Ellen Carey

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Ellen Carey (New York, 1952) è una fotografa e docente statunitense nota per aver usato metodi creativi cameraless.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Frequenta la scuola di specializzazione presso la State University di New York a Buffalo e inizia a collaborare con la Buffalo avant-garde, un movimento artistico americano della prima metà degli anni '70. Nel 1979. Dopo aver ricevuto una borsa di studio, si trasferisce a New York e affitta un proprio studio a Soho.[1] È una delle prime artiste a essere invitata al progetto della Polaroid per sostenere gli artisti che esplorano il mondo della "Pellicola fotografica".

Durante i suoi anni a New York, partecipa a mostre di grande rilievo, al MoMa PS1, al New Museum, alla Albright-Knox Art Gallery, al Bronx Museum of Art di New York,[2] alla Biennale di San Paolo, al The Alternative Museum, di New York[3] e l'International Centre of Photography (ICP), New York.[4] La sua ricerca varia tra il contributo fornito all'ICP e le mostre al Center for Photography di Woodstock, al Museum of Contemporary Photography e al Lyman Allyn Art Museum. Collabora alla mostra itinerante "The Polaroid Project: At the Intersection of Art and Technology.

E' un'artista americana nota per la fotografia concettuale nella quale essa ricorre ad approcci estremamente innovativi[5]. Le sue opere spaziano dagli autoritratti alle esposizioni multiple attraverso l'utilizzo della Polaroid 20 x 24, dalle grafiche Neo-Geo nate negli anni '70 all'astrattismo del fotogramma fino a giungere, a partire dagli anni '90 in poi, a pellicole Polaroid minimaliste, che i critici spesso paragonano alla pittura a campi di colore.

Ha insegnato Fotografia alla Hartford Art School dal 1985 al 2019 e al Bard College, all'International Center for Photography e al Queens College.

Si è occupata di argomenti legati all'arte e alla storia della fotografia e alla tetracromia. Ha pubblicato saggi su Sol LeWitt. La ricerca poi ha ispirato una mostra, creata dall'artista stessa, "Women in Colour: Anna Atkins, Colour Photography & those Stuck by Light" (2017, 2019).

Dal 1991, vive tra Hartford e New York.

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Il critico e curatore Lyle Rexer la identifica come tra le "fotografe sperimentali più proficue" degli Stati Uniti. Tra i lavori maggiormente prodotti vi sono autoritratti in bianco e nero impreziositi da tratti di pittura, ritratti psichedelici, opere astratte, fotogrammi cameraless. Sperimenta così proprietà chimiche, luminose, cromatiche, rifiutando spesso le gerarchie tra soggetto e oggetto a favore di relazioni coesistenti tra pittura e scultura, ben riprodotte attraverso la trasformazione del processo e della stampa.[6]

Il suo lavoro si ispira a molte correnti artistiche, tra cui Op Art e Neo-Geo, Neo-espressionismo, Surrealismo e Dada, Minimalismo, Arte concettuale, femminismo e performance art .[7][3][8][9] Nel tempo, i soggetti dei suoi lavori subiscono dei cambiamenti: inizialmente, l'artista si dedica ad autoritratti e ritratti; successivamente a fotogrammi astratti e, infine, a lavori su pellicole Polaroid, serie a cui da il nome di "Photography Degree Zero"[10].

I primi autoritratti e ritratti (1976–1988)[modifica | modifica wikitesto]

I suoi primi lavori consistono in semplici foto in bianco e nero, che sembrano esprimere dolore, vulnerabilità, sicurezza di sè, scenari rituali, resi grazie a uno spiccato utilizzo di pose drammatiche e forti sprazzi di luce. Leah Ollman, critica del Los Angeles Times, descrive la sua fotografia come "lavoro ingegnoso, fisicamente coinvolgente, orientato al processo"Nota. Nel 1984, si discosta dalla ritrattistica tradizionale e si utiliza fotografie dai colori brillanti a esposizione multipla, realizzate con la fotocamere Polaroid 20 × 24. Carey si serve di strutture de-individualizzate, prive della componente umana affinché ci si possa soffermare su tecnologia, biologia, coscienza, tempo e intelligenza artificiale[11].

"Colpito dalla luce": Photograms (1989–)[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1989, inizia a creare fotogrammi cameraless per esplorare l'astratezza della fotografia. Come avevano sperimentato prima di lei artisti come Anna Atkins, William Henry Fox Talbot — e più tardi, Man Ray — che hanno posizionato diversi oggetti di uso quotidiano su carta fotosensibile. Lei crea così le proprie opere, utilizzando carta fotosensibile, che con l'esposizione alla luce, crea effetti di colore, ombra e profondità, avvicinandosi così al "minalismo fotografico".

Nel 2000 si approccia alla produzione di fotogrammi dai colori vivaci e denomina le serie realizzate con i nomi degli stessi oggetti o materiali utilizzati per pressare la carta (ad esempio, "Push Pins" o "Penlights"). Leah Ollman ha scritto: "In tutto questi lavori, la superficie della carta ha il duplice compito di oggetto e soggetto, materiale e immagine. Il letterale e l'astratto si fondono."[12]

La serie "Caesura" prodotta tra il 2016 e il 2018 presenta interruzioni di colore verticali, molto simili a venature. La serie "Dings & Shadows" introduce un'ampia gamma compositiva con superfici cariche di colore e accartocciamenti presenti su tutti gli angoli. "Zerograms" riflette un vuoto netto e geometrico al centro, che suggerisce un nuovo senso di spazio illusorio e sconfinato.[13]

"Photography Degree Zero" (1996–)[modifica | modifica wikitesto]

"Photography Degree Zero"[14] è un lavoro sperimentale, realizzato mediante Polaroid 20 x 24, che indaga le possibilità della fotografia minimalista.[15] Queste immagini vengono realizzate mediante flussi di emulsione in via di sviluppo casuale che vengono interrotti durante l'estrazione della pellicola dalla fotocamera, impedendo così il processo di trasferimento del colore; in altri casi, esegue lo srotolamento della pellicola, creando esposizioni multiple.

I risultati si presentano come anelli conici o lembi di colore, inclusi bianco o grigio introducendo una forma unica nel mezzo, una parabola. Le prime estrazioni creano una tavolozza tenue, come nelle tre installazioni, Mourning Wall (2000), Birthday Portrait (1997) e Family Portrait (1996), che esprimono dolore per le perdite familiari; altre serie successive incorporano bagliori dai colori luminosi contrastati da sfondi bianchi fiammeggianti.[16]

Carey presenta i negativi come lavori di enorme valenza artistica. I revisori paragonano queste opere alle diverse condizioni umane, dalla morte che trasforma la vita e dalla crisi esistenziale come una rimozione della propria immagine[17].

Nei musei[modifica | modifica wikitesto]

I suoi lavori sono tra le collezioni permanenti del Metropolitan Museum of Art,[18] del Whitney Museum of American Art,[19] del Los Angeles County Museum of Art,[20] del Centre Pompidou,[21] dell'Art Institute of Chicago,[22] dello Smithsonian American Art Museum,[23] del San Francisco Museum of Modern Art, dell'Albright-Knox Art Gallery e del George Eastman Museum, nonché in svariate collezioni private.[4] Le sue opere sono incluse in diversi libri di storia dell'arte.

Mostre[modifica | modifica wikitesto]

Molte delle sue opere sono state esposte in alcuni dei più importanti musei mondiali, come il Centro Georges Pompidou, l'Amon Carter Museum of American Art International Center of Photography (ICP) e il Wadsworth Atheneum Museum of Art e in spazi alternativi come Hallwalls e Real Art Ways.[24]

Riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2019 è nominata tra le "Cento Eroine" della Royal Photographic Society, in cui sono state premiate le più importanti fotografe su scala mondiale.[25]

Nel 2017, ha ricevuto finanziamenti dalla Andy Warhol Foundation per una mostra/tour/libro retrospettivi al Burchfield Penney Art Center.

Ha anche ricevuto premi dal Polaroid Artists Support Program (1983-8, 2002),[26] dal Connecticut Commission on the Arts (1998, 2001), dal New York State Federation for Artists (1986), dal Massachusetts Council on the Arts (1986) e dal National Endowment for the Arts (1984).

Scritti[modifica | modifica wikitesto]

  • Doris Lessing, the alchemy of survival, a cura di Carey Kaplan e Ellen Cronan Rose. Athens, Ohio, Ohio University Press, 1988.
  • Approaches to teaching Lessing's The golden notebook, a cura di Carey Kaplan e Ellen Cronan Rose, New York, Modern Language Association of America, 1989.
  • The canon and the common reader, Carey Kaplan e Ellen Cronan Rose.Knoxville, University of Tennessee Press, 1990.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Underexposed. "Ellen Carey," Archiviato il 9 luglio 2019 in Internet Archive. Retrieved June 13, 2019.
  2. ^ Grundberg, Andy. "Artists' Works Are at the Center of the Action," The New York Times, October 3, 1982. Retrieved June 13, 2019.
  3. ^ a b Aletti, Vince. "Choices," The Village Voice, December 8, 1987.
  4. ^ a b Akus Gallery, Eastern Connecticut State University. "Biography," Let There Be Light: The Black Swans of Ellen Carey, Willimantic, CT: Eastern Connecticut State University Akus Gallery, 2014.
  5. ^ William Zimmer, A Family Album of Empty Pictures, in The New York Times, 10 dicembre 2000.
  6. ^ Rexer, Lyle. The Edge of Vision: The Rise of Abstraction in Photography Archiviato il 27 dicembre 2015 in Internet Archive., New York: Aperture, 2013. Retrieved June 13, 2019.
  7. ^ Westfall, Stephen. "Ellen Carey at ICP and Simon Cerigo," Art in America, November 1987, p. 181.
  8. ^ Hatt, Etienne. "The Unbearable Lightness. The 1980s," ArtPress, November 2, 2016.
  9. ^ Hirsch, Robert. [Light and Lens: Photography in the Digital Age], Burlington, MA: Elsevier/Focal Press, 2018. Retrieved June 13, 2019.
  10. ^ Jonathon Keats, This Dazzling Polaroid Exhibit Shows How Tech Companies Can Learn The Art Of Disruption From Artists, su forbes.cm, 31 luglio 2017. URL consultato il 15 settembre 2022.
  11. ^ Caley, Shaun. "Ellen Carey, Art City," Flash Art, Summer 1986, p. 72.
  12. ^ Ollman, Leah. "Ellen Carey's photograms turn plain paper into a topographic head trip," Archiviato il 14 aprile 2019 in Internet Archive. Los Angeles Times, April 10, 2017. Retrieved June 13, 2019.
  13. ^ Barcio, Phillip. "Ellen Carey and The World of Color in Photography," Archiviato il 9 luglio 2019 in Internet Archive. IdeelArt, August 15, 2018. Retrieved June 13, 2019.
  14. ^ Ellen Carey website. "Photography Degree Zero: 1996 – 2019," Archiviato il 20 luglio 2019 in Internet Archive. Artworks. Retrieved June 13, 2019.
  15. ^ Indrisek, Scott. "A Brief History of Polaroids in Art, from Ansel Adams to Andy Warhol (and Beyond)," Archiviato il 9 luglio 2019 in Internet Archive. Artsy, July 12, 2017. Retrieved June 13, 2019.
  16. ^ Baker, Kenneth. "Ellen Carey in Berkeley," Archiviato il 9 luglio 2019 in Internet Archive. San Francisco Chronicle, January 18, 2003. Retrieved June 13, 2019.
  17. ^ Bill Armstrong, Ellen Carey, in Dear Dave, Spring 2015, pp. 61–70.
  18. ^ Metropolitan Museum of Art. Untitled (Self-Portrait), 1987, Ellen Carey, Collection. Retrieved June 13, 2019.
  19. ^ Whitney Museum of American Art. "Ellen Carey," Archiviato il 7 aprile 2019 in Internet Archive. Artists. Retrieved June 13, 2019.
  20. ^ Los Angeles County Museum of Art. "Ellen Carey," Archiviato il 7 aprile 2019 in Internet Archive. Collections. Retrieved June 13, 2019.
  21. ^ Centre Pompidou. "Ellen Carey," Archiviato il 20 marzo 2017 in Internet Archive. Artists. Retrieved June 13, 2019.
  22. ^ Art Institute of Chicago. "Ellen Carey," Archiviato il 9 luglio 2019 in Internet Archive. Artists. Retrieved June 13, 2019.
  23. ^ Smithsonian American Art Museum. "Ellen Carey," Archiviato il 7 aprile 2019 in Internet Archive. Artists. Retrieved June 13, 2019.
  24. ^ Narrative on Ellen Carey.
  25. ^ The Royal Photographic Society. "Ellen Carey," Archiviato il 9 luglio 2019 in Internet Archive. Hundred Heroines. Retrieved June 13, 2019.
  26. ^ Lombino, Mary-Kay and Peter Buse. "The Polaroid Years: Instant Photography and Experimentation," New York: Prestel, 2013. Retrieved June 13, 2019.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  • Ellen Carey, su ellencareyphotography.com. URL consultato l'8 settembre 2022., sito ufficiale
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