Maggior Consiglio

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Voce principale: Repubblica di Venezia.

Il Maggior Consiglio era il maggiore organo politico della Repubblica di Venezia e si riuniva in un'apposita ampia sala del Palazzo Ducale.

Ad esso spettava la nomina del Doge (la procedura di elezione era complicatissima e prevedeva circa dieci passaggi di elezioni e sorteggi) e di tutti gli altri consigli e numerose magistrature, con poteri illimitati e sovrani su qualunque questione. La partecipazione al Maggior Consiglio era un diritto ereditario ed esclusivo delle famiglie patrizie iscritte nel Libro d'Oro della nobiltà veneziana, che in esso si costituivano Stato.

Storia

Origine

Il Maggior Consiglio nacque tradizionalmente nel 1172 come erede del Consilium Sapientes, organo del Commune Veneciarum, inizialmente composto da 35 e in seguito da 100 consiglieri, nominati da tre elettori scelti dalla concio (il consiglio popolare o Arengo).

La Serrata del Maggior Consiglio

Lo stesso argomento in dettaglio: Patriziato (Venezia).

Proposte di trasformazione della partecipazione al consiglio in diritto ereditario o per cooptazione da parte del consiglio stesso già erano state a più riprese presentate e respinte sotto i dogadi di Giovanni Dandolo, nel 1286, e Pietro Gradenigo, nel 1296. Ma ormai la volontà delle famiglie aristocratiche e dello stesso doge Gradenigo di assicurarsi con maggiore stabilità e continuità la partecipazione al governo della Repubblica, ormai troppo forte, portò il 28 febbraio 1297 alla Serrata del Maggior Consiglio: questo provvedimento apriva di diritto il Maggior Consiglio a tutti coloro che già ne avessero fatto parte nei quattro anni precedenti e, ogni anno, a quaranta sorteggiati tra i loro discendenti.

L'ingresso di nuovi membri fu limitato con leggi del 1307 e del 1316; il 19 luglio 1315 venne ordinata la creazione del Libro d'Oro in cui iscrivere, al compimento dei diciotto anni, i nomi di quanti avrebbero avuto diritto di accedere al Maggior Consiglio.

Nel 1319 la validità dei titoli degli iscritti nel Libro d'Oro venne attentamente vagliata, dopodiché si procedette ad abolire definitivamente la carica di elettori per i membri del Consiglio ed a stabilire il pieno diritto ereditario dei patrizi maschi di entrarvi al compimento dei 25 anni d'età, oltre alla possibilità per trenta di loro di esservi sorteggiati ogni anno, il giorno di Santa Barbara già al compimento dei vent'anni: il Maggior Consiglio diveniva definitivamente un'assemblea chiusa ed ereditaria.

Nel 1423 il Maggior Consiglio aboliva anche formalmente l'ormai inutile concio popolare.

Dal Cinquecento alla caduta della Repubblica

Nel 1498 vennero esclusi dal Maggior Consiglio gli ecclesiastici e nel 1506 e 1526 vennero isituiti i registri di nascite e matrimoni per facilitare l'accertamento del diritto d'accesso al corpo della nobiltà.

L'effetto delle disposizioni della Serrata aveva fatto aumentare vertiginosamente il numero dei membri, tanto da arrivare a contare nel Cinquecento fino a 2095 patrizi con diritto a sedere in Palazzo Ducale: le ovvie difficoltà di gestione di un simile organo e la mancanza di selezione sulle reali capacità di quanti vi entravano per diritto, portarono a delegare le più immerdiate funzioni di governo ad organi minori, più snelli e selezionati, in particolare al Senato, ferma restando la sovranità del Maggior Consiglio e il suo diritto di ultima parola su qualunque materia.

In alcuni rari casi, di fronte a gravi pericoli o difficoltà economiche, l'accesso al Maggior Consiglio venne aperto a nuove famiglie, a fronte di lauti donativi allo Stato: fu il caso della guerra di Chioggia e della guerra di Candia, quando, per sostenere le ingenti spese di guerra, vennero ammesse le famiglie che più avevano sostenuto economicamente lo sforzo bellico.

Altra particolarità fu il crearsi nel tempo di una divisione all'interno della nobiltà tra la nobiltà ricca, cioè delle famiglie che erano riuscite nel tempo a mantenere intatto o ad accrescere le proprie capacità economiche, e quella povera (i cosiddetti Barnabotti), di quanti avevano progressivamente o improvvisamente depauperato le proprie ricchezze, ma continuavano a mantenere il diritto ereditario a sedere nel Maggior Consiglio. Questo portava spesso le due parti della nobiltà a scontrarsi in consiglio e apriva la possibilità a fenomeni di compravendita dei voti.

Fu il Maggior Consiglio, il 12 maggio 1797, a decretare la fine della Repubblica di Venezia, scegliendo - di fronte all'invasione napoleonica - di accogliere l'abdicazione dell'ultimo doge Lodovico Manin e di sciogliere l'assemblea aristocratica: nonostante la mancanza del richiesto numero legale di 600 membri, il consiglio votò a larghissima maggioranza (512 voti a favore, 30 contrari, 5 astenuti) la fine della Serenissima ed il trasferimento dei poteri ad un indefinito governo provvisorio.

Curiosità

  • In occasione delle più importanti votazioni i membri del Maggior Consiglio si ritrovavano sull'area antistante il Palazzo ducale, chiamato Broglio (dall'antico brolo, cioè orto, sul quale era sorta Piazza San Marco) dove i cosiddetti barnabotti (la nobiltà decaduta e impoverita) contrattavano i loro voti con i candidati. Questa pratica ha dato origine al termine broglio per indicare le truffe elettorali.

Bibliografia

  • Da Mosto, Andrea: L'Archivio di Stato di Venezia, indice generale, storico, descrittivo ed analitico, Biblioteca d'Arte editrice, Roma, 1937.
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