Biscione (Genova)

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Biscione - Forte Quezzi
quartiere
Biscione - Forte Quezzi – Veduta
Biscione - Forte Quezzi – Veduta
Veduta del quartiere
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Liguria
Città metropolitana Genova
Comune Genova
Territorio
Coordinate44°25′28″N 8°57′39″E / 44.424444°N 8.960833°E44.424444; 8.960833 (Biscione - Forte Quezzi)
Abitanti9 283 (2010)
Altre informazioni
Prefisso010
Fuso orarioUTC+1
TargaGE
CircoscrizioneMunicipio III Bassa Val Bisagno
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Biscione - Forte Quezzi
Biscione - Forte Quezzi
Biscione - Forte Quezzi – Mappa
Biscione - Forte Quezzi – Mappa
Mappa dei municipi di Genova

Forte Quezzi, chiamato ufficiosamente fin dagli anni settanta nel Novecento[1] come Biscione dal nome gergale dato per la forma sinuosa dei suoi edifici,[2][3] è il nome di complesso di edilizia popolare sorto alla fine degli anni sessanta sulle alture fra Marassi e Quezzi, a Genova. Il nome ufficiale, forte Quezzi, deriva invece dalla presenza dell'omonimo forte ottocentesco posto sulla cima della collina su cui sorge il complesso.

È costituito da un insieme di cinque caseggiati, lunghi ciascuno oltre 300 metri, e disposti seguendo le curve di livello della collina sulla quale sono stati edificati. All'interno della costruzione spicca la chiesa parrocchiale Mater Ecclesiae costruita alla fine degli anni ottanta,[4] con una curiosa forma di prua di nave.

Amministrativamente fa parte del Municipio III - Bassa Val Bisagno (San Fruttuoso, Marassi, Quezzi e Biscione) ed ha, come singola unità urbanistica, una popolazione di 9283 abitanti (al 31 dicembre 2010).[5]

Il nome Biscione, riferito per estensione al quartiere in cui sorge il complesso, dalla sua particolare struttura degli edifici, soprattutto il maggiore, che ricorda appunto le fattezze di un lungo e sinuoso serpente.

Le strade lungo le quali si sviluppa il quartiere sono dedicate a quattro studiosi ed esploratori italiani: via Lamberto Loria, via Leonardo Fea (due edifici), via Elio Modigliani, via Carlo Emery.

Architettura[modifica | modifica wikitesto]

Il Quartiere INA-Casa di Forte Quezzi fu realizzato nell'ambito del piano INA-Casa per le case popolari edificate con finanziamento pubblico. La progettazione urbanistica del complesso fu affidata ad un ampio gruppo di architetti e risale al 1956/57[2]. L'edificazione dell'ultimo edificio fu completata nel 1968[6].

I coordinatori del gruppo furono Luigi Carlo Daneri e Eugenio Fuselli. La progettazione architettonica fu suddivisa nelle singole unità del quartiere come segue:

Le diverse costruzioni che compongono l'insieme edilizio si distinguono per la presenza di due passeggiate, una al livello di un primo piano e l'altra al livello del quarto. Nelle intenzioni dei progettisti erano finalizzate al passeggio e al gioco dei bambini. L'orientazione generale delle facciate è rivolta a meridione, con massimo sfruttamento del soleggiamento. Complessivamente il complesso dei cinque edifici prevedeva la presenza di 865 appartamenti, che si stimava dovessero permettere una capienza complessiva di 4500 abitanti[4].

Gli edifici seguono le curve di livello e si snodano per molti metri; l'edificio più lungo ha uno sviluppo di circa 540 metri per 33 di altezza[2]. La fonte di ispirazione per questo tipo di edilizia, che segue l'andamento curvo del territorio, si può individuare nel "piano Obus" di Algeri ipotizzato negli anni trenta da Le Corbusier[2][6].

Il progetto attirò l'attenzione del mondo dell'Architettura del tempo[4], tra pareri positivi (che evidenziavano la forte carica innovativa del progetto) e negativi (principalmente per la scelta della zona, impervia e difficilmente raggiungibile, e per la densità abitativa, che era ritenuta troppo elevata per garantire una buona qualità della vita).

Il quartiere doveva essere immerso in un parco urbano, dovevano essere presenti molti servizi ed era prevista l'apertura di negozi lungo tutto l'edificio principale.[6]. Negli anni immediatamente successivi all'ultimazione degli edifici furono costruite una serie di abitazioni private, sfruttando le opere di urbanizzazione del quartiere, che snaturarono il progetto urbanistico. In anni più recenti il quartiere è stato comunque dotato di alcuni servizi, quali la scuola elementare e materna e una chiesa cattolica.

Origine e sviluppo[modifica | modifica wikitesto]

Edificate in pieno boom economico come case popolari, per far fronte alla richiesta di abitazioni dovuta alla forte immigrazione dal meridione d'Italia, le abitazioni del complesso edilizio furono assegnate poi anche a molte famiglie genovesi espropriate dal centro storico che proprio allora iniziava ad essere interessato da profondi lavori di ristrutturazione per l'adattamento a sede della city degli affari e a moderno quartiere per gli uffici pubblici e amministrativi locali.

L'evoluzione del quartiere non ha avuto, nel corso degli anni, vita facile. Specie nella fase iniziale - con carenza di strutture e servizi pubblici - venne identificato spesso come una sorta di ghetto, che diede la nascita ai quartieri "dormitorio" come Begato, CEP o le "Lavatrici", tutte strutture criticate in passato per il loro impatto paesaggistico e per l'isolamento dal resto del tessuto cittadino.[6]

Problemi di struttura[modifica | modifica wikitesto]

L'alluvione dell'ottobre 1970 ebbe come conseguenza il crollo di un'ala dell'edificio di via Fea[1]. Nessuno rimase sotto le macerie. Al posto degli appartamenti è stato in seguito costruito un locale adibito a centro sociale e una scuola materna.

Monumenti e luoghi d'interesse[modifica | modifica wikitesto]

Architetture religiose[modifica | modifica wikitesto]

  • Chiesa parrocchiale della Mater Ecclesiæ, inizialmente ospitata in una sede provvisoria nei pressi del complesso edilizio, fu eretta in parrocchia con decreto del cardinale Giuseppe Siri del 22 dicembre 1965. L'attuale chiesa fu inaugurata nel 1997.

Galleria d'immagini[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Si vedano gli articoli de La Stampa relativi all'alluvione di Genova del 7 ottobre 1970 Una tragica alluvione su Genova 19 morti, molti i feriti e i dispersi e Momento per momento il disastro della città del 9 ottobre 1970 e Che batosta per la nostra Genova (comprendente anche una foto dell'ala crollata dell'edificio) del 10 ottobre 1970
  2. ^ a b c d Matteo Macor, Il "biscione" pezzo di città felice Archiviato il 12 giugno 2013 in Internet Archive., Blue Liguria, n 17, pag 45 e seg, Sagep Editore
  3. ^ Liguria, guida del Touring Club Italiano, edizione 1982, pag 249
  4. ^ a b c Biscione di Quezzi: la promessa non mantenuta, articolo de Il Giornale, del 5 gennaio 2006
  5. ^ Notiziario statistico della città di Genova 1/2011, su www2.comune.genova.it. URL consultato il 10 settembre 2011 (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2016).
  6. ^ a b c d Ina-Casa Forte Quezzi Archiviato il 6 febbraio 2014 in Internet Archive., articolo di Emanuele Piccardo per archphoto.it

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Pietro D. Patrone, Daneri, introduzione di Enrico D. Bona, Genova, Sagep, 1982.
  • Eugenio Fuselli, La casa più lunga, in AL Architetti Liguria, n. 9-10, rivista dell'Ordine degli Architetti della Liguria, gennaio-aprile 1990, pp. 20–22.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]