Comunità ebraica di Firenze

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La Sinagoga di Firenze nel panorama cittadino
Ketarim, Rimmonim e Parokhiot al museo del Tempio Maggiore Israelitico di Firenze

La comunità ebraica di Firenze è una delle più antiche e importanti d'Italia. Con circa 2000 iscritti (incluse le sezioni di Arezzo e Siena è oggi una delle ventuno comunità ebraiche italiane riunite nell'UCEI. La comunità ha sede in via Farini 4.

Storia

Origini

Le origini della comunità ebraica fiorentina risalgono con ogni probabilità all'epoca romana.[1] Un piccolo nucleo di ebrei sembra che abitasse nella zona di Oltrarno, appena fuori dalle mura sull'altra sponda della città, laddove la via Cassia si immetteva in città attraverso l'antenato del Ponte Vecchio.

Furono comunque i Medici nel XV secolo a far sì che la comunità potesse accrescersi, in particolare con Cosimo il Vecchio che diede una prima concessione per un banco di prestito nel 1437, quando giunsero prestatori da Pisa, e altri comuni toscani, ma anche da Rieti e da Tivoli. Lorenzo de' Medici accolse alla sua corte dotti ebrei come Johanan Alemanno, Abraham Farissol e Elia Delmedigo. Quest'ultimo è raffigurato nel corteo mediceo che accompagna l'Adorazione dei Magi nel grande affresco di Benozzo Gozzoli che in Palazzo Medici Riccardi celebra le glorie della famiglia Medici.

Le prime difficoltà emersero in seguito alla predicazioni anti-ebraiche di Girolamo Savonarola. Ne seguirono decreti di espulsione (1477 e 1491) o minacce (1495 e 1527) che resero precaria la presenza ebraica in città.

Sotto il Granducato

Targa del 1626 in latino ed ebraico che ricorda una pia istutuzione di Ferdinando II de' Medici

La situazione si stabilizzò con l'affermarsi del Granducato. Cosimo I accolse numerosi ebrei dalla Spagna e dal Portogallo, protetti affinché esercitassero il mestiere del prestito e favorissero gli scambi commerciali con il Levante. Lo stesso Cosimo I impose tuttavia nel 1571 l'obbligo di residenza coatta nel ghetto, situato nel centro città dove sorge oggi Piazza della Repubblica. Qui dovettero confluire anche gli ebrei che risiedevano nei centri minori attorno a Firenze. Solo ad alcune famiglie di prestatori fu concesso il privilegio di abitare fuori del ghetto, vicino alla residenza dei Medici di Palazzo Pitti, in via dei Giudei (ora via Ramaglianti) dove esisteva anche una piccola sinagoga. Durante l'Inquisizione l'ultracattolico Cosimo III promulgò delle leggi che proibivano ai cristiani di lavorare per gli ebrei.

L'emancipazione

La vita culturale e sociale degli ebrei riprese con maggior vigore quando nel 1738 Firenze passò sotto il dominio illuminato dei Lorena. Alla fine del Settecento Leopoldo I riconobbe agli ebrei i primi diritti civili, e passato senza traumi il periodo napoleonico e la Restaurazione, l'apertura del ghetto avvenne già al 1848. Con l'unità d'Italia si compì anche la totale emancipazione e fu allora che la comunità ebraica fiorentina visse il suo periodo di maggior splendore, traendo vantaggio dal ruolo di Firenze di capitale culturale (e per breve tempo anche civile) del nuovo Stato. Tra il 1881 e il 1898 il vecchio ghetto fu raso al suolo con la creazione della piazza della Repubblica. Nel 1882, con il concorso di architetti cristiani, fu inaugurato il nuovo tempio monumentale, uno degli esempi più maestosi di sinagoga dell'emancipazione in Italia, mentre si edificava la nuova facciata della Basilica di Santa Croce su progetto dell'architetto ebreo Niccolò Matas.

Il XX secolo

Nel 1899 rav Samuel Hirsch Marguleis inaugurò e per 32 anni diresse il Collegio rabbinico, vero centro culturale dell'ebraismo italiano agli inizi del Novecento. A Firenze avevano sede le principali riviste ebraiche: La Rivista israelitica (1904-1915), la Settimana israelitica (1910-1915), Israel (1916, poi trasferita a Roma), la Rassegna mensile d'Israele (1925, poi trasferita a Padova e quindi a Roma).

Nel 1931 vivevano a Firenze 2730 ebrei. Le leggi razziali e le persecuzioni dell'Olocausto colpirono duramente la comunità. Nel periodo dell'occupazione tedesca la popolazione di Firenze aiutò con grande generosità gli ebrei perseguitati, a cominciare dal vescovo Elia Dalla Costa e dai sacerdoti Leto Casini, Cipriano Ricotti e Giulio Facibeni. La DELASEM dette anche vita ad un comitato clandestino ebraico-cristiano che nonostante ogni difficoltà riuscì a mantenere un flusso di aiuti costante. Furono molti i conventi e anche i privati cittadini che aprirono le loro porte ad accogliere i perseguitati. Ci furono tuttavia anche gravi episodi di delazione e violenza da parte di repubblichini locali; alla fine 248 ebrei, tra i quali il rabbino Nathan Cassuto, furono deportati. Ai danni materiali si aggiunsero i danni materiali con la distruzione della piccola sinagoga di via de' Giudei e le gravi devastazione subite dal tempio.

La vita ebraica riprese nel dopoguerra con 1600 residenti. Nel 1947 Firenze divenne sede di una delle prime associazioni di dialogo ebraico-cristiano in Europa e la prima in Italia; l'Amicizia ebraico-cristiana fu fondata su iniziativa di Arrigo Levasti e Angelo Orvieto, con il sostegno di Giorgio La Pira. Nel 1980, con la pubblicazione dell'edizione italiana del romanzo di Elie Wiesel, La notte, nacque a Firenze, su iniziativa di Daniel Vogelmann la casa editrice La Giuntina, specializzata in opere riguardanti la vita e la cultura ebraiche. Dal 2000 si pubblica a Firenze anche la rivista Materia Giudaica, organo dell'Associazione italiana per lo Studio del Giudaismo.

La comunità conta oggi poco più di mille iscritti residenti a Firenze.

Note

  1. ^ Annie Sacerdoti, Guida all'Italia ebraica, Mariett, Genova 1986.

Voci correlate

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