o anche Eumuša, "Casa del comando").
4. Cella del dio Ea.

Sotto, a sinistra il segno cuneiforme che indica la "casa" in questo contesto la "casa del dio" quindi il "tempio" (la sua resa in sumerico è É (e2), in accadico: bītu, con la variante assira in bētu), a destra un alzato ipotetito del complesso templare di Babilonia con l'Etemenanki (sx) e l'Esagila (dx).
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Nel momento del suo massimo splendore, l'area del santuario era di 170x110 m con una pianta comunque irregolare.

Così il greco Erodoto narra lo stato del tempio di Marduk nel V secolo a.C.:

(GRC)

«ἔστι δὲ τοῦ ἐν Βαβυλῶνι ἱροῦ καὶ ἄλλος κάτω νηός, ἔνθα ἄγαλμα μέγα τοῦ Διὸς ἔνι κατήμενον χρύσεον, καὶ οἱ τράπεζα μεγάλη παρακέεται χρυσέη, καὶ τὸ βάθρον οἱ καὶ ὁ θρόνος χρύσεος ἐστί: καὶ ὡς ἔλεγον οἱ Χαλδαῖοι, ταλάντων ὀκτακοσίων χρυσίου πεποίηται ταῦτα.ἔξω δὲ τοῦ νηοῦ βωμός ἐστι χρύσεος, ἔστι δὲ καὶ ἄλλος βωμὸς μέγας, ἐπ᾽ οὗ θύεται τὰ τέλεα τῶν προβάτων: ἐπὶ γὰρ τοῦ χρυσέου βωμοῦ οὐκ ἔξεστι θύειν ὅτι μὴ γαλαθηνὰ μούνᾳ, ἐπὶ δὲ τοῦ μέζονος βωμοῦ καὶ καταγίζουσι λιβανωτοῦ χίλια τάλαντα ἔτεος ἑκάστου οἱ Χαλδαῖοι τότε ἐπεὰν τὴν ὁρτὴν ἄγωσι τῷ θεῷ τούτῳ. ἦν δὲ ἐν τῷ τεμένεϊ τούτῳ ἔτι τὸν χρόνον ἐκεῖνον καὶ ἀνδριὰς δυώδεκα πηχέων χρύσεος στερεός: ἐγὼ μέν μιν οὐκ εἶδον, τὰ δὲ λέγεται ὑπὸ Χαλδαίων, ταῦτα λέγω. τούτῳ τῷ ἀνδριάντι Δαρεῖος μὲν ὁ Ὑστάσπεος ἐπιβουλεύσας οὐκ ἐτόλμησε λαβεῖν, Ξέρξης δὲ ὁ Δαρείου ἔλαβε καὶ τὸν ἱρέα ἀπέκτεινε ἀπαγορεύοντα μὴ κινέειν τὸν ἀνδριάντα. τὸ μὲν δὴ ἱρὸν τοῦτο οὕτω κεκόσμηται, ἔστι δὲ καὶ ἴδια ἀναθήματα πολλά.»

(IT)

«Nel grande santuario di Babilonia, in basso, si trova un altro tempio, in cui sono collocate una grande statua di Zeus assiso, in oro, e accanto una grande tavola d'oro; e d'oro sono altresì il basamento e il trono. A sentire i Caldei per la loro fabbricazione sarebbero stati impiegati 800 talenti d'oro[4]. All'esterno di questo tempio c'è un altare d'oro: e c'è anche un secondo altare, grande, sul quale vengono offerte in sacrificio le vittime adulte: infatti sull'altare d'oro è consentito sacrificare esclusivamente animali da latte; sempre sull'altare più grande i Caldei bruciano ogni anno mille talenti d'incenso[5], quando celebrano la festa del dio. Nell'area del santuario a quell'epoca si trovava anche una statua d'oro massiccio alta dodici cubiti[6]; io personalmente non l'ho vista, riferisco quanto affermano i Caldei. Dario figlio di Istaspe che pure l'avrebbe voluta, non si sentì di portarsi via questa statua: fu suo figlio Serse ad asportarla, arrivando a uccidere il sacerdote che cercava di proibirgliene la rimozione. E questo è l'arredamento del santuario; dentro poi vi sono anche molte offerte di privati.»

La "Tavola dell'Esagila"[modifica | modifica wikitesto]

I dati della c.d. "tavoletta dell'Esagila"[7], copiata da testi più antichi nel 229 a.C., descrive Esagila nelle righe 1–15 prima di passare alla ziqqurat Etemenanki, hanno aiutato la ricostruzione del tempio. La tavoletta, descritta da George Smith nel 1872, scomparve per qualche tempo in mani private prima di riemergere e di cominciare ad essere interpretata.[8]

La tavoletta Esagila contiene metodi di calcolo babilonesi considerati sacri poiché si legge sul retro "lascia che l'iniziato mostri l'iniziato, il non iniziato non deve vederlo". Sulla parte anteriore, la tavoletta spiega la storia e l'ingegneria del Etemenanki, la "Torre di Babele" della Bibbia.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Perché da lì gli dèi scendevano sulla terra - Mircea Eliade, Il mito dell'eterno ritorno, Roma, Borla, 1999, p. 23.
  2. ^ Ho raso al suolo i mattoni e la terra battuta [...] dei templi e dello ziggurat - rif. dal Prisma di Sennacherib, ed. in (EN) Luckenbill DD, The Annals of Sennacherib, University of Chicago Press, 1924, OCLC 506728.
  3. ^ Enūma eliš, tav. VI, vv. 45-120.
  4. ^ Pari a circa 28.000 kg.
  5. ^ Circa 36.000 kg.
  6. ^ Circa 5,23 m.
  7. ^ Schmid H (1955), Der Tempelturm Etemenanki in Babylon, la chiama la "Tavola di Anubelshunu".
  8. ^ George AR (1992), Babylonian Topographical Texts, Louvain, p. 418.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

Studi[modifica | modifica wikitesto]

  • Liverani M, Antico Oriente, Roma-Bari, Laterza, 1988.
  • Pinnock F, Lineamenti di storia dell'arte e archeologia del Vicino Oriente antico, Parma, 2004.
  • Seminara S, Immortalità dei simboli, Milano, Bompiani, 2006.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]