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Affare di Neuchâtel

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Affare di Neuchâtel
Monumento celebrativo della presa del castello di Neuchâtel da parte dei repubblicani
Data1856-1857
LuogoCanton Neuchâtel
CausaAppartenenza del canton Neuchâtel alla Svizzera o alla Prussia
EsitoDefinitivo riconoscimento del canton Neuchâtel alla Svizzera
Schieramenti
Comandanti
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L'affare di Neuchâtel o crisi di Neuchâtel fu una crisi diplomatico-militare che oppose nel 1856-1857 la Svizzera alla Prussia in merito al possesso del canton Neuchâtel.[1] La crisi si risolse con il definitivo riconoscimento dell’appartenenza del cantone alla Confederazione Elvetica.[1]

Nel 1815, al congresso di Vienna, fu confermato il duplice status giuridico del principato di Neuchâtel, che era nel contempo membro della Confederazione e possedimento del re di Prussia.[1] Nel 1848 i repubblicani neocastellani rovesciarono il regime monarchico, proclamarono la repubblica e insediarono un governo democratico.[1] Di fatto ciò comportava una rottura dei rapporti con il re di Prussia, che non era però disposto a rinunciare a Neuchâtel.[1] Le potenze europee confermarono i suoi diritti nel protocollo di Londra del 1852.[1]

Svolgimento della crisi

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Dopo la rivoluzione del 1848 la situazione a Neuchâtel rimase tesa.[1] L'esecutivo era inoltre osteggiato da una forte opposizione realista, sostenuta dalla Prussia.[1] Seguendo un piano elaborato dal conte Frédéric de Pourtalès-Steiger, tra il 2 e il 3 settembre 1856 i royalistes tentarono un colpo di Stato, assaltando il castello di Neuchâtel.[1] I repubblicani informarono il Consiglio federale e riuscirono a riprendere il controllo del castello.[1] Circa 500 monarchici vennero arrestati.[1] I Consiglieri federali Constant Fornerod e Friedrich Frey-Herosé furono inviati a Neuchâtel in qualità di commissari federali, e il vodese Charles Duplan in veste di giudice istruttore.[1] Sulla base del trattato di Vienna e del protocollo di Londra il re di Prussia pretese l'immediato rilascio dei detenuti: il Consiglio federale in cambio chiese invano che Federico Guglielmo IV rinunciasse ai suoi diritti sui possedimenti neocastellani.[1] I tentativi britannici e francesi di mediazione fallirono.[1] Il 13 dicembre 1856 la Prussia ruppe le relazioni diplomatiche con la Svizzera e ordinò la mobilitazione dell'esercito per il primo gennaio 1857.[1]

Il Consiglio federale reagì alle minacce prussiane con la mobilitazione di due divisioni, che furono poi ulteriormente rafforzate.[1] L'Assemblea federale designò il generale Guillaume-Henri Dufour comandante in capo dell'esercito il 27 dicembre 1856 e tre giorni dopo (30 dicembre) Friedrich Frey-Herosé, temporaneamente liberato dalla carica di Consigliere federale, capo dello Stato maggiore generale.[1] Basato sul presupposto che la Prussia avrebbe occupato i territori svizzeri a nord del Reno, il piano elaborato da Dufour prevedeva una linea difensiva avanzata tra Aach (Baden) e Wutach.[1] In realtà il generale prussiano Karl von der Groeben aveva pianificato un'offensiva fino a Berna.[1]

In Svizzera il pericolo di una guerra e la mobilitazione suscitarono entusiasmo.[1] La coesione nazionale, laceratasi nella guerra del Sonderbund del 1847, venne invocata nella stampa come pure in appelli al Consiglio federale, versi e canti, fra cui Roulez tambours di Henri-Frédéric Amiel.[1] Non si giunse però a una guerra: su richiesta di Napoleone III, la Prussia rinviò la mobilitazione al 15 gennaio 1857 e infine la annullò, dopo che l'imperatore francese ebbe ottenuto dal Consiglio federale la liberazione dei prigionieri, che furono espulsi.[1]

Risoluzione della crisi

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In seguito alla conferenza di Parigi del marzo 1857, che vide la partecipazione delle potenze europee e di Johann Konrad Kern in rappresentanza del Consiglio federale, Federico Guglielmo IV rinunciò ai possedimenti neocastellani nel trattato del 26 maggio 1857.[1] Egli mantenne fino alla morte, avvenuta nel 1861, il titolo di principe di Neuchâtel e conte di Valangin, non riconosciuto però dalla Confederazione.[1]

Parte dell'opinione pubblica svizzera criticò duramente la scelta di affidare la difesa dei diritti elvetici alla diplomazia internazionale, anziché alle armi.[1] Ne seguì una schermaglia giornalistica tra i cosiddetti Malcontents e i Satisfaits, provocata dai giornali radicali della Svizzera francese, che si estese a tutta la Svizzera.[1]

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