Romilda (duchessa)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Romilda (... – Cividale, 610 circa) è stata una duchessa longobarda, duchessa del Friuli fino al 610 circa.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Italia ai tempi di Agilulfo

Forse figlia di Garibaldo I di Baviera[1], era moglie di Gisulfo II. Essi ebbero otto figli: quattro maschi (Caco e Tasone, Radoaldo e Grimoaldo) e quattro femmine (Appa, Gaila e altre due delle quali nemmeno Paolo Diacono ricorda i nomi).

La sua memoria, tramandata da Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum (IV, 37), è legata soprattutto all'assedio subito da Cividale, capitale del ducato, intorno al 610 in seguito alla sconfitta e all'uccisione di Gisulfo II da parte degli Avari che avevano invaso l'Italia. La duchessa si rinchiuse nella città insieme ai pochi Longobardi superstiti e alle mogli e ai figli dei caduti; altri guerrieri si trincerarono nelle vicine fortezze di Cormons, Nimis, Osoppo, Artegna, Ragogna, Gemona e Ibligo. Gli Avari si diedero allora a scorrerie per tutto il ducato, assediando la capitale. Mentre il loro sovrano ispezionava le sue truppe, fu scorto dalla duchessa: allora

(LA)

«Romilda de muris prospiciens, cum eum cerneret iuvenili aetate florentem, meretrix nefaria concupivit, eique mox per nuntium mandavit, ut, si eam in matrimonium sumeret, ipsa eidem civitatem cum omnibus qui aderant traderet»

(IT)

«Romilda, che guardava dall'alto delle mura, vedendolo nel fiore della giovinezza, lo desiderò - meretrice infame - e subito gli mandò a dire che, se lui la prendeva in matrimonio, gli avrebbe consegnato la città con tutta la gente che vi era dentro»

Il sovrano avaro accettò la proposta e Romilda spalancò le porte di Cividale alle sue orde, che devastarono la città, l'incendiarono e presero prigioniera l'intera popolazione. Gli Avari, tornati in Pannonia, stabilirono di uccidere tutti i maschi adulti longobardi e dividersi come schiavi le donne e i bambini, ma i quattro figli di Gisulfo e Romilda riuscirono a fuggire; le figlie femmine, invece, si sottrassero alla violenza degli Avari con un astuto stratagemma: si misero sotto le vesti pezzi di carne cruda che, putrefacendosi per il calore, emanavano un odore fetido, disgustando gli Avari che tentavano di avvicinarle. Furono vendute come schiave e ottennero poi matrimoni degni del loro rango.

Il re avaro mantenne comunque il giuramento fatto a Romilda: la sposò e la tenne come moglie per una notte, ma subito dopo la consegnò a dodici avari che la torturarono e la violentarono ripetutamente. In seguito ordinò che fosse impalata in mezzo al campo Sacro (l'accampamento avaro), rivolgendole queste parole:

(LA)

«"Talem te dignum est maritum habere". Igitur dira proditrix patriae tali exitio periit, quae amplius suae libidini quam civium et consenguineorum saluti prospexit»

(IT)

«"Questo è il marito che ti meriti". Così di tale morte finì la funesta traditrice della patria, che aveva guardato più alle proprie voglie che alla salvezza dei cittadini e dei parenti»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Settipani, pp. 89-90.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]