Discorso di Hailé Selassié alle Nazioni Unite (1963)

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Haile Selassie I nel 1963

Il 4 ottobre 1963 l’Imperatore d'Etiopia Hailé Selassié si presentò davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per relazionare circa gli obiettivi e i principi dell'Organizzazione dell'unità africana recentemente costituita e di cui era stato nominato Presidente.

Il Capo dello Stato etiope tenne un celebre discorso per esortare i rappresentanti degli Stati aderenti all’ONU ad abbandonare le armi nucleari, a porre fine allo sfruttamento internazionale (soprattutto in Africa) e a reagire contro l'ineguaglianza razziale e l'ingiustizia internazionale.[1]. Il discorso suscitò enormi consensi ed è stato preso a manifesto ideologico della religione del rastafarianesimo[2].

Contenuti del discorso[modifica | modifica wikitesto]

Hailé Selassié in uniforme di marina

Hailé Selassié inizia il discorso facendo riferimento al suo precedente intervento alla Società delle Nazioni del 1936. In tale occasione, protestando contro l’aggressione dell’Italia fascista al suo paese, l’imperatore richiese il rispetto di tutti i membri dell’organizzazione alle clausole statutarie della stessa. Così come quasi trent’anni prima, secondo Hailé Selassié, gli alti principi espressi nella Carta delle Nazioni Unite non avrebbero alcun valore se manca la volontà di farli rispettare.

«Oggi, mi trovo di fronte all’Organizzazione mondiale che è subentrata al compito abbandonato dal suo screditato predecessore. In questo organismo è gelosamente custodito il principio della Sicurezza Collettiva al quale mi appellai senza successo a Ginevra. Ivi, in questa Assemblea, giace la migliore speranza – forse l’ultima – per la pacifica sopravvivenza dell’umanità. Nel 1936, dichiarai che non era l’Alleanza della Società ad essere in gioco, ma la moralità internazionale. Gli impegni, dissi allora, hanno scarso valore se la volontà di adempierli viene meno. La Carta delle Nazioni Unite esprime le più nobili aspirazioni dell’Uomo: l’abiura della forza nella risoluzione delle dispute tra Stati; la garanzia dei diritti umani e delle libertà fondamentali a tutti senza distinzione concernente la razza, il genere, la lingua o la religione; la salvaguardia della pace e della sicurezza internazionali. Ma anche queste, come lo erano le frasi dell’Alleanza, sono solo parole; il loro valore dipende interamente dalla nostra volontà di osservarle ed onorarle e conferire loro contenuto e significato[1]

L’oratore prosegue esprimendo l’opinione che la salvezza dell’uomo comporti la subordinazione degli interessi nazionali a quelli generali dell’umanità. Per questo è indispensabile che affidino la propria sicurezza a una più ampia entità quale l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

«È questo, ad ogni modo, l’ultimatum presentatoci: assicurare le condizioni tramite le quali gli uomini potranno affidare la propria sicurezza ad una più ampia entità, oppure rischiare l’annientamento; persuadere gli uomini che la loro salvezza giace nella subordinazione degli interessi nazionali e locali agli interessi dell’umanità, o compromettere il futuro dell’uomo. Tali sono gli obiettivi, inottenibili ieri, essenziali oggi, per conseguire i quali dobbiamo batterci. Finché ciò non sia avvenuto, il futuro dell’umanità rimane a rischio e la pace permanente materia di speculazione[1]

Secondo Hailé Selassié, quindi, l’imperativo del tempo attuale è il disarmo, in particolare l’eliminazione delle testate nucleari.

«Vorrei, quest’oggi, menzionare brevemente due particolari questioni che sono di profondo interesse per tutti gli uomini: il disarmo e la reale eguaglianza tra gli uomini. Il disarmo è divenuto l’urgente imperativo del nostro tempo; non dico questo perché io identifichi l’assenza di armamenti con la pace, o perché ritenga che il porre un termine alla corsa alle armi nucleari garantisca automaticamente la pace, o perché l’eliminazione delle testate nucleari dagli arsenali del mondo possa portare come conseguenza quel cambiamento di attitudine indispensabile alla pacifica risoluzione delle dispute tra nazioni. Il disarmo è oggi vitale, piuttosto semplicemente, a motivo dell’immensa capacità distruttiva di cui l’uomo dispone[1]

La seconda questione che l’oratore pone all’attenzione dei presenti è quella dell’uguaglianza tra gli uomini, antitesi di quello sfruttamento subito nei secoli dall’Africa e dall’Asia. Dovere dell’ONU è quello di garantire che lo sfruttamento non si rincarni in forme differenti.

«L’obiettivo dell’uguaglianza dell’uomo che noi ricerchiamo è l’antitesi dello sfruttamento di un popolo da parte di un altro, a proposito del quale le pagine della storia, ed in particolare quelle scritte riguardo ai continenti Africano ed Asiatico parlano lungamente. Lo sfruttamento, comunque lo si guardi, ha molti volti. Ma qualsiasi aspetto esso assuma, questo male va rigettato dove non è presente e schiacciato dove lo è. È un sacro dovere dell’Organizzazione quello di assicurare che il sogno di eguaglianza tra gli uomini venga finalmente realizzato per tutti i coloro ai quali esso è ancora negato, di garantire che lo sfruttamento non si reincarni in forme differenti nei luoghi da cui esso è già stato bandito[1]

A questo punto l’oratore prosegue facendo riferimento alla conferenza di fondazione dell'Organizzazione dell'unità africana. Hailé Selassié rappresenta la contrarietà dell’OUA ad ogni forma di discriminazione razziale. Sono i passaggi più suggestivi e moralmente più alti dell’intero discorso. Deplora inoltre il regime coloniale portoghese in Angola e in Mozambico, nonché l’apartheid del Sudafrica, ritenendo che, sino al giorno in cui tali regimi non saranno eliminati, il continente africano non conoscerà la pace.

«Lo scorso maggio, ad Addis Abeba, ho convocato un incontro tra Capi di Stato e governi Africani. In tre giorni, le trentadue nazioni rappresentate in quella Conferenza hanno dimostrato al mondo che quando la volontà e la determinazione esistono, nazioni e popoli di differenti retroterra possono lavorare assieme e lo faranno, in unità, per il conseguimento di obiettivi comuni e la garanzia di quell’uguaglianza e fratellanza che desideriamo. Riguardo alla questione della discriminazione razziale, la Conferenza di Addis Abeba ha insegnato, a coloro che vorranno apprenderla, questa ulteriore lezione: che fino a quando la filosofia che ritiene una razza superiore ed un’altra inferiore non sarà definitivamente e permanentemente screditata ed abbandonata; fino a che non cesseranno di esistere in ogni nazione cittadini di prima e seconda classe; fino a che il colore della pelle di un uomo non diventerà di significato non maggiore di quello dei suoi occhi; fino a che i diritti umani basilari non saranno egualmente garantiti a tutti indifferentemente dalla razza; fino a quel giorno, il sogno di una pace duratura e di una cittadinanza mondiale ed il dominio della moralità internazionale rimarranno non più di una fuggevole illusione, da perseguire, ma senza mai raggiungerla. E fino a che gli ignobili ed infelici regimi che stringono i nostri fratelli in Angola, in Mozambico e in Sud Africa in una schiavitù sub-umana non saranno stati rovesciati e distrutti; fino a che il bigottismo e il pregiudizio ed un egoismo maligno ed inumano non saranno stati rimpiazzati dalla comprensione e dalla buona volontà; fino a che tutti gli africani non saranno liberi e parleranno da persone libere, uguali agli occhi di tutti gli uomini, come lo sono agli occhi del Cielo; fino a quel giorno, il continente africano non conoscerà la pace[1]

L’Imperatore ripropone il concetto dell’importanza dell’autorità dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, affinché, in esecuzione dei suoi principi statutari vengano protette le nazioni piccole e deboli quando sono minacciate da quelle forti e potenti. Ribadisce che in base al principio di uguaglianza tutte le nazioni debbono essere paritariamente ammesse in assemblea. Il principio di uguaglianza contenuto nello statuto ONU, peraltro, è “tarato” dal “diritto di veto” in capo ai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, cioè delle cinque nazioni più potenti. A ciò Hailé Selassié non fa alcun cenno.

«Chiedo, quest’oggi, l’adesione a tali misure da parte di ogni Nazione qui rappresentata che sia realmente devota ai principi enunciati dallo Statuto. [...] Questa Organizzazione possiede oggi l’autorità e la volontà di agire? E se non la possiede, siamo preparati a rivestirla del potere di creare e rafforzare la legislazione? O il suo Statuto è una mera collezione di parole, senza contenuto e sostanza, dal momento che lo spirito essenziale manca? [...] Le Nazioni Unite vanno rafforzate. Se noi dobbiamo sopravvivere, questa Organizzazione deve sopravvivere. Per sopravvivere, essa deve essere rafforzata. Il suo esecutivo dovrebbe essere rivestito di grande autorità. I mezzi per fortificare le sue decisioni devono essere rafforzati e, se non esistono, devono essere concepiti. Devono essere istituite procedure per proteggere le nazioni piccole e deboli quando siano minacciate da quelle forti e potenti. Tutte le nazioni che soddisfano le condizioni di appartenenza dovrebbero essere ammesse e si dovrebbe consentire loro di sedere in questa assemblea. L’eguaglianza di rappresentanza dovrebbe essere assicurata in ognuno dei propri organi. Le possibilità che esistono nelle Nazioni Unite di provvedere al mezzo attraverso il quale gli affamati siano sfamati[1]

Hailé Selassié, infine, conclude con un’esortazione di carattere religioso ed è la parte presa maggiormente a riferimento ideologico dal rastafarianesimo.

«Dobbiamo guardare, innanzitutto, a Dio Onnipotente, il quale ha innalzato l’uomo al di sopra degli animali e lo ha dotato di intelligenza e ragione. Dobbiamo riporre la nostra fede in Lui, che non ci abbandonerà né ci permetterà di distruggere l’umanità che ha creato a Sua immagine. Dobbiamo guardare dentro noi stessi, nel profondo delle nostre anime. Dobbiamo divenire qualcosa che non siamo mai stati ed alla quale la nostra educazione ed esperienza ed ambiente non ci hanno adeguatamente preparato. Dobbiamo diventare più grandi di quanto non siamo stati, più coraggiosi, più elevati in spirito, di più ampie vedute. Dobbiamo diventare membri di una nuova razza, superando l’insignificante pregiudizio, offrendo il nostro supremo appoggio non alle Nazioni, ma ai nostri fratelli all’interno della Comunità Umana[1]

Reazioni e conseguenze[modifica | modifica wikitesto]

Bob Marley in concerto a Zurigo nel 1980

L'appello al disarmo nucleare di Hailé Selassié sembrò essere stato recepito il 1º luglio 1968, con la sottoscrizione, da parte di Stati Uniti, Unione Sovietica e Regno Unito, del Trattato di non proliferazione nucleare entrato in vigore il 5 marzo 1970[3]. Al Trattato però non aderì la Francia già in possesso dell'arma atomica sin dal 1960. Peraltro, dopo il discorso dell’imperatore d'Etiopia (1963), il "club atomico" si ampliò con Cina (1964), India (1974), Pakistan (metà anni settanta) e Corea del Nord (che uscì dal Trattato nel 1985). Trattasi di stati asiatici che secondo l'oratore avrebbero dovuto trarre giovamento (insieme a quelli africani) dalla pace e dall’uguaglianza.

Hailé Selassié fu deposto nel 1974 da un colpo di stato comunista. Mozambico e l'Angola conquistarono l'indipendenza dal regime coloniale portoghese nel 1975, dopo anni di guerriglia armata finanziata e armata dal governo comunista cubano. Il regime dell'apartheid in Sudafrica cessò pacificamente nel 1991.

Nel 1976 il cantante reggae Bob Marley, aderente al rastafarianesimo, utilizzò la parte del discorso di Hailé Selassié che richiama all'uguaglianza tra gli uomini affinché non ci siano differenze di razza, classe o nazionalità, nella canzone War.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h Testo completo del discorso in: F.A.R.I. - Federazione Assemblee Rastafari in Italia, Discorsi di Sua Maestà Imperiale Haile Selassie I, 2015, pp. 248-259
  2. ^ Lorenzo Mazzoni, Kebra Nagast. La Bibbia segreta del Rastafari, Coniglio editore, Roma, 2007
  3. ^ Show Treaty, su disarmament.un.org. URL consultato il 10 dicembre 2016.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Lorenzo Mazzoni (a cura di), Hailé Selassié, Discorsi scelti (1930–1973), Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2011, ISBN 978-88-6222-159-7.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]